In data 18 dicembre 2009 è stato presentato al Senato il disegno di legge 1947 per iniziativa di autorevoli rappresentanti del PD, Ceccanti, Chiti, Chiaromonte, Del Vecchio, Di Giovanpaolo, Giaretta, Lumia, Maritati, Pinotti, Yonini e Treu: intende stabilire norme generali sulla presenza dei crocifissi nelle aule delle scuole italiane. I senatori si rifanno alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, il 3 novembre dello scorso anno, ha recepito la denuncia di mancato rispetto della libertà religiosa a carico dell’Italia per l’esposizione nelle scuole, ormai multiculturali, del crocifisso e stigmatizzano l’abbandono di quei “margini di apprezzamento statale” che di norma, a Strasburgo, rispettano i costumi nazionali. Riprendono inoltre il dibattito che si era svolto in margine alla sentenza e che aveva avuto toni abbastanza polemici tra i diversi poli critici e che aveva rinverdito il conflitto sorto quando la Corte costituzionale, nel 2004, si era riparata dietro un elusivo non liquet di fronte alla richiesta del Tar del Veneto per analoga denuncia, sostanzialmente rimandata al mittente per incompetenza sui regolamenti in materia di arredo scolastico. Tuttavia anche la Consulta ritenne in quell’occasione ovvio il giudizio di violazione dell’equidistanza dello Stato rispetto alle diverse religioni e altrettanto ovvia la pretestuosità di rendere il crocifisso simbolo nazionale, quando è “visibilmente” religioso.
Oggi, un costituzionalista del calibro di Augusto Barbera giudica “sorprendente” la sentenza di Strasburgo che generalizza un concetto di laicità che in Europa è proprio solo di Francia e Turchia. Stefano Ceccanti, peraltro, invitava già nel 2004 la nostra Corte a recarsi in Baviera, dove le singole scuole decidono le modalità del rispetto delle confessioni minoritarie. Dice Augusto Barbera sul supplemento di “Avvenire” dell’8 novembre 2009 – e la citazione è stata ripresa nella relazione introduttiva al disegno di legge: “È un tema troppo importante sia per chi è contrario e sia per chi è favorevole all’esposizione del Crocefisso, che non può essere lasciato né a fragili circolari o regi decreti, né affidato ai soli giudici di Strasburgo. Ben venga quindi un progetto di legge che consenta al Parlamento italiano – sia alla maggioranza che alle opposizioni – di esprimersi solennemente, magari distinguendo fra le aule scolastiche e gli altri edifici pubblici e valorizzando nelle attività scolastiche anche altre culture religiose minoritarie”.
I proponenti ritengono, dunque, che sia errato sia il divieto di esposizione di simboli religiosi, sia l’obbligo di esposizione che sarebbe tuttora vigente per l’oblio caduto sull’articolo. 118 del Regio Decreto 30 aprile 1924 fin qui non cancellato dalla normativa. Di fronte ad una presunta necessità di stabilire una norma, anche per la presenza in Italia dell’autonomia scolastica, si esclude, in caso di conflitto, il ricorso sia a votazioni che dividano maggioranze e minoranze nelle scuole, sia al veto.
Di conseguenza la soluzione predisposta dall’articolato (di tre soli articoli), dopo aver stabilito il valore della cultura religiosa, del patrimonio storico italiano e dei valori costituzionali democratici, ritiene che “in ogni aula, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso”. Se “l’affissione” è contestata, si cerca un accordo in tempi brevi “anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi”; se non c’è accordo, il dirigente scolastico “adotta” la soluzione che realizza il più ampio consenso.
A questo punto avrei molto da dire. In primo luogo si usa pensare che sia un peccato che la nostra Costituzione non menzioni la laicità. Sarebbe bene rendersi conto che, alla fine del 1947, alla vigilia della definizione della Carta fondamentale, l’onorevole Giorgio La Pira chiese che si premettesse un preambolo di principio: “Il popolo italiano si dà questa Costituzione nel nome di Dio”. La proposta apparve inopportuna a molti e La Pira la ritirò: resta il riconoscimento che la Repubblica italiana ha scelto la laicità.
Questo, ovviamente, nulla ha a che vedere con la fede religiosa dei cittadini, sufficientemente mortificati dal 1924, quando il crocifisso era esposto (quasi a rinnovare la crocifissione) tra il ritratto del re e quello di Mussolini. Che gli amici senatori citino le benemerenze del Cristianesimo, religione del “Figlio dell’Uomo” e la lettera ai Galati di Paolo, la dichiarazione universale dei diritti, le convenzioni internazionali, il Vaticano II esprime un senso di parzialità privilegiata che può non piacere, ma soprattutto in qualche modo produce quello che la chiesa delle origini vedeva come massima contaminazione: l’idolatria. Che diventa tale, se è vero che per i Comuni appare come argomento di “spesa per l’arredo scolastico”, mentre per gli stessi insegnanti di religione (come nessuno studente) che dal 1924 neppure guardano il povero cristo che sta sulle loro teste, entra nel contesto didattico. A riprova, neppure in tutte le aule delle università cattoliche è presente.
D’altra parte, trascurata dai principali organi d’informazione, abbastanza diffusa è stata la critica di personalità e gruppi di fede cattolica e teologicamente non sprovveduti che, a proposito delle recenti polemiche, hanno contestato l’ostensione “profana” nella scuole di un crocifisso ritenuto “costume nazionale”.
Ma, che si riconosca o si neghi il principio di laicità su questo problema, come rispondiamo al quesito che non viene posto per la nostra ignoranza in materia di religioni e che chiede: quale risposta verrà data a chi rifiuta – e sono sia gli ebrei sia i musulmani – che Dio sia irrappresentabile in immagini umane? Gli onorevoli senatori PD ritengono che le minoranze religiose siano, come ai tempi albertini, “culti ammessi” sui cui diritti far discutere i dirigenti scolastici caso per caso?
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature