Gli investigatori privati di solito si incrociano in tre luoghi (virtuali): i fumetti, la fiction al cinema e sul piccolo scherma o la cronaca giudiziaria. Dal caso Telecom-Sismi all’affaire Bisignani-P4, ma ancor prima partendo dai tempi ormai quasi remoti della morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, ucciso nell’esplosione del suo aereo privato nel 1962, mentre sorvolava i cieli di Bascapè, provincia di Pavia, c’è spesso la figura di qualche detective che si staglia. Per lo più si tratta di ex appartenenti alle forze dell’ordine i quali, svestita la divisa, scelgono il settore della sicurezza e dell’informazione privata. Ma in quali compiti di affaccendino non sempre si capisce.
Certo, ci sono quelli che si occupano di “matrimonialistica”, volgarmente interpretate come storie di spioni ingaggiati da un coniuge che si sente più o meno a ragione tradito e che vuole la prova dell’inganno. Ma non c’è solo questo. Spesso, la matrimonialistica ha più a che fare con indagini “a cose fatte”, cioè con istanze di separazione o divorzi già consumati e che si manifesta nel sospetto di benefici patrimoniali goduti senza averne titolo. Tuttavia la figura dell’investigatore privato fa anche altro.
In questi mesi siamo andati a caccia di “storie”, vicende realmente vissute per raccontare una professione che solo in casi estremi finisce nelle aule di giustizia, come accaduto con le vicende citate in apertura a questo articolo. Non riporteremo nomi reali né manchi di società perché non intendiamo fare pubblicità a nessuno. Nel corso dell’estate pubblicheremo sei storie, con cadenza quindicinale, in cui racconteremo di altrettanti casi in città diverse. Per guardare un po’ oltre facili specchi e veder affiorare un mondo di solito riservato.
Iniziamo da Bologna, da uno studio in pieno centro storico, dove una piccola agenzia fondata da un ex carabiniere ha ormai consolidato la sua presenza. Di matrimoni falliti si occupa poco, di solito ha a che fare con casi di cosiddetta “business intelligence”, informazioni nel mondo delle aziende. Una merce intangibile, spesso difficilmente traducibile in termini di bilancio, ma preziosa per gli affari. Questo è il settore più riservato. La storia che invece ci racconta il titolare ha a che fare con un’eredità contesa a livello internazionale.
La vicenda inizia in modo quasi classico. Un’anziana discretamente possidente passa a miglior vita e nel giro di un paio di settimane viene aperto il testamento. La beneficiaria – unica – vive in Francia, nel nord, e si porta a casa proprietà immobiliari in territorio italiano, oltre a beni mobili, come gioielli e opere d’arte. Ma, in modo altrettanto classico, chi resta a bocca asciutta mastica amaro. E anzi sostiene che l’ereditiera, la sua fetta stabilita dalla legge, se l’è portata già a casa negli anni precedenti il trapasso della congiunta che ha finito i suoi giorni. Non ne ha diritto, sostengono gli altri parenti, perché è troppo quello che si è presa addirittura in anticipo. Ma, al di là delle parole, sembrano mancare le prove.
È proprio sulla loro ricerca che viene ingaggiato il nostro investigatore bolognese. Deve andare nella Francia settentrionale, puntando verso una cittadina che risponde al nome di Dieppe, con affaccio sulla Manica, per trovare riscontri. L’investigatore parte e, come prima cosa, si presenta a casa della novella ereditiera, che ovviamente non gli fornisce alcuna informazione diretta. Ma il detective italiano mai più si sarebbe aspettato di essere spiato a sua volta. Invece, mentre si sposta per la cittadina rivierasca, si accorge di essere seguito. C’è qualcuno, un collega francese, che lo pedina.
Se lo ritrova ovunque, come un’ombra: di fronte all’hotel in cui ha preso alloggio, nei pressi della banca dove la signora ha i propri depositi, anche al ristorante o al bistrot in cui si ferma nelle pause di lavoro. Pur con questa ombra imprevista e insistente, l’investigatore bolognese sta raccogliendo elementi, per lo più dichiarazioni di persone vicine all’ereditiera che confermerebbero i flussi a senso unico di cui ha beneficiato prima della morte della parente italiana. Il dossier cresce, vi si aggiungono registrazioni di interviste effettuate in loco, appunti di viaggi verso l’Italia, investimenti fatti appena dopo il rientro.
Pare che i parenti nella penisola avessero ragione alludendo a una mungitura premorte. Ma per terminare il suo lavoro e fare rientro in patria, l’investigatore deve fare ancora qualche domanda, incontrare qualche ulteriore testimone. Schivando, possibilmente, l’ombra posticcia che si è ritrovato alle spalle. E manco ci si trovasse in un film di spionaggio, ecco che inizia un rocambolesco inseguimento – con relativo tentativo di smarcamento – tra l’investigatore e la sua “ombra”. Il primo sta andando a casa di un ex dell’ereditiera, all’apparenza disposto a raccontare qualcosa in merito all’argomento d’interesse. Ma deve farlo da solo, senza disturbi, perché se l’uomo gli dirà quanto il detective si aspetta, si avrà un elemento forse fondamentale per avvallare le affermazioni fatte in Italia.
Il detective inizia così un percorso fatto di stazioni dei treni e delle corriere, taxi cambiati all’ultimo momento, scartamenti in vie laterali, una sosta in un minimarket cercando un’uscita secondaria. Niente di pericoloso né di illegale, insomma, ma di insolito sì. “Mai mi ero trovato in una situazione del genere”, dice. “Era quasi divertente simulare una comparsata in un romanzo di spionaggio, per quanto la vicenda non meritasse forse tutto quel dispiego di denaro, investito in due nazioni, per un’eredità che, sì, era buona, ma non stiamo parlando di roba da famiglia Agnelli. La vita di qualcuno, al massimo, poteva cambiare per qualche anno”.
La chiave di volta per sparire alla vista del suo inseguitore il detective italiano la trova quando incrocia un piccolo luna park errante. “Mi sembrava di essere dentro una pellicola di serie B. Saranno state le 6 di un pomeriggio di autunno inoltrato, per cui non c’era praticamente più luce. Mi infilo in un labirinto degli specchi e a qual punto sono stato più bravo del mio inseguitore a non perdermi nei corridoi di quell’attrazione. Ne sono uscito da solo e alla fine ho raggiunto l’abitazione del mio ‘testimone’. Per un pelo sono arrivato: ero in ritardo di un’ora e mezza e quello stava uscendo. Bloccato all’ultimo minuto, per proseguire nel mio B movie”.
E ha raccontato quello che interessava per contestare l’eredità che giungeva dell’Italia? “A mio avviso sì. Era l’ultimo pezzo della mia indagine e le parole di quell’uomo andavano a confermare perfettamente quanto detto dai parenti scontenti”. Una storia a lieto fine, dunque, almeno da questa parte delle Alpi? “Questo non lo so, va chiesto all’avvocato che poi ha seguito dal punto di vista legale la vicenda. Quando sono rientrato in Italia, ho consegnato i risultati della mia inchiesta e ciò che posso affermare è che quella volta mi sono divertito. Per qualche giorno ero diventato una specie di 007 dei poveri. Da allora sono tornato ai consigli d’amministrazione e alle azioni per sventare lo spionaggio industriale. Molto meno strambo, come settore. Ma talvolta neanche più di tanto”.
Giaime Garzia, politologo di formazione, è un giornalista e un critico letterario. Ha collaborato con varie testate nazionali.