Dai fermenti sulle coste del Mediterraneo al contagio in diversi Paesi islamici, si assiste a una sorta di primavera politica in quella parte del mondo. Ma i flussi dei profughi raccontano anche un'altra storia: la fuga dalla povertà e da una condizione che, soprattutto alle donne, rischia di imporre ancora a lungo sottomissione e obbedienza. I segnali di cambiamento ci sono, a iniziare dall'abbigliamento "all'occidentale", ma per la componente femminile di quella società c'è ancora emarginazione e silenzio
Le donne e i Paesi in guerra: vittime predestinate e portatrici di rivoluzioni inascoltate
30-06-2011
di
Enisa Gordani
Un nuovo vento di guerra che ha avuto il suo inizio in Tunisia e poi, a catena, in Egitto, nello Yemen e domani chissà. Le proteste, però, stranamente sono iniziate nei Paesi più poveri, anche se ricchi di cultura e di storia. Povertà, istruzione e social network: sono i tre ingredienti che mescolati insieme ne fanno una bomba esplosiva per far sollevare le piazze delle loro capitali e chiedere la libertà.
Anche negli ultimi tempi i barconi giunti a Lampedusa e nelle vicinanze erano pieni di maschi, ma le donne dove sono? Arrivano in poche, in rapporto con gli uomini, con i loro figli e addirittura incinte. Qual è il motivo valido sia per quelle che decidono di non lasciare il proprio paese e sia per quelle che fuggono verso l’ignoto portando dietro anche bambini?
Secondo le stime dell’Unhcr (l’agenzia dell’Onu per i profughi e i rifugiati a politici con sede a Ginevra), i “capitani” si fanno meno scrupoli e arrivano a caricare sulle loro imbarcazioni fino a 5-6 mila persone. Queste carrette instabili si infrangono verso gli scogli o, per il peso, rischiano di affondare. Da quando si sono intensificati gli sbarchi tra Maghreb e l’Italia, sarebbero 1.200 i dispersi in mare. Da uno studio dell’Onu un migrante su dieci perde la vita in mare. Il sogno di raggiungere un futuro migliore, dunque, nella maggior parte dei casi si paga a caro prezzo.
Immedesimarmi mi è impossibile e per giudicare bisogna ritrovarsi nelle stesse condizioni. La storia delle donne nelle guerre sembra ripetersi, in comune ha lo stesso denominatore: coloro che si sforzano per far continuare la vita, la lotta armata, i rapporti con il maschile dagli stupri subiti alla protezione offerta a sbandati e disertori, dall’attesa del ritorno dei soldati alla risocializzazione dei reduci.
Si insorge, ma come al solito si sottovalutano le donne che restano in quei paesi mentre i maschi fuggono. In questi conflitti sembra che loro, quasi, scompaiono o se ne parla solo quando sono vittime di violenze atroci insieme ai bambini. Invece la rivoluzione nei paesi del Maghreb e Medio Oriente sembra presentare l’altro lato della medaglia sul ruolo delle donne. Emergono come una forza capace di guidare la rivolta. Con un ruolo decisivo e ciò che è più importante è che loro sono lì, presenti fisicamente sulle strade, in t-shirt e jeans, o in abito nero lungo e il velo. È un segnale che fa riflettere e sperare.
Donne giovani e qualificate che seguono e usano i nuovi media per portare il cambiamento. L’importanza di queste rivoluzione non sta nel fatto di liberarsi dai vari dittatori, sta nel liberarsi da tutti gli “ismi” che hanno fatto sì che questi paesi rimanessero indietro: dal sessismo al confessionalismo e così via. L’immagine e il ruolo della donna nelle guerre è stato modificato sensibilmente, ma senza rivoluzionare la condizione femminile.
Enisa Gordani, origine albanese, studia Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.