È difficile da credere, ma ormai viene dato per certo che con la classica scusa della “produzione di bombe atomiche”, sperimentata con successo dagli USA per invadere l’Iraq, Israele attaccherà quanto prima l’Iran, con l’appoggio degli inglesi, per mettere anche la Casa Bianca di fronte al fatto compiuto. Il presidente Obama infatti, per timore di perdere voti, è contrario a una tale azione militare prima della sua rielezione, ma alcuni collaboratori lo esortano invece ad autorizzarla e appoggiarla perché ricompatterebbe l’elettorato riportandolo di sicuro alla Casa Bianca e scongiurando la temuta candidatura di Hilary Clinton, sempre più popolare nell’elettorato non solo del Partito Democratico. E’ dal 2006 che l’attacco militare all’Iran da parte degli Usa e di Israele viene dato per imminente e certo, senza però che sia poi stato sferrato. Ecco per esempio cosa dichiarava nel 2006, poco dopo la terza invasione israeliana del Libano, Seymour Hersh, il famoso giornalista americano che ebbe il coraggio di denunciare il massacro di tutti gli abitanti di My Lai compiuta dai marine in Vietnam e che per primo ha denunciato le torture americane nel carcere iracheno di Abu Ghraib:
“L’amministrazione Bush era molto direttamente impegnata nel pianificare la guerra libanese-israeliana. Il presidente Bush ed il vice presidente Cheney erano convinti che il successo della campagna militare israeliana in Libano avrebbe non soltanto raggiunto gli obiettivi desiderati da Tel Aviv, ma sarebbe anche servito come preludio ad un possibile attacco contro le strutture nucleari iraniane”.
La scusa è anche oggi quella del “pericolo atomico” iraniano. Nella vulgata corrente infatti l’Iran sarebbe così idiota e suicida da produrre atomiche per affrettarsi a lanciarne già la prima su Israele, nonostante Israele di atomiche ne possieda circa 400 e possa quindi cancellare non solo l’Iran dalla faccia della terra. Senza contare che la signora Clinton ha dichiarato senza arrossire di vergogna che “prima di finire di schierare per il lancio il suo primo missile nucleare l’Iran sarebbe riportato all’epoca delle caverne”, con un olocausto fulmineo di oltre 80 milioni di esseri umani, più o meno quanti ne ha l’Italia intera. Embé c’è olocausto e olocausto. Quello sulla pelle di 70-80 milioni di iraniani evidentemente per la signora Hilary&C è buono, nonostante sia ben 12-14 volte quello che purtroppo c’è stato davvero per mano dei nazisti.
Tutti però si guardando bene dal ricordare che ai tempi dello scià di Persia Reza Pahlavi gli Usa avevano deciso di vendergli il formidabile laboratorio di fisica nucleare del Massachussets Institute of Technology (MIT), nonostante lo scià avesse dichiarato esplicitamente che intendeva utilizzarlo “per produrre quanto prima bombe atomiche”. La vendita non andò in porto solo per le proteste degli studenti e dei professori del MIT, con in testa Noam Chomsky, certo non antisemita essendo notoriamente ebreo.
La storia del nucleare iraniano risale proprio allo scià Reza Pahlavi. Oltre ad essere amico dei vari esponenti Usa che lo avevano rinforzato sul trono con il colpo di Stato del 1953 contro il governo Mossadeq, in codice “Operazione Ajax”, Reza Pahlavi aveva l’appoggio del Segretario di Stato Henry Kissinger, che, in chiave anti URSS, gli propose l’acquisto di 23 nuovi reattori e l’aiuto di tecnici dell’MIT. E così nel ‘76 il presidente Ford autorizzò anche la vendita all’Iran di tecniche innovative per l’estrazione e lavorazione del plutonio, necessario per costruire ordigni nucleari in alternativa all’uranio 235. Si arriva così all’accordo USA-IRAN del ’78 di collaborazione anche nella ricerca di giacimenti di uranio e le società americane General Electric e Westinghouse si mettono in lizza per costruire in Iran i reattori nucleari, la cui costruzione era stata danneggiata dalla guerra con l’Iraq del 1980-1988, voluta in pratica dagli Usa che foraggiavano lo stesso Saddam che in seguito decideranno di eliminare. L’Iran stipula accordi anche con la Francia e la Germania.
A fine guerra con l’Iraq il governo iraniano offre a Washington e all’Europa di costruire nuovi reattori, ma il dilagare del khomeinismo provoca il rifiuto Usa, motivo per cui Teheran si rivolse quindi ai russi, che accettarono di costruire una prima centrale.
Solo nel 2000 l’allora presidente Usa Bill Clinton ammetterà la responsabilità degli Stati Uniti nel golpe del 1953 e ammetterà che si trattò di un tragico errore, causa di molti dei problemi odierni. Il colpo di Stato che rovesciò Mossadeq mostrò infatti all’intero Medioriente che gli USA non avevano nessuna intenzione di “esportare la democrazia”, come si usa dire invece oggi, ma solo di tutelare i propri interessi. Inoltre il golpe del ’53 è stato il primo in cui per rovesciare un governo venne usata la CIA, esperienza che convinse gli USA di poter disporre di uno nuovo strumento per modellare la politica mondiale. Il golpe iraniano accelerò la penetrazione americana nel Golfo e in Medio Oriente a danno dell’influenza inglese. L’asserito appoggio del governo di Londra a quello che pare sia l’imminente attacco all’Iran, che seguirebbe l’appoggio inglese alla rivolta anti Gheddafi in Libia, potrebbe essere quindi un modo per restituire pan per focaccia e riguadagnare in questa parte del pianeta l’influenza soffiata agli inglesi da Washington.
Ora c’è da parte Usa un nuovo “al lupo, al lupo!”, sotto forma di “all’atomica, all’atomica!” questa volta iraniana. Come si possa ancora credere a questo tipo di “verità” ufficiali è difficile da capire, alla luce delle serie di falsi storici inventati a tavolino per fare accettare all’opinione pubblica una serie di guerre: “l’incidente di Cuba” per fare la guerra alla Spagna e portarle così via una fetta delle colonie; “l’incidente del Tonchino” per scatenare la guerra contro il Vietnam del Nord; le “atomiche irachene” per invadere l’Iraq. E’ di pochi giorni fa la strana bufala, subito fatta abortire ma mai smentita dai mass media che l’avevano prontamente avvalorata a livello planetario, delle “atomiche di Gheddafi”. Bufala sottovalutata, sulla quale tra qualche riga ci soffermeremo. E pochi giorni prima di questa nuova bufala c’è stata la minacciosa protesta Usa per “i piani di uccisione dell’ambasciatore saudita a Washington”, piani che è piuttosto difficile prendere per oro colato.
Come per l’incredibile menzogna delle “atomiche libiche”, si sperticano in molti ad assicurare che la conferma dell’esistenza di atomiche iraniane sarà ufficiale e fatta addirittura della stessa AIEA, cioè dall’agenzia dell’Onu che controlla – ma SOLO nei Paesi firmatari dell’accordo internazionale di non proliferazione delle atomiche – che non ci siano usi militari delle centrali nucleari. Filtrano “indiscrezioni” che l’AIEA è sommersa di rapporti dei servizi segreti occidentali che “inchiodano” Teheran. Come se non fosse ormai un vizio per certi servizi segreti, da parti di quello italiano a quello inglese, da quello israeliani a quello statunitense, raccontar panzane a danno di chi si vuole colpire. L’AIEA però sulle atomiche israeliane tace, ma solo perché Israele NON ha mai firmato il trattato di non proliferazione. Se non l’avesse firmato neppure l’Iran, oggi Teheran potrebbe dotarsi o essersi già dotato in tutta tranquillità di ordigni atomici senza le minacce che invece pendono sul suo capo come una spada di Damocle moltiplicato qualche milione.
Debbo purtroppo segnalare il titolo di un articolo di Repubblica di pochi giorni fa, dove si leggeva che l’Iran “sta testando la bomba atomica”. Testare una bomba atomica significa farla esplodere per controllare se la procedura per produrne in serie funziona o no. Oppure significa fare come il Giappone, che le atomiche non le ha ancora costruite, ma intanto ha simulato tutto con dei supercomputer in modo che in caso le può produrre nel giro di poche settimane. Leggendo il mirabolante articolo di Repubblica si scopre invece che il tutto si riduce alla presenza di una capsula di metallo che “potrebbe” – al condizionale!!! – essere l’innesco a base di esplosivo classico. E’ come annunciare nel titolo che i marziani stanno “testando” l’invasione del pianeta Terra e scrivere nell’articolo che in effetti hanno prodotto un pezzo di lamoera che “potrebbe” servire per costruire astronavi… No comment. Mi limito a ricordare che per spingere verso l’invasione dell’Iraq i principali giornali italiani arrivarono a mentire con articoli che fin dal titolo in prima pagina affermavano: “Prosegue in Iraq la produzione di bombe atomiche”! Il tutto senza che i pacifisti abbiano assaltato le redazioni della menzogna e senza che gli autori di quelle panzane e i loro direttori, corresponsabili di fatto della tragedia della guerra contro l’Iraq, siano stati né arrestati, né licenziati né disturbati con sanzioni disciplinari dall’Ordine dei giornalisti.
Insomma, tanto per cambiare, “venghino, siori, venghino….”.
Premesso che è assurdo pretendere che le atomiche le abbia solo Israele, ma non i Paesi vicini, condannati così a non potersi difendere adeguatamente in caso di attacco israeliano o comunque occidentale, una cosa è però chiara, anche se nessuno ha il coraggio di dirla: un attacco militare all’Iran comporterebbe automaticamente, a causa delle complicazioni in campo petrolifero nell’intero Golfo, una serie di scenari collaterali semplicemente devastanti per l’intero pianeta. Non a caso Francia e Usa hanno alzato pubblicamente la voce contro la pazzia di Netanyahu e del suo indecente ministro degli Esteri, il poco meno che fascista Avigdor Lieberman, emigrato dalla natia Russia. Ecco gli scenari inevitabili:
– l’aggravarsi della crisi finanziaria europea, che diventerebbe anche energetica, economica e industriale;
– la conseguente fine dell’euro;
– l’altrettanto conseguente fine dell’Unione Europea;
– l’ascesa di Israele alla guida dello “scontro di civiltà”, che a quel punto riceverebbe un forte impulso;
– la conseguente fine dell’influenza dell’Italia anche in Medio Oriente;
– il ritorno dell’Inghilterra – se è vero che attaccherebbe l’Iran assieme a Israele – alla sua secolare politica, sempre volta a evitare che in Europa la potenza di un qualche Stato possa farle ombra e ancor più che l’Europa possa vedere l’unione di suoi Stati
Veniamo ora alle “bombe atomiche di Gheddafi”. La notizia è di quelle da lasciare sgomenti, se non terrorizzati: “Trovate le bombe atomiche di Gheddafi”. E’ strano quindi, anzi è stranissimo che i giornali dopo averla sparata come notizia d’apertura nelle edizioni online l’abbiano poco dopo fatta precipitare tra le notiziole in basso per poi trattarla senza molta convinzione nelle edizioni cartacee, relegandola tra le pagine interne. Il problema è che a dare notizia di tale asserito ritrovamento di ordigni atomici è stato lo stesso vertice del Consiglio Nazionale Transitorio che nei mesi scorsi ha già rifilato altre notizie clamorose rivelatesi fasulle, e che a lanciarla nel mondo sia stata la tv Al Arabija, che nei mesi scorsi a quelle stesse notizie fasulle s’è prestata a far da megafono planetario. Il primo ministro dimissionario del CNT, Mahmoud Jibril, ha addirittura assicurato che la “scoperta” delle bombe atomiche sarà confermata a breve dall’AIEA, la stessa che ora si giura che incastrerà l’Iran. E’ evidente che un’eventuale conferma dell’AIEA sarebbe un fatto clamoroso, anzi sconvolgente. L’AIEA infatti è sempre molto prudente, per esempio finora si è guardata bene dall’avvalorare gli allarmismi “nucleari” contro l’Iran così come a suo tempo s’è guardata bene dall’avvalorare le accuse “atomiche” contro l’Iraq di Saddam Hussein, accuse come è noto rivelatesi, ma solo dopo l’invasione dell’Iraq, completamente e scientemente inventate a tavolino. Per fortuna Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato, cioè dell’alleanza militare che ha condotto la guerra contro Gheddafi, ha smentito quanto strombazzato nel mondo dal tandem Jibril-Al Arabija. Però vale la pena fare qualche considerazione aggiuntiva, perché questa storia delle “atomiche libiche” se anch’essa falsa può essere una operazione abilmente montata per allarmare talmente l’opinione pubblica da convincerla che bisogna colpire finalmente l’Iran onde evitare che si doti anche lui di bombe atomiche.
Che la Libia possa avere costruito bombe atomiche è semplicemente impossibile, così come è impossibile che le stia costruendo l’Iran. Le bombe atomiche infatti si possono costruire solo in due modi: utilizzando l’uranio 235 oppure utilizzando il plutonio. In natura l’uranio 235 non esiste, bisogna estrarlo con raffinazioni successive, dall’uranio 238 fino a ottenere che oltre il 90% del metallo sia costituito dall’isotopo 235: per farlo, bisogna trasformare l’uranio in gas esafluoruro d’uranio e farlo filtrare man mano da varie decine di migliaia di ultracentrifughe, non meno di 30-40 mila, che devono lavorare in linea, cioè simultaneamente. Ultracentrifughe che è impossibile vengano costruite in tali quantità da chi non possiede né la tecnologia né i materiali necessari e se li deve quindi procurare con acquisti all’estero che NON possono certo passare inosservati. Per quanto riguarda invece il plutonio, la trafila è più semplice: si tratta di esporre l’uranio 238 al bombardamento di neutroni ottenibile solo in una centrale nucleare, anche di uso civile, che la Libia NON possiede. Inoltre il bombardamento di neutroni deve durare vari giorni, durante i quali però la centrale non può funzionare e quindi se è ad uso civile, cioè per produrre corrente elettrica, le città alimentate resterebbero al buio. Evento anche questo impossibile da nascondere. Se è una centrale militare deve essere sufficientemente grande, tanto da rendere impossibile che non sia rilevata dai satelliti spia.
Nel caso fantascientifico che fosse confermata la presenza in Libia di armi atomiche bisogna porsi alcune domande, l’ultima delle quale apre lo scenario dell’attacco all’Iran, che infatti guarda caso sta prendendo piede:
– a che serve avere bombe atomiche se NON si hanno gli aerei che le possono trasportare e sganciare? Vale a dire, se non si è in grado di utilizzarle. Al massimo possono essere un deterrente anti invasione terrestre, come le mine atomiche che gli Usa avevano e pare abbiano ancora nel Friuli in funzione anti invasione dall’Est.
– perché mai avrebbe dovuto averle Gheddafi, visto che si è ben guardato dall’usarle neppure per salvarsi il potere e salvare la pelle sua e dei suoi figli?
– chi gliele ha date o vendute, visto che è impossibile siano state prodotte in loco?
– poiché (film e romanzi a parte) è impossibile che le bombe atomiche vengano vendute o regalate, chi le ha portate in Libia per poi farle trovare e giustificare così a posteriori l’assalto a Gheddafi?
Ecco, l’ultima domanda è la più insidiosa. Ragioniamo. Gli americani hanno invaso l’Iraq con la scusa delle bombe atomiche di Saddam, che però poi si è scoperto essere state una frottola decisa per giustificare l’invasione. Gli americani hanno fatto due bei film su quell’atroce inganno, “Green zone” e “Savoir faire”. Se alla Casa Bianca fossero stati più furbi, e ancor più cinici di quanto sono stati, avrebbero potuto portare clandestinamente un paio di bombette atomiche in Iraq e poi “scoprirle”. Beh, la “rivoluzione” libica è stata preparata con cura da Francia, Inghilterra e – stando a quanto si dice, ma finora non ci sono prove credibili- da Israele. Tre Paesi dotati tutti di armi nucleari. In teoria, è possibile che questa volta, imparata la lezione iracheno-americana, almeno uno di quei Paesi abbia deciso di introdurre di nascosto una o più bombette atomiche in Libia per poi “scoprirle” e prendere così due piccioni con una fava:
– giustificare a posteriori in modo ferreo e inconfutabile la neocoloniale guerra libica, tappando la bocca a pacifisti e affini;
– giustificare in anticipo un intervento militare contro l’Iran al grido di “se le atomiche le aveva perfino Gheddafi è ovvio che le ha anche l’Iran”.
In ogni caso, la presenza della tv Al Arabija anche in questa strepitosa storia delle “atomiche di Gheddafi” permette di capire alcune cose, gravi, che però a differenza degli ordigni nucleari non sono ipotesi, ma fatti certi. Teniamo presente che durante la guerra libica Al Arabija è stata molto attiva assieme ad Al Jazeera nel propalare contro Gheddafi accuse tanto gravi quanto inventate di sana pianta. E teniamo presente che pochi giorni fa il Qatar ha messo le mani avanti sul futuro della Libia rivendicando un ruolo più importante. Il perché di tali rivendicazioni lo ha reso pubblico il suo capo di stato maggiore delle forze armate, Hamad bin Ai al Atiya. Il capo militare ha rivelato con molto orgoglio non solo che il Qatar è stato il Paese che più di tutti ha appoggiato militarmente i ribelli libici, ma anche che ha inviato “centinaia di uomini in ogni regione” libica. Non uomini qualsiasi, ma, ci ha tenuto a chiarire al Atiya, militari che dovevano “pianificare le azioni dei ribelli contro Gheddafi”.
Si dà il caso che il Qatar sia proprietà privata del per nulla democratico emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, che nel ’95 ha deposto suo padre con un colpo di Stato e che è immensamente ricco grazie al petrolio sul quale il suo possedimento galleggia. E si dà il caso che a volere Al Jazeera, la cui sede centrale è a Doha, è stato proprio Al Thani, che alla sua televisione ci tiene talmente da avere dichiarato tempo fa “ci tengo più che alla mia famiglia”.
La televisione Al Arabija ha invece sede a Dubai e appartiene a una società con capitali dell’Arabia Saudita, del Kuwait e del Bahrein. In quest’ultimo Stato, anch’esso straricco per il petrolio e anch’esso proprietà privata di uno sceicco, la locale “primavera araba” è stata soffocata nel sangue anche grazie all’arrivo di truppe saudite. Se la sete di democrazia dovesse attecchire anche nei vari Stati del Golfo, che pompano di petrolio l’Occidente in cambio di tanti soldi e tanta distrazione sui locali regimi niente affatto democratici, gran parte delle nostre industrie, automobili e impianti di riscaldamento si troverebbero a zero. Ecco perché in questi Paesi le istanze di democrazia vengono stroncate nel sangue senza che in Occidente nessuno reclami.
Al Arabija e Al Jazeera, di solito concorrenti, hanno lavorato di fatto in tandem per lanciare fin dai primi giorni della rivolta balle colossali utili a spingere l’Occidente a giustificare l’intervento militare in Libia. Si è iniziato fin dai primi giorni con il grossolano falso dei “10.000 morti civili per i bombardamenti di Gheddafi” lanciato da Al Arabija e si è finito, per ora, con il falso altrettanto grossolano delle “fosse comuni” con i resti di 1.700 “martiri della rivoluzione vittime delle torture di Gheddafi” lanciato da Al Jazeera. Pian piano viene quindi a galla che la “rivoluzione” contro Gheddafi più che una versione libica della “primavera araba” è stata una rivolta preparata con cura da istruttori militari stranieri. Della presenza di istruttori francesi e inglesi già si sapeva. Ora si viene a sapere anche che sul terreno i rivoltosi erano guidati, in ogni regione della Libia, da personale militare arrivato da un Paese come il Qatar, tanto ricco quanto assolutamente distante dal concetto di democrazia.
Questo tipo di operazioni i militari le chiamano “guerra psicologica”. Guerra che consiste in soldoni nel demonizzare il nemico, diffamandolo e calunniandolo il più possibile anche inventando panzane colossali come le “bombe atomiche irachene di Saddam”. Di questo tipo di guerra il comando Nato di Verona ne ha una bella e importante sede. Se per i greci e i romani la guerra psicologica si riduceva a considerare e chiamare “barbari” i nemici e gli esterni in genere, ed era basata sull’ignoranza reciproca, oggi si tratta invece di alterare e nascondere la realtà creandone una ad hoc. Insomma, la faccenda è molto più complicata. Ma il succo e i fini non cambiano.
La saggezza popolare avverte che “Non tutte le ciambelle riescono col buco”. Più precisamente, Annibale, che se ne intendeva, ebbe ad avvertire Scipione che “Le guerre si sa come iniziano, ma non come finiscono”. Speriamo solo che il gioco della guerra psicologica non sia arrivato al punto di pazzia da servirsi anche di “scoperte” di bombe atomiche piazzate ad arte per farle trovare a bella posta. Se così fosse, è chiaro che saremmo pericolosamente affacciati sull’orlo dell’inferno.
Forse “la Storia è maestra di vita”, come si usa dire, ma l’umanità è una pessima scolara. Sì, c’è solo da sperare che anche questa volta si tratti di un falso allarme. O meglio: di guerra solo psicologica.
Pino Nicotri, inviato storico dell'Espresso. Fra i suoi libri inchiesta: "Il silenzio di Stato", "Tangenti in confessionale", "Mafioso per caso" (Kaos Editore), "Fiat, fabbrica italiana automobili e tangenti", "Lucciole nere". Anima il blog "Giornalisti senza Bavaglio" . Nicotri fa parte anche del gruppo "Senza Bavaglio" ed è consigliere generale Inpgi e consigliere Lombarda.