Trentatre articoli di Javier Marías pubblicati nel corso degli ultimi anni su rivista – come “Nosferatu” o “Nickel Odeon – e immagini dei film di Jean Renoir e di John Ford, di Billy Wilder e Vincent Minnelli, di Hitchcock, di Capra, di Tarantino e di Chaplin. E poi le pagine dedicate agli attori preferiti: Cary Grant, Jerry Lewis, James Steward, Robert Mitchum, Audrey Hepburn, Jayne Mansfield, Shirley MacLaine, Maureen O’Hara, Paul Newman, Sean Connery, Michael Caine…
Pochi, in realtà, i titoli italiani. Plaude, tra gli altri, Tutti a casa di Comencini, I complessi e I mostri di Dino Risi, e Un maledetto imbroglio di Germi, ma definisce “sopravvalutato” Fellini e “manierato” Antonioni. Oppure ricorda un pessimo film del 1961 (Madame Sans-Gêne) interpretato da Sofia Loren, unicamente per la generosa, indimenticabile scollatura della suddetta. Dopodiché, durante un soggiorno romano, si va a comprare i dvd di “alcuni brutti film di colui che è stato forse il più grande comico europeo, Totò”.
Pagine bellissime sono poi quelle dedicate ai registi che Marías ritiene i più grandi. Innanzi tutto John Ford, “il miglior regista della storia”, per anni stupidamente accusato dai “critici europei stalinisti” – quelli che sostenevano che il whisky è di destra e il vino rosso di sinistra… – di essere “fascista e militarista”. Veniva condannato senza nemmeno guardare i suoi film, e per dargli del reazionario “bastava che in essi comparisse l’esercito e ci fossero indiani morti”.
Poi l’Orson Welles del Falstaff, e Mankievicz de Il fantasma e la signora Muir. E ancora: l’ Hitchcock di Intrigo internazionale, Peckinpah del Mucchio selvaggio e Billy Wilder de L’appartamento.
Come ha scritto Miguel Marías – fratello del nostro e critico cinematografico – “Quando Javier scrive di cinema non è né il romanziere né l’omonima persona che pubblica i suoi articoli sui giornali e che commenta quanto accade intorno a lui, ma un personaggio intermedio […] Le sue pagine dedicate al cinema sono essenzialmente letterarie, ma non vogliono raccontare di nuovo la storia e nemmeno la sminuzzano nei particolari; Javier non è propriamente quel che oggi si definisce un ‘critico cinematografico’, ma sa molto bene che nel cinema, come del resto in letteratura, non è così importante ciò che si racconta, ma il modo di raccontarlo, di affrontarlo, di svilupparlo”.
Un piacevolissimo libro con un unico neo: peccato che alla fine non ci sia un indice dei film citati.
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.