Sono bastati trent’anni per dimenticare la sconvolgente scoperta della lista dei piduisti, in un cassetto di un ufficio della ditta “Giole” di Castiglion Fibocchi?
Se qualcuno avesse la memoria corta o un po’ offuscata, proprio in questi giorni, a 30 anni e un mese di distanza, ecco che la storia si ripete: da P2 a P4, diciamo una P2 al quadrato, che rifonda se stessa e architetta ancora, o forse non ha mai smesso di farlo, di gestire dall’alto il nostro Stato.
I parallelismi sono tanti e alcuni fanno quasi sorridere. Luigi Bisignani, che per la cronaca faceva parte anche della lista del 1981, dalla sua stanza, nemmeno troppo segreta, in pieno centro a Roma, muoveva i fili di tutto ciò che riguardava politica, economia, informazione, servizi segreti: in una parola, potere.
“Gigi” come nuovo Licio, o forse anche oltre.
Il “venerabile moderno” era al passo con i tempi e sapeva che la polizia intercettava le sue telefonate. Così, per non fare la fine dell’illustre predecessore (che in realtà trascorre un’agiata vecchiaia, ridendo alle nostre spalle, nella famosa Villa Wanda), Bisignani usava mille accortezze e attenzioni. Preoccupato per le intercettazioni telefoniche, cambiava in continuazione la scheda Sim del cellulare, poi per non destare sospetti riceveva gli “amici” (tutti gli interrogati nell’inchiesta di Napoli parlano del faccendiere romano come di un grande amico) nel suo studio, ma facendoli entrare dal retro. Infine si rivolgeva con messaggi in codice alla segretaria factotum, l’archivio vivente e la spalla di Bisignani, attenta e silenziosa, l’unica referente per mettersi in contatto con “Gigi”.
Ma il 2 novembre 2010 “il nostro eroe” cadde in errore: aprì dal suo portatile una mail, una come tante all’apparenza, con un oggetto che per lui, forse, era anche familiare, “Querela”. Quella mail veniva direttamente dagli uffici della Polizia, portando in dono una sorta di virus che, autoinstallandosi sul computer, lo trasforma in un registratore audio “ambientale”. Da quel momento tutto ciò che accadde all’interno dello studio di Piazza di Spagna, o comunque nelle vicinanze del computer di Bisignani, venne registrato e ascoltato dai funzionari di Polizia.
Presto spiegata la mole di intercettazioni, che coinvolgono Ministri, Sottosegretari, politici, banchieri, imprenditori, Presidenti di Consigli d’Amministrazione, giornalisti, dipendenti Rai, militari, i vertici del Poste e i fornitori degli appalti per lavori d’informatizzazione di Palazzo Chigi. Insomma, senza sbilanciarsi in avventate conclusioni, ma anche senza nascondere la testa nella sabbia, capiamo che nelle mani dei pm di Napoli sta prendendo forma, nome su nome, una nuova lista.
Se nel 1981 il buon Gelli si affidava a un elenco dattiloscritto e talvolta corretto e appuntato a mano, oggi, con le nuove tecnologie, volatili e immateriali, la lista non serve, non c’è. È una lista virtuale: un mosaico che si arricchisce, con ogni intercettazione, di nuove “tessere”, giusto per rimanere in tema.
Dal cassetto di una insospettabile scrivania, che una volta aperto svelò all’Italia la P2 di Gelli, al portatile, trasformato in registratore di telefonate e chiacchierate scomode, che sembra possa far saltare molte teste nei Palazzi che contano.
Le sensazioni, bisogna dirlo, sono sempre le stesse. Anche noi giovani, che nel 1981 non eravamo ancora nati, sappiamo che la Tessera numero 1 della P2 non era quella di Gelli e che in qualche modo doveva esserci qualcuno ancora più in alto, ancora più potente. Ora, pur capendo l’importanza che può avere su politici, imprenditori ed establishment in genere, un “faccendiere” del calibro di Bisignani, risulta difficile immaginare che tutta l’Italia che conta (da un certo punto di vista) potesse pendere dalle sue labbra senza che dietro di lui ci fosse nessuno, persona o gruppo di persone sarebbe da verificare. Pertanto l’aria che si respira è pesante, e le espressioni Premier-ombra o Governo-ombra, usate in questi giorni per definire “Gigi” e la P4, non possono far altro che mettere i brividi.
Ora la magistratura indagherà, alcuni giornali saranno attenti ad ogni nuovo nome da mettere in prima pagina, e altri metteranno a tacere l’inchiesta nel giro di qualche giorno.
Del resto, se Bisignani in un’intercettazione parlava di controllo della stampa del Nord Italia, che egli avrebbe garantito alla Santanchè, e in un’altra registrazione si complimentava, con il suo interlocutore fisso Masi, per la gradita informazione del Tg1, potremmo mettere la mano sul fuoco per tutto il resto dell’informazione? Quante veline passavano dalle mani di “Gigi” prima di arrivare ai giornali? Da alcune intercettazioni emergono pressioni al sito Dagospia e da altre lamentele per un articolo sgradito dell’Espresso. Le interviste di Minzolini andavano bene e le notizie date in diretta, senza preavviso, da Report erano invece un pericolo. Senza parlare delle opinioni di Bisignani su Santoro.
Il controllo capillare dell’informazione, stampa e televisione, era uno dei punti del famigerato Piano di rinascita democratica di Gelli: come abbiamo visto le analogie con trentanni fa non sono poche.
Enrico Pellucco è uno studente del Corso di Giornalismo dell'Università di Parma.