La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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L’Europa a piedi da Santiago di Compostela alla fine della terra

16-09-2009

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Quei pellegrini devoti che odiano l’Islam…

18082009477“Avevo voglia di camminare”, sono partito come Forrest Gump, solo che lui ha scelto di andare più veloce correndo.. Cercare di osservare i cambiamenti del paesaggio attraverso la velocità del cammino. Con questo spirito sono partito per un viaggio in solitaria di 900 chilometri partendo alle pendici dei pirenei francesi a Saint Jean Pied de Port arrivando fino al punto più occidentale d’Europa, Fisterre e Muxia, nell’estremità del Capo della Morte, il luogo dove soltanto quell’avventuriero di Francis Drake poteva osare sfidare la flotta spagnola.
Attraverso il cammino di Santiago e poi il cammino laico verso l’ultimo avamposto d’Europa, incontrando gente di ogni parte del mondo che cerca di trovare un nuovo modo di guardare il mondo. Così, zaino in spalla, si parte e ogni giorno si compiono venti, trenta, a volte quaranta chilometri per raggiungere Fisterre, dove i romani si riunivano per vedere la morte del sole, in quel promontorio di terra che si inabissa nell’oceano Atlantico e segnava, per l’appunto, la fine della terra.
C’è chi parte per essere assolto dai peccati, c’è chi parte per intraprendere un cammino di fede, altri che hanno una visione new age dell’esperienza, poi c’è chi vuole mettere alla prova se stesso. Per essere assolti però bastano percorrere gli ultimi cento chilometri, quindi molte comitive si concentrano nell’ultimo tratto di sentiero che porta a Santiago.
Centinaia di migliaia di pellegrini che partono ogni anno. Man mano passano i giorni, ogni chilometro lasciato alle spalle, è chiara a molti che non è tanto il dove si arriva ad avere un significato ma il viaggio in sé. E’ stata la prima volta che mi è capitato, nell’Europa occidentale, di stravolgere le mie percezioni. In particolare del tempo e dello spazio. Oggi i piedi sono diventati un mezzo di trasporto, e per la prima volta ho osservato il mondo facendo affidamento soltanto sulla determinazione delle gambe.
In questo cammino si incontrano persone da ogni parte del mondo, come Lothar il 72enne che è partito da Monaco di Baviera e che ha compiuto 2400 chilometri in 110 giorni oppure Marcel che ha 69 anni è partito dal Belgio e i primi 21 giorni di pellegrinaggio li ha fatti completamente da solo, o Isabelle partita da Ginevra a 55 anni e con 48 giorni di cammino in solitaria.
Si collezionano storie, paesaggi e si incomincia ad utilizzare le gambe per viaggiare. E cambia tutto, si riesce ad osservare il cambiamento del paesaggio e si riesce a intuire quanto tempo occorre, in cammino, a percorrere 5-10-20 chilometri senza incontrare una fontana o un qualche bar di paese.
Un viaggio in cui si condividono bagni, le camerate di letti a castello e lo stesso percorso che porta alla tomba di San Giacomo e poi all’oceano. In cui si rinuncia ad un po’ di comodità, di vizi e in cui il corpo e la mente devono trovare un equilibrio per arrivare in fondo.
Camminare attraverso l’Europa serve a misurare anche come ci stiamo guardando. Spesso, nel corso del viaggio, quando sapevano che ero italiano la gente mi guardava e diceva: “Berlusconi” e dall’espressione mi guardava come se fossimo messi male, come se il nostro paese ai loro occhi non fosse libero.
In questo viaggio si ritrova anche la crisi mondiale con cantieri bloccati, con cartelli di vendita e affitto affissi ovunque: terreni, case e fabbricati. E l’incontro di persone di tutto il mondo porta con sé la comprensione che tutto appare fragile, e soprattutto chi conduce una vita normale sembra vedere il proprio futuro come quello di un equilibrista, dove da un momento all’altro è possibile cadere e sfracellarsi per terra. Ed è forse questo uno dei motivi per cui in molti scelgono di fare il cammino, più che per trovare Dio, per trovare persone, altri esseri umani che non trovano normale il mondo così come è. Questo cammino infatti è una vacanza da vestiti firmati, dalla televisione delle veline, dalla ricerca di un calciatore famoso o dalle volgarità di un primo ministro cannibale, che anche nel corso dell’estate continua a divorare il paese, tanto che non basta dire che non si è votato Berlusconi per far passare la vergogna. Forse perché a distanza da casa, in mezzo ai racconti di come funzionano le altre nazioni del mondo, si percepisce che stiamo facendo troppo poco per ridare dignità al nostro paese.

IL SIGNORE DI PADOVA
crocediferro2A metà cammino ho incontrato la prima persona che mi ha rivelato di essere lì esclusivamente per motivi religiosi. Penso: “Finalmente un uomo di fede”. Speravo di poter confrontarmi con una persona sensibile, con un Cristiano, anche per capire come vive una persona di fede il viaggio e soprattutto questo mettere in discussione le proprie abitudini e i privilegi della nostra parte di mondo. Purtroppo è bastata poco più di un’ora di dialogo per fuggire via, per passare quelle ultime ore del pomeriggio e osservare il paesaggio fuggendo dalle banalità di questo signore di Padova.
Il cammino di Santiago termina nella cattedrale dedicata all’apostolo, nella porta santa c’è un simbolo composto da Alfa e Omega. Solitamente questo simbolo è invertito, Alfa sta a significare la fine e Omega l’inizio. E, in diverse rappresentazioni, i due simboli stanno a significare che c’è un inizio e una fine in tutto. A Santiago invece l’Alfa, la fine, è posizionata prima dell’inizio, Omega. Questo per dire che la fine del pellegrinaggio deve rappresentare l’inizio di una nuova vita, di nuovi impegni, di puntellare la propria vita con nuovi impegni cristiani.
Il signore di Padova non sapeva nulla di tutto questo, mi ha raccontato delle sue fatiche nei primi tre giorni di cammino e di come si metteva sempre a piangere. Camminava e piangeva, perché le sue emozioni erano tali che non sapeva controllarsi, ammettendo anche che non aveva mai fatto così tanta fatica e provato talmente dolore fisico in tutta la sua vita. Lui, di fronte a queste osservazioni, dava per scontato che ogni sua lacrima fosse versata per vocazione di fede e niente altro.
Ho cercato di portare il discorso sull’etica, ma mi sono subito accorto che non avevo di fronte un uomo di fede ma soltanto un uomo di culto. Per lui, nella sua mente, c’era posto solo per una religione “buona”: quella cattolica.
“Gli scienziati sono tutti cattivi. Come lo sono i musulmani perché l’islam si basa sulla violenza e sul sangue. Gli scienziati vogliono distruggere la religione e hanno rovinato il mondo. Un Papa non sbaglia quasi mai. Ed anche se un Papa sbaglia dopo c’è un altro Papa che chiede scusa. Se gli scienziati inventano la bomba atomica non chiedono mai scusa, le conseguenze delle loro scoperte provocano orrori e non chiedono scusa a nessuno. Forse lo ha fatto Einstein ma lui trattava malissimo i suoi figli”.
crocediferroEcco, tra le altre cose, quello che diceva il signore di Padova.
Qualche sera prima una signora spagnola, che è stata tra le prime a percorrere il cammino di Santiago dopo l’appello di 23 anni fa di un parroco di paese, mi aveva avvisato: “Sul cammino ci sono più zaini che pellegrini”. Ho capito quanto ha detto soltanto dopo aver conosciuto il signore di Padova, che aveva uno zaino sulla schiena e nessun dubbio dentro di sé.
Il signore di Padova mi ha anche raccontato delle sue paure, di come sia possibile contrarre un virus in mezzo a tutta quella gente che cammina, dei cibi contaminati che si mangiano nel cammino e del rischio di prendere qualche malattia nelle docce comuni.
Di fronte al signore di Padova si potrebbe anche fare due risate, se non fosse che di signori di Padova il nostro paese è pieno. E che questi finiscono per pensare e vivere di paure, e non basta un cammino per salvarlo da se stesso.

CAMMINARE PER FEDE
Una volta arrivati a Santiago de Compostela, una delle ultime occasioni di ritrovarsi è la messa del pellegrino.
Sono fortunato, perché assisto anche al rito del butafumeiro che è una specie di pendolo che viene lanciato da una parte della navata all’altra per cospargere di incenso la chiesa. Un rito medievale che serviva per coprire l’odore dei pellegrini che arrivavano da ogni parte d’Europa a cospetto di Santiago. Oggi sono le comitive di turisti che lo rendono possibile, per metterlo in scena bisogna versare un contributo di 250 euro.
Prima del lancio del butafumeiro il sacerdote ha chiesto di non applaudire. Ma, nonostante l’avvertimento, al termine è scattato un applauso. Purtroppo gli applausi entrano in Chiesa come se fosse un teatro, o quando vengono compiuti questi riti oppure nei matrimoni quando si applaudono gli sposi.
La cerimonia è stata fredda, non ho trovato un messaggio “forte” teso a valorizzare il significato di un’esperienza. Soprattutto tenendo conto che i pellegrini che compiono lunghe distanze, arrivano alla fine del loro cammino con una forte richiesta di umanità nuova. Invece la cerimonia è incentrata sul sacrificio di Gesù Cristo e sul significato del perdono. Due aspetti che mi disturbano un poco, forse perché così lontani dall’idea di un impegno nuovo e diverso nel vivere il quotidiano.
Intorno a me, tra quelle migliaia di persone presenti al rito, probabilmente c’erano evasori fiscali, gente che sfrutta il lavoro degli altri diventando ricchi, persone che attraversano la strada con il rosso, che non muove un dito se non per la propria famiglia, che non sistema il tetto della casa dove dormono a 200 euro al mese dieci immigrati irregolari. Attorno a loro c’erano sicuramente anche molte persone per bene, come è naturale che sia.
Io sono agnostico, il sacrificio di Gesu’ Cristo come uomo, quello di dare la vita per dei valori e per qualcosa che era per lui universalmente importante per l’umanità, e’ un gesto che trovo scritto in tante persone che hanno dovuto fare lo stesso sacrificio. Oppure che hanno potuto portare avanti i propri valori senza dover pagare con la vita, ma rinunciando a comodità e tempo per sé.
roncisvallesQuindi, in questo senso, dovremmo considerare “santi” coloro che ne hanno incarnato lo spirito di “vita” e non di “fede”. In quanto la “vita” di Gesu’ Cristo, come uomo, era impregnata in questo coraggio civile, anche nell’arrabbiarsi e nel non dover sempre e per forza “giustificare” l’uomo che possiede o che ha più mezzi di altri.
La fede cristiana ha fondamenta solide in Gesù Cristo e nel suo sacrificio, non tanto come uomo ma come figlio di Dio.
Ed e’ per questo che il suo sacrificio è considerato  supremo. Personalmente, trovo più significativo il suo sacrificio come essere umano che come figlio di Dio, in attesa di sedersi alla destra del Padre.
Banalmente, la vita di Sophie Scholl e’ un esempio. Si e’ sacrificata giovanissima, forse parzialmente incosciente, per difendere e tutelare la libertà che le era stata tolta. La differenza sostanziale, oltre alle parole e alle azioni, tra lei e Gesù Cristo (ma potremmo fare l’esempio italiano recente anche di molte persone uccise dalla mafia) è che il suo sacrificio è di carattere umano e non divino. Quindi perde la vita come essere umano, e non come figlia di Dio. Ed e’ in questo che il sacrificio di Gesù  e’ considerato supremo, unico.
Ognuno di noi però può essere Gesù Cristo come uomo, cercando di interpretare la propria vita nel mettersi in gioco per difendere quello in cui si crede. E ricordare che il perdono costante e permanente, non deve diventare una giustificazione per vivere in una sorta di sereno disinteresse, distacco.
Ed e’ questo messaggio forte che e’ mancato. Quel nuovo inizio, anche fortemente critico verso la nostra parte di mondo, che avrei voluto ascoltare.
Quando il sacerdote ha ripreso le persone che applaudivano, le ha giustificate  spiegando che forse era l’allegria portata dall’abbraccio a San Giacomo. Forse doveva porre il dubbio e la riflessione se quello era il momento, il luogo e il significato del loro pellegrinaggio.
Certo, la messa e’ una rappresentazione ed ho trovato questa teatralità al centro della messa del pellegrino. Ma, forse, se si arriva fin qui, sarebbe giusto essere “condannati” a vivere davvero una nuova vita. Un nuovo inizio che si incarna nei pensieri e nelle convinzioni in modo naturale e non come fede, e che viene riportato come esperienza di vita in ogni giorno.

QUELLO CHE NON HO
Si fanno strani incontri nel cammino. Un pomeriggio, dopo essere arrivato in un tranquillo rifugio privato, in una piccola casa di pietra gestita da una coppia. Lui agricoltore, oramai in età da pensione e lei che cura semenze, piante medicinali e fiori.
In questo piccolo angolo di tranquillità, e’ capitato anche un pellegrino che abita a 115 km da questo luogo ed è partito da casa per fare il cammino. Lui è un ricco possidente terriero.
Ho ascoltato un dibattito tra l’hospitalero e questo pellegrino. E’ stato semplicemente meraviglioso.
Il possidente terriero è simpatico, ma fortemente stanco e annoiato dalla vita. Tanto che mi ha detto che ha fatto il cammino per ritrovare se stesso, per cercare il proprio spirito. La sua famiglia da generazioni ha terra a non finire e, prima di lui, suo padre era uno dei ricchi possidenti che coltivavano terra e davano da lavorare alla gente della sua città.
santiagoQuesto signore ha parlato tutto il tempo di cose grandi, di grandi trattori comperati, dei grandi investimenti fatti prima da suo padre e poi da lui, del grande e profondo pozzo per prelevare l’acqua grazie a grandissimi tubature… E degli immensi confini di tutte le  proprietà che deve amministrare…
L’altro, il signore che ci ospitava, è di almeno 20-25 anni più anziano ma guardava quest’uomo esterrefatto, immaginandosi cosa si prova a governare una terra talmente immensa… E gli chiedeva delle colture… E quasi l’altro non sapeva rispondere, se non in modo sommario, elencando le quantità di raccolto… La vita di questo ricco signore probabilmente è basata sul tenere sotto controllo strutture, coltivazioni e allevamenti molto grandi e non poteva soffermarsi più di tanto sui particolari. Questo, sembrava essere per lui un peso, sembrava quasi che parlasse con sofferenza quando immaginava i suoi capannoni, i suoi trattori, le sue proprietà, il numero di uomini che lavorava per lui stagionalmente.
L’altro, il signore più anziano, ha iniziato a parlare… Ed ogni tanto la discussione si interrompeva e riprendeva. Eravamo sotto un portico di legno di una casa di sasso. Bellissima, dove quanto era vivo e quello che lo era stato, come dei tronchi di albero secco o dei fiori, trovavano una collocazione perfetta, in un connubio naturale dove due gatti bianchi potevano tranquillamente riposare all’ombra e due cani, più pacifici caratterialmente dei gatti, potevano anche prendere il sole. Ai piedi del portico sorgeva un orto meraviglioso, fatto di ortaggi, verdura e piccoli alberi da frutta carichi di mele.
Un piccolo paradiso che cura direttamente questa vecchia coppia di amanti del cammino, in particolare il signore anziano ogni mezzora interrompeva la discussione per cambiare la posizione del getto dell’acqua, estirpare le erbacce o raccogliere piccoli peperoni verdi.
Dal modo in cui si muove e guarda il suo orto, l’anziano sembra amare quella terra e i suoi frutti. E’ come se conoscesse ogni singola pianta e attendesse il momento per raccogliere e gustare i frutti del suo lavoro. Lo si capisce quando porta in cucina i peperoni verdi appena raccolti, e chiede alla moglie di prepararli, per farceli assaggiare per cena.
Ad un certo punto il vecchio racconta di come funzionano le cose nel suo paese. Di come spesso la politica governi la terra. O di come lo fa anche la Chiesa.
Così, tra le altre cose, si e’ messo a raccontare al ricco proprietario di un suo sogno: “Esistono cooperative in cui ci si mette insieme e si fanno acquisti comuni, così anche chi ha di meno può avere i macchinari giusti, senza svenarsi per affittarli. E tutti si possono aiutare, e a fine anno, se ci sono utili, li si divide in base a quanto si e’ lavorato”.
E’ strano sentire queste parole, dette da un anziano, come se fossero idee “nuove”.
E’ strano anche ascoltare la storia di quando il vecchio era diventato rappresentante degli agricoltori del territorio. Lo è stato per due anni e come prima cosa ha annullato tutte le indennità di carica, nel senso che nessuno doveva più prendere soldi, perché si doveva prestare quell’attività per rappresentare il bene di tutti e non arricchirsi. Poi sono arrivati altri e ora anche il vice-presidente e il segretario ricevono un contributo e quelli che vengono eletti sono sempre gli stessi..
E’ strano anche osservare come quel vecchio ammirasse il signore più giovane. Quel ricco possidente con i piedi sfatti e gonfi, con gli occhi stanchi e il desiderio di liberarsi dalle cose che hanno grandi numeri.
Ed e’ ancor più strano come quel giovane ereditiere, che ha avuto tanta terra in eredità dalla sua famiglia, guardava la passione del vecchio nel prendere in mano un peperone, quasi come se fosse il suo tesoro.
ll possidente invidiava all’anziano agricoltore questa passione, lui che non ricordava nemmeno quanti girasoli aveva raccolto l’anno precedente, perché non aveva il tempo per dedicare attenzione a tutta quella terra.
Così, quel piccolo orto, mi e’ sembrato quasi un paradiso, forse perché il vecchio contadino riusciva ad amare quel pezzo di terra, e ne era anche ricambiato con i suoi frutti. Quegli stessi che hanno accompagnato e colorato la nostra cena.
E l’ereditiere, ogni cosa che toccava, beveva o assaggiava, gli sembrava venire dal lavoro del vecchio, e tutto gli sembrava così naturale da chiedere: “E’ fatto in casa vero? E’ da tanto che non sento un sapore così”.

NON ABITUARSI MAI
“Rendersi conto che si può vivere diversamente”. Credo che in tutto questo ci sia il significato del viaggio, del viaggiare. Il problema e’ soltanto uno: non dimenticarsene. Non finire per vivere tutto quel che si crede di “possedere” come un “per sempre”, non dare per scontato che le cose non possano cambiare, mutarsi.
E spesso facciamo questo errore, di far diventare abitudine le cose e le persone, dimenticandoci che tutto ha una fine e che ogni esperienza vale la pena di essere percepita, vissuta, provata, fino in fondo. Quando e’ bene e quando e’ male.
La cucina di mia nonna, quella, non tornerà più. Come non torneranno i suoi occhi, quando mi vedevano entrare dalla porta. Le sue mani ruvide che mi massaggiano la schiena. I suoi rimedi naturali contro ogni malattia.
Non è sempre la morte a dettare la fine di quello che possiamo fare, a volte sono gli impegni di lavoro, altre volte la nostra stessa vita ci costringe a dover rinunciare.
Io, ad esempio, sento di correre troppo poco e so che, probabilmente prima della mia morte, non sarò più in grado di correre. E ho percepito di nuovo, in questo viaggio, la sensazione della stanchezza, il battito del cuore che corre e il corpo che comunque va avanti.
Ci si abitua a vivere in una città. E non si vedono i particolari del luogo in cui si abita, non si alzano gli occhi al cielo, non la si guarda come cambia i suoi colori nel trascorrere delle stagioni, non ci si impegna quasi a renderla più bella con un piccolo sforzo personale. E’ terribile abituarsi a vivere nei luoghi perché non li si guarda quasi, bisognerebbe vivere cercando di usare gli occhi come se si fosse un estraneo, uno straniero.
Quando si sta per lungo tempo lontano da casa, si inizia a ricordare dei particolari a cui non si presta attenzione. Di ritrovare luoghi e persone, per guardare cosa e’ cambiato, come erano i colori delle piante quando si è partiti e come li si ritrova a distanza di tempo. Ad esempio mi sono accorto che ci sono particolari che osservo troppo poco. “Perché – penso – tanto sono lì e ci saranno sempre…”
E’ questo il discorso tremendo che fa l’abitudinario. Rimanda a domani o a un tempo indefinito l’attenzione a una cosa e a una persona: “Perché tanto c’è e ci sarà per sempre”…
Un ragazzo di Pescara, la prima volta che ha fatto il cammino, ha percorso il cammino per andare a Fisterre qualche giorno dopo un grande incendio che ha portato via ettari di bosco.
Quando è tornato su quel percorso, dalle sue parole sembrava sognare quell’odore di legna bruciata, lui tra l’altro fa il pompiere. Mi ha raccontato la fatica di respirare, l’aria piena di cenere prima dell’arrivo sull’oceano, quegli odori fastidiosi gli avevano fatto apprezzare quella sensazione di soffocamento. Non era la stessa sensazione che provava quando era al lavoro, lì poteva permettersi di sentire profondamente e leggere le sue emozioni.
Se ci pensiamo le abitudini spesso ci fanno avere paura. Perché chi ama abituarsi alle cose, non vuole stupirsi di nulla, ne’ provare meraviglia, ne’ subire piccoli o grandi terremoti intorno a sé.
Non vorrei esagerare ma bisognerebbe cercare di contrastare la quiete che si cerca nell’abitudinarieta’.
Fare le stesse cose ma farle in modo diverso.
E’ possibile, Raymond Queneau ha scritto “Esercizi di stile” ed ha dimostrato che un piccolo istante, qualcosa di apparentemente insignificante, può essere raccontato in centinaia di modi diversi. E che quindi questa molteplicità nella vita aumenta all’ennesimo. Come, in fondo, ci sono piccoli particolari, sfumature, che cambiano ogni volta.
Come quando la domenica si sta seduti nella sala a leggere e dalla finestra entrano i raggi di sole. Ed il riflesso a volte fa vedere il pulviscolo atmosferico e altre volte no: il pulviscolo c’e’ sempre ma non sempre riusciamo a vederlo… A volte possiamo solo toccarlo, respirarlo.
Così come il cammino, per chi vuole partire mettendo in dubbio le proprie convinzioni, può essere un’esperienza per osservare da vicino una nazione, perché non farlo in Italia ad esempio? Ma anche un auspicio per il nostro stesso paese, l’idea che qualcosa possa aver fine per ripartire di “nuovo”.
I romani solo qualche secolo fa si radunavano a Fisterre all’ora del tramonto per dare addio al sole che moriva per poi risorgere il giorno seguente ad oriente. Oggi tutto questo ci sembra buffo perché qualche uomo ha sfidato le paure della sua epoca e ha aperto una nuova frontiera delle nostre conoscenze. Così oggi vediamo come va il mondo e siamo convinti che non ci sia modo per farlo andar meglio di così. Per questo è necessario cercare di osservare quello che ci sta intorno con occhi diversi, per dare un nuovo significato a quello a cui ci siamo abituati. Forse è il momento di trasmettere la consapevolezza che è possibile immaginare un’Italia diversa, ed è realizzabile un’Italia in cui si possa provare l’orgoglio di vivere. Proprio perché non esiste la condizione di eternità, possiamo cercare energie e immaginare un modo per cui la vergogna non debba sopravvivere.

Gianluca GrassiGianluca Grassi è coordinatore del Portale Giovani di Reggio Emilia. Si è occupato di giornalismo, comunicazione e associazionismo, è tra i fondatori della televisione di strada Telecitofono e dell'associazione Gabella che ospita la Scuola di Etica e Politica Giacomo Ulivi. Ha curato Madreperla. La casa che non c’era per Diabasis.
 

Commenti

  1. valerio vittorioso

    gianluca io ho avuto la fortuna di incontrati personalmente e di vivere l\’esperienza del cammino in prima persona, e posso dire a distanza di giorni dal mio rientro che le tue parole per me sono come un raggio di sole.
    il mio rientro è stato difficle ma leggendo ora i tuoi pensieri e le tue impressioni,posso dirti che approvo tutto e che in prima persona ho deciso di cambiare alcune cose che per me prima erano scontate.
    darmi forza ogni giorno per cambiare in positivo la mia vita e dare forza quando posso ovviamente a chi e preso di continuo dalla monotonia della vita,anche perche come dici tu tutto rientra nel normale e scontato anche le cose piu\’ belle che per noi oramai sono normali che ci siano…
    be non sono bravo come te a scrivere e ad esprimere i miei sentimenti ma vorrei ringraziarti per i tuoi discorsi e per la forza che mi hai dato,anche se avvolte con un tocco di negatività realista. 🙂

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