Il patriarcato della sinistra si è arreso: Susanna Camusso prendo il posto di Epifani. È la prima donna a guidare il più importante sindacato italiano. In agguato le solite trappole: è più facile perdonare gli errori di un uomo che gli errori di una donna. E il veleno di chi sta dall'altra parte si sparge da mesi. Chissà cosa diranno al primo sciopero giornali e tv dei "padroni"
Monica LANFRANCO – La buona notizia: la Cgil diventa rosa
03-11-2010Ho un debole per le donne forti e mi rendo conto che questa è una strana espressione per esprimere un’opinione e descrivere una convinzione che appare come contraddittoria, mentre non lo è affatto. Ma in un’epoca contrassegnata, in Italia, dal simbolico berlusconiano straripante di sessismo e avvilente mercificazione del corpo femminile si stenta a trovare nella forza femminile, quella dell’intelligenza, della tenacia, del rigore e della competenza un valore riconosciuto e condiviso.
Persino nel movimento delle donne non è automatica e scontata l’attribuzione di valore verso una donna che raggiunga un vertice, sia esso nel campo della politica istituzionale, del mondo del lavoro, dell’economia, della cultura. Rosangela Pesenti, storica femminista attenta anche alle pieghe meno luminose del percorso movimentista, ricorda spesso come le prime a cancellare il valore delle altre siano proprio le donne, femministe comprese. Abituate alla costante svalorizzazione, da parte di ogni patriarcato, (compreso e soprattutto quello della sinistra), piegate da un clima di sessismo feroce che nell’ultimo periodo ha i tratti del grottesco, l’impressione è che si faccia persino fatica a vedere nell’elezione di Susanna Camusso un segno importante da cogliere, un’ancora di speranza alla quale agganciarsi per risalire il buio.
Di certo non è facile, per nessuna, arrivare ad assumere una incombenza così decisiva come quella di leader. In Italia, sin dai tempi dell’acquisizione del diritto di voto, il rapporto tra le donne e il potere è un terreno minato. Si fa fatica persino a nominare l’incarico di Susanna Camusso: quasi nessun media la definisce “segretaria generale” e si arriva ad effetti comici quali giri di parole del tipo “oggi si elegge la prima segretario donna della Cgil”.
In una realtà dove persino semplicemente sessuare nel modo giusto è complicato, come potrebbe essere facile vivere e agire quell’incarico? Se la semantica non trova pace, perché è il corpo stesso a creare problemi, a essere d’ingombro, come potrà la realtà essere accogliente? Sembra che quando c’è di mezzo una donna non ci siano curricula che tengano: ci sarà qualcosa che non va se sei arrivata fin lì. Magari non sarà stata una questione di letto, ma qualche compromesso lo avrei ben fatto per avere rotto quel tetto. Compromessi che mettono a rischio la radicalità, che limitano la trasparenza, che minano la fiducia.
E siccome siamo ancora ben lontane dal cambiare il mondo senza prendere il potere, come auspica John Holloway, il fantasma che aleggia su ogni donna che arrivi ad una qualche forma di potere riconosciuto è pesante, e si è meno inclini a perdonare una donna potente che un uomo potente. Ancora troppo svalorizzate, diminuite, umiliate nel complesso come genere dalla cultura arcaica che ammorba questo paese non riusciamo a trovare ragioni forti per dare credito alle poche di noi (specie a quelle che ci sono vicine come provenienza e percorsi) che riescono a emergere, proprio perché la maggioranza di noi è indietro.
L’antico morso dell’invidia, il profondo disagio generato dall’avere introiettato il demone dell’inferiorità ci parla ancora troppo forte, e soffoca l’empatia e la capacità di convenire, o di confliggere, in modo non distruttivo con un’altra donna, specialmente se questa è autorevole e potente.
Avevo poco più di 20 anni quando vidi per la prima volta Susanna Camusso: fu a Torino, un 8 marzo celebrato dal Coordinamento Donne Flm in un teatro. Ricordo il freddo pungente e grandi cesti di mele rosse posti a corredo del tavolo dove le sindacaliste relatrici accoglievano le convenute. Niente giallo della mimosa rituale, solo il rosso squillante di quei pomi. Seppi che quella bella donna bionda, che mi appariva molto più grande di me senza in realtà esserlo, era la sola donna dentro il sindacato più maschile di tutti, quello metalmeccanico, e mi parve una aliena irraggiungibile, a me ancora studentessa e giornalista ai primi passi.
Dopo molti anni l’ho ritrovata animatrice di “Usciamo dal silenzio”, una proposta feconda per il movimento delle donne proprio perché, a mio parere, lanciata come offerta di ripresa di mobilitazione e confronto politico al fuori da schemi di partito o di schieramento. L’ho vista ascoltare le ragioni e le voci di donne migranti e native in occasione dei 10 anni di vita di Trama di terre, e ammettere di dover studiare e ascoltare molto sui temi del rischio del multiculturalismo e del relativismo. Non è frequente, in Italia, che chi si trova in una situazione apicale riconosca di avere degli spazi di sapere e di competenza ancora da colmare, e si metta in ascolto.
In questi mesi che hanno preceduto la sua elezione ho letto e ascoltato giudizi offensivi e denigratori nei suoi confronti con argomenti che non sarebbero stati mai usati se si fosse trattato di un uomo. Come nel caso del duello, purtroppo perduto, tra Emma Bonino e Renata Polverini anche questa volta ci saranno due donne sedute da spalti opposti, e questo spalto, trattandosi di una partita ben più lunga rispetto ad una elezione regionale, ci darà la possibilità di misurare le capacità e i limiti di entrambe le protagoniste. Con una differenza importante: accanto e oltre alle tante identità che Susanna Camusso ha scelto per dare corpo alla sua passione politica c’è anche quella del femminismo. Una bussola fortissima, della quale abbiamo un disperato bisogno, che può mettere in moto cambiamenti enormi partendo anche da piccole cose, come ad esempio il modo di nominare una leader.
Rosa Luxemburg scrisse che il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome. Benvenuta, segretaria.
Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere MAREA. Ha collaborato con Radio Rai International, con il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione, con Arcoiris Tv. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici). Insegna Teoria e Tecnica dei nuovi media a Parma. Il suo primo libro è stato nel 1990 "Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi". Nel 2003 ha scritto assieme a Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi" e nel 2005 è uscito il volume "Senza Velo - donne nell’Islam contro l’integralismo". Nel 2007 ha prodotto e curato il film sulla vita e l’esperienza politica della senatrice Lidia Menapace dal titolo "Ci dichiariamo nipoti politici". Nel 2009 è uscito "Letteralmente femminista – perché è ancora necessario il movimento delle donne" (Edizioni Punto Rosso).