L’albergo per turisti di Yangon è a pochi passi dall’appartamento di Aung San Suu Kyi. Ci divide il piccolo lago artificiale Inya. Provo a camminare intorno. In apparenza sembra un luogo accogliente. Alberelli e panchine con i ripari di
legno, rifugio delle coppiette della domenica. Ho attraversato metà periplo del laghetto e osservo un vecchio posto di blocco con sacchetti di sabbia, abbandonato.
La Signora, così soprannominata familiarmente da tutti i birmani, ha abitato venti lunghi anni oltre la cortina che le impedisce la libertà e il contatto con il suo popolo.
Oggi Aung è in prigione nell’attesa snervante di un verdetto che arriverà entro l’11 agosto ( si dice ) dopo un processo lampo, iniziato lo scorso maggio. Intanto la Signora nel carcere di Insein con migliaia di altri prigionieri politici.
Un processo farsa che potrebbe scaturire solo dalla fantasia di George Orwell, al secolo Eric Blair, che ha vissuto in Birmania negli anni dell’Impero britannico lasciando un ricordo nel romanzo “Giorni Birmani”. La Signora figlia dell’eroe nazionale Aung San e collaboratrice negli anni ’60 del Segretario generale dell’Onu, U Thant , vive in esilio dopo il colpo di stato del 1962 e torna in Birmania alla fine degli anni ’80 quando muore la madre.
Catturata dall’amore per il proprio paese, la Signora si candida alla presidenza della Repubblica alle prime elezioni “libere”, dopo anni di dittatura. Nel 1989 la giunta militare dichiara la legge marziale e mette agli arresti domiciliari la candidata presidente.
Nel 1990 il partito di Aung, la Lega nazionale per la Democrazia, vince le elezioni generali con larga maggioranza, ma i militari non riconoscono il risultato della consultazione e la nuova presidente rimane confinata agli arresti domiciliari.
Il movimento di opinione occidentale sostiene la causa di Aung e nel 1991 le viene assegnato il premio Nobel per la Pace. Non sono bastate le rivolte studentesche e dei monaci buddisti, represse nel sangue. L’ultima del 2007 è stata una carneficina. Migliaia di monaci inermi sono stati trucidati e almeno tremila prigionieri politici si sono aggiunti ai vecchi.
A Mandalay ho chiaccherato quasi di nascosto con due intellettuali che hanno subito la tortura e i lavori forzati ,Par Par Lay e Lu Zaw.
Fanno parte della compagnia “Moustaches Brothers”, artisti famosi che rappresentano la tradizione del teatro popolare come i De Filippo a Napoli e, che per aver espresso le loro critiche al regime Birmano nel 1996, sono stati imprigionati e condannati ai lavori forzati, scontando cinque anni. Par Par Lay e Lu Zaw, hanno dovuto spaccar pietre con i ceppi ai piedi. Anche nel 2007 Par Par Lay è stato imprigionato per alcuni mesi per aver arringato la folla ad unirsi ai monaci durante la “rivoluzione zafferano”.
Da quando sono usciti di prigione nel 2002 non possono più esercitare la loro professione. Sono isolati, perché “pericolosi”. Ciò nonostante ogni sera, per i turisti stranieri, se ve ne sono, improvvisano uno spettacolo in casa fatto di battute, satira pura sui maggiori problemi(in lingua inglese con l’aiuto di cartelli).
Proseguono con brani di opera popolare, danza , mimo etc.
Allo spettacolo partecipa l’intera famiglia (come si può vedere dalle poche foto che ho scattato). Oltre a Par Par Lay e Lu Zaw, c’è la sorella, la moglie di Lu Maw (l’unico fratello che parla inglese), la cognata. Arriviamo su un taxi che in realtà un tre ruote partito clandestinamente dal nostro albergo tra mortaretti e urla per la festa della Luna Piena. Allo spettacolo partecipano quattro gatti, due israeliani uno spagnolo e noi italiani. Lu Zaw è l’unico che parla inglese. Con mimica internazionale spiega la truffa della bancarotta monetaria negli anni ’70 e l’uso dei “farmaci intelligenti” che tengono svegli i vecchi generali, gran superstiziosi che interrogano gli indovini temendo di essere sopraffatti dai commilitoni più giovani. La moglie prima danzatrice della Birmania esprime delle figure della danza tradizionale. Par Par Lay con un sorriso mimetico fa il verso a personaggi marionette del regime. Il padre ultra ottantenne controlla la strada per evitare incursioni dei militari. Lu Zaw spiega che sono dotati di mezzi tecnologici super raffinati per evitare improvvisi blackout. In poche parole il regime spegne la luce quasi ogni mese. Alla fine dello Spettacolo gli attori mi hanno implorato di portare un saluto al premio Nobel Dario Fo e un regalino. Si tratta di una maglietta con le loro facce. “Potrebbe indossarla nei suoi spettacoli …per parlare di noi?”.
Ma è arrivata in questi giorni la risposta tiepida di altri Nobel non italiani, purtroppo.
Dopo l’appello di Elie Wiesel, il 30 luglio alla vigilia del verdetto, sul quotidiano londinese Guardian, il reverendo Desmond Tutu, con un’accorata esortazione, dichiara: “Ogni giorno dobbiamo chiedere a noi stessi. Abbiamo fatto tutto il possibile per aiutare il popolo birmano al traguardo della libertà?”. Il processo alla signora è iniquo, eppure non è che il mondo si scandalizzi più di tanto.
Il capo di imputazione si basa sulla violazione degli arresti domiciliari, inflitti senza processo nel 1989. La signora ha sopportato pazientemente,come l’eroina del Palazzo degli Specchi di Amitav Ghosth, una carcerazione ingiusta.
Ricorda ancora la dinamica affabulatoria di George Orwell, l’irruzione a nuoto nella casa della Signora, a Yangon, di John Yettaw, uomo con passaporto americano. Solo la fantasia perversa dei giudici birmani, poteva imbastire un processo farsa, non contro l’artefice del fatto , comunque lo si voglia qualificare lo strano signor Yettaw, ma contro la vittima ignara, Aung San Suu Kyi.
La stampa e i diplomatici stranieri di Yangon sono stati ammessi alla prima udienza dibattimentale per poi essere esclusi i giorno dopo. Un processo fuori da ogni norma internazionale, senza pubblico, segreto e con una difesa dell’avvocato Kyi Win, dalle mani legate.
Il copione è sempre lo stesso come il processo all’attore Zanganar condannato nel novembre scorso a 59 anni di carcere per avere usato una garbata critica alla Giunta, guidata da Than Shwe.
Durante led udienze che hanno visto la Signora sul bando degli imputati, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon si è recato in Birmania per incontrarla, incontro impedito dal generale Than Shwe. Sono mancate al Consiglio di Sicurezza la coesione e l’autorevolezza per dare maggiori strumenti di pressione al Segretario generale.
La missione ONU poco pubblicizzata dai media occidentali, mira alla liberazione di tutti i prigionieri politici, compresa la Signora.
La Giunta sembra volere indire nuove elezioni il prossimo anno e ha assicurato che non ci saranno irregolarità a parte il processo farsa ad Aung la quale, nel caso di condanna, verrebbe esclusa dalla candidatura. Ulteriori trame segrete avvolgono la giunta militare di Than Shwe.
Il programma nucleare birmano risale al 1956 ed è rilanciato nel 2000 con l’accordo della Russia per la costruzione di un reattore all’uranio ad acqua leggera per la ricerca medica. Il programma, sospeso nel 2003 per mancanza di denaro è stato riproposto nel 2007.
Il regime Birmano, protetto dagli interessi economici della Cina, ha chiesto alla Corea del Nord la fornitura del know-how, relativo alle infrastrutture e alle tecnologie nucleari, in cambio di materie prime. Bisogna dire qual’è la materia di scambio con la Corea: droga. Continua lo strano via vai di di cargo tra i porti dei due Paesi. Nel novembre del 2008 il generale Thura Shwe Mann, capo di stato maggiore della difesa si è recato segretamente nella capitale della Corea del Nord con una lista di commesse militari. Sono i tecnici nord coreani che hanno costruito la città sotterranea birmana di Naypydaw, nuova capitale amministrativa dislocata tra le montagne al centro del Paese.
La Giunta militare sembra muoversi come nella Fattoria degli Animali. La corsa all’oro, nello stato dell’Arakan è un pretesto per sfruttare la popolazione locale con metodi schiavisti. Un monaco buddista della tribù arakan che ha partecipato alla sollevazione zafferano del 2007, afferma: “Per i militari, noi minoranze etniche siamo come le zanzare. Ronziamo nelle loro orecchie e loro ci allontanano con una manata senza preoccuparsi se nel farlo, ci uccidono – ma aggiunge – siamo in tanti”.
La speranza per il popolo birmano è la coesione e l’unione tra le etnie per spazzare via un regime, privo di umanità. La Signora è il loro faro e noi, concittadini birmani, come ripete Carmen Lasorella, dobbiamo tenere sempre accesi i nostri riflettori.
Nel mondo globalizzato la Birmania non è più dall’altra parte del mondo e Aung San Suu Kyi è la sola protagonista che sembra capire ” quale sia il posto della politica…quale dovrebbe essere… come opporsi al malgoverno e dittatura e se bisogna opporsi anche alla politica stessa… bisogna opporsi al suo cannibalismo… non le si può permettere di divorare ogni aspetto della vita”. Tra virgolette le parole di Amitav Ghosh tratte dal romanzo “Il Palazzo degli specchi”.
[nggallery id=5]
Bibliotecario al Corriere della Sera e giudice di pace. Ha pubblicato vari libri di poesie, l'ultimo si intitola "Pandosia".