Madrid – Il mio cuore di dodicenne fu trafitto da un’Idea d’Uomo nel pomeriggio di ottobre, 1988. Ero nella Plaza de Acho, il colosseo dei tori di Lima, e faceva la sua entrata il matador venezolano Morenito de Maracay. Un giovane mulatto dai boccoli gonfi, scintillante nel suo traje de luces verde e oro. Gli uomini del pubblico, coi cappelli chiari, gustavano vino rosso e accendevano sigarette. Le fidanzate erano giá accese per conto loro, ma in silenzio. Lui non combatteva col baccano del gladiatore, bensí ondeggiando attorno all’animale con la grazia di un ballerino di “Vogue”. Come una nuvola gioca, a tratti, a nascondere il sole. Il toro “obbediva all’inganno”, cioé seguiva la muleta (il manto rosso) senza sosta, trottando agile e colossale. “Bravo, toglili le gambe!” celebrava un anziano, sperando che l’animale si sfinisse da solo, poco a poco. Gli uomini analizzavano il contesto commentando circa l’umore del toro, il suo nervosismo o il poco carattere, e disquisivano sulla lettura strategica che ne faceva il matador. Loquacitá tipica del tifoso durante una partita di alta tensione. Le donne invece non sapevano cosa farsene delle parole. Non vedevano il toro, a meno che sfiorasse malignamente il bramato corpo di Morenito de Maracay. Poi, il toro cominció ad “osservare il viaggio”: ossia, a soffermarsi con lo sguardo sulle mani del torero, che avvicinavano ed allontanavano lentamente il manto, in una soffice ipnosi. Ma non era vinto. All’improvviso, gli piantó un corno nel fianco e lo fece rimbalzare blandamente sull’arena come un pallone forato. Il pubblico si alzó proteggendo l’Uomo con urla, che irritarono ulteriormente il toro: mezza tonnellata di rabbia e di solitudine ammassata contro il recinto di legno, quasi a rispondere alla moltitudine. Morenito fu soccorso ma poco dopo decise di rientrare, nell’ovazione generale. Sconfisse il toro, raccolse qualche rosa scarlatta che le piú oneste gli gettarono: le bació, fece un inchino. Di quell’uomo imbrattato del sangue proprio e dell’animale mi rimase impresso il coraggio, la galanteria. E pensai che piú il fatto che fosse morto quel pomeriggio, mi doleva che se ne fosse andato, restituendomi alla quotidianitá dei miei tragici compagnetti delle medie. Quel sogno costava un biglietto: e lo spettacolo era finito, come il pomeriggio. Passano gli anni e c’é ora chi vuole che la fiesta dei tori e dei toreros si spenga per sempre.
A Barcellona la Plaza de Toros chiuderá battenti nel 2012. La regione Catalunya ha abolito le corridas, dopo un iter legislativo durato due anni. Allora, una Iniziativa Legislativa Popolare ottenne 180’000 firme (sulle 50mila necessarie) per fare valere le ragioni del “no”. Da parte sua, la Barcellona pro-taurina si manifestava: in meno di un’ora venivano venduti tutti i biglietti per la corrida di José Tomás, con rivendite a 3 mila euro. Il 18 dicembre 2009, 67 deputati del Parlamento Catalano votarono per la proibizione, 59 contro. Si chiude.
A Madrid, cuore della tauromaquia mondiale, non é stagione di tori e il Museo Taurino é chiuso per restauri. Riaprirá a primavera, con i suoi aromi di donne e di fiori. Ma la lotta contro il toro non é nata ieri, bensí nell’Etá del Bronzo. Si dice che i primi ad essere stati visti intrattenersi in questa pratica nella penisola iberica furono i “mori” di Toledo, Córdoba e Sevilla, nelle cui corti, al tempo le piú colte d’Europa, i nobili celebravano questo spettacolo di valore e destrezza. Successivamente, i nobili cristiani adottarono la tradizione. I principi collegati alla Chiesa cattolica esitarono se autorizzare o proibire questa pratica. Per poco tempo, fu negata la sacra sepoltura a chi periva nella fiesta del toro. Ora esistono cappelle nel dietro le quinte delle corridas. Ci si confessa prima di uccidere, sperando di non venire uccisi. Come nelle guerre convenzionali e come in quelle fra eserciti di narcos in Messico e in Colombia. Lo stesso segno della Croce a proteggere tutti. Secondo il celebre proverbio que Dios nos coja confesados (“che Dio ci becchi confessati”).
Oggi, nella Plaza del Sol, fra bande di panzuti mariachis messicani e poliziotti a cavallo che sorridono alle turiste, i militanti dei diritti degli animali, acerrimi antitaurinos, cercano di convincere i madrileños, zoccolo duro della falsa coscienza, che “la tortura non é arte né cultura”. Con la bandiera di Ghandi, proclamano che la grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali. Definiscono la corrida un assassinio elegante, crimine pubblico da applaudire, vestigio cruento di altri tempi. Sadismo, codardia, brutalitá. Ogni estate si assassinano oltre 70 mila tori in 13 mila fiestas in tutta la Spagna. L’elenco degli strumenti e delle tecniche di tortura fa pensare all’Inquisizione, agli interrogatori della CIA o a qualche follia satanica. La lancia del picador é lunga 40 cm, le banderillas hanno un gancio ricurvo di 8 cm, la spada che trapasserá tutto il torace é un orrore di 80 cm. Insomma: il toro viene dolorosamente debilitato per avvicinarsi al suo destino. Se non vuole morire, verrá colpito sulla nuca con un pugnale di 10 cm. Il torero non é un eroe. E´la farfalla inebriante di un martirio doloso. Anche una bestia sente dolore, si sente abbattuta, senza potere e senza speranza. La bestia difende se stessa e i propri figli. La vera bestia é l’uomo. Potresti fare quello che fai all’animale a qualsiasi altro essere umano che potesse difendersi?, mi chiede con innocenza il mio coetaneo dall’altro lato della bancarella della sensibilizzazione. Mi guardo i piedi: dannatamente nel giusto. Ai dodici anni non “sentivo” il respiro affannoso del toro, il suo vomito di sangue, il fatto che la sofferenza l’avesse accecato. Fissavo Morenito sulla passerella e non capivo niente. E preferisco non mettere piede ancora in un circo taurino perché non sono padrona di certe debolezze. Rialzo gli occhi e il coetaneo mi informa che sia il Partito Popolare che la Izquierda Unida (Sinistra Unita) appoggiano le corridas anche nei loro programmi elettorali. Il Partito Socialista non si pronuncia al riguardo, il che equivale ad esserne “complice”. Secondo la Fundación Altarriba, le attuali sovvenzioni statali per le corridas ascendono a 564 milioni di euro. Tauromafia!, protestano. Gli imprenditori taurinos rispondono che vengono fortemente tassati.
I militantes antitaurinos non si capacitano del fatto che il Ministero dell’Interno regolamenti le escuelas taurinas per fomentare nuovi professionisti. Vedo passare una mandria di bambini con la divisa del Real Madrid: sognano col diventare i prossimi Cristiano Ronaldo e Sergio Ramos, per strillare “gol!”. Vicini di casa di altri piccoli che invece giocano alla lidia, al toro e al torero, urlando “olé!”, sotto lo stesso azzurro di velluto della capitale.
Ció che rende il toreo una tradizione antica é l’estetica del pericolo: non solo in essa deve prodursi l’opera d’arte. In quell’opera d’arte, l’interprete puó anche morire. Questa passione, accerchiata dalla musica della banda, dallo sventolio di panni bianchi e applausi del pubblico, genera brividi sensuali. Il premio Oscar Adrian Brody cerca di interpretare Manolete nell’omonimo film con la collega premio Oscar Penélope Cruz, ma non c’é verso: Brody cammina con la goffaggine dell’uomo troppo alto, e con una disperante malinconia intellettuale nello sguardo. Nulla a che vedere con la ruvida avvenenza dell’amante-torero che ha sedotto Shakira e Madonna. Non a caso, reso protagonista dei rispettivi video “Te dejo Madrid” e “Take a bow”. Con la sua leggerezza di gabbiano, con la stoccata fatale, con la vanitá provocante. Per non parlare della reazione ormonale delle donne comuni (non miliardarie), che commentano ai videos di youtube dei Manoletes attuali -El Fandi, Castella, El Juli, Perera, Manzanares – “Amore mio! Sei l’orgoglio della mia cittá, Granada! “Matador, guapo, maschio supremo, zingaro spagnolo”. “Sono tua fan fino alla morte”. Nella celebrazione maschilista della illusio virili illusio dominandi, c’è anche chi sostiene che “chi odia il toreo ha paura del sangue, non é un vero uomo”.
Mario Vargas Llosa, fresco Premio Nobel per la Letteratura 2010, sostiene che solo nei paesi taurini (Spagna e gran parte dell’America Latina) existe una cultura che coltiva con inmensa dedicazione e amore una varietá di animali senza la cui esistenza, una significativa parte dell’opera di un García Lorca, un Hemingway, un Goya, un Picasso, e una lunghissima stirpe di artisti di tutti i generi per i quali la fiesta é stata ispirazione di creazioni maestre, sarebbe fortemente impoverita. Per il poeta Antonio Machado, in Juan de Mairena: «Col toro non si gioca, dato che lo si uccide, come se dicessimo in un modo religioso, in olocausto ad un dio sconosciuto». Se la fiesta scomparisse, svanirebbe anche un signorile vocabolario nato sull’arena. Manuali di psicologia marziale venduti a due euro nelle trenta casette di legno, antiche di un secolo, del mercatino di libri usati di Cuesta de Moyano, accanto al Parque del Retiro. “Non vi é arte che si eserciti bene senza la conoscenza dei suoi principi”, recita il capitolo III. Segnala che le cogidas (l’essere investiti dal toro) derivano dal mancare alle regole del toreo, per ignoranza, perché si scivola, perché il torero si anticipa o ritarda, perché non realizza correttamente la suerte (l’invito-schivata al toro, e giustamente sinonimo di “fortuna”). E’ importante il tempismo. Come l’applicare le tecniche collaudate. Che dire dell’improvvisazione della sopravvivenza: se il toro ti ha tramortito per terra, resta immobile. Dovesse avvicinarsi, muovi le gambe, cosicché – si spera- ti trafiggerá lí anziché nel torace. L’obiettivo primo del diestro (chi sará il matador), é “penetrare le intenzioni del toro”. La battaglia sará diversa dipendendo dalla personalitá del toro: se é boyante, é chiaro e semplice, investe magari in modo scomposto; se é bravo, travolge bene e in fretta, ma forse non é constante; se é chocante, non teme il ferro; se é feroz, é violento e ribelle; se é fiero, é sanguinario ma si frena repentinamente. Poi ci sono i peggiori, due categorie: quelli che entrano nell’arena e si bloccano subito. La riconoscono. Le sue intenzioni sono imperscrutabili. E quelli che subiscono le transformaciones. Iniziano timidamente per diventare rabbiosi; o l’opposto. Una sola cosa certa: il toro tende a muovere l’orecchio nella direzione dove preferisce dare la cornata.
Se scomparisse la corrida scomparirebbero gli allevamenti di toros bravos. I tori farebbero una vita noiosa e placida. Senza la possibilitá di sventrare qualche imbecille di torero e vendicare cosí una storia complicata con la specie umana, come i polli non hanno occasione di fare. Esiste anche la possibilitá della “doppia fortuna”: il toro e il torero che si sfidano armoniosamente senza sbavature e crudeltá, vengono premiati, a furor di pubblico, con l’indulto. La corrida si ferma alle banderillas, il toro viene ritirato dietro le quinte, a salvo. Il torero tocca la gloria.
Vargas Llosa sostiene che «se il punto é eliminare la violenza che gli esseri umani infliggono al mondo animale per alimentarsi, vestirsi e divertirsi, che lo si faccia in modo integrale, senza eccezioni. Sacrificando le corridas, gli zoo e ovviamente i piaceri gastronomici, le pelli, tutti gli utensili di cuoio, e persino le campagne di erradicazione di certi insetti. Che colpa ha l’anopheles femmina di trasmettere il paludismo, il topo la peste bubbonica e il pipistrello la rabbia?».
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).