Ogni scarrafone é bello a mamma sua, si dice a Napoli. Ma perché alcuni dittatori vengono criticati e altri no, o con piú affettuositá, nonostante tutti pecchino degli stessi abusi? Perché, ad esempio, alcuni scarrafoni –specialmente in Medio Oriente- non hanno una mamma che gli voglia bene? Pragmatismo e clientelismo mummificano alcuni regimi affinché siano benedetti dagli déi del tempo. Nel giugno 2009, al convegno della Confindustria, Berlusconi disse di Gheddafi: “se è a capo da quarant’anni evidentemente è uno che ci sa fare”. Nell’abc della geopolitica e del prisma distorto dei mass-media occidentali, una differenziazione-chiave fra le dittature. Al modo del presidente statunitense Roosvelt, “sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana“.
Le dittature non riguardano solo i fedelissimi e il loro opposto, i morti e gli incarcerati. Seminano anche amanti internazionali. Talmente tanti, che i dittatori hanno la sensatezza di elaborare liste dei flirts coi quali continuare a cinguettare di business a cambio di silenzi stampa su cretinate come i diritti umani (che, se magna?). Ad un certo punto arriva il vento arruffone della Storia e i segreti amorosi vengono zoticamente esibiti. Wikileaks ha solo ripetuto a voce alta “il re è nudo”, ossia gli interessi politici ed economici trascendono le farse ideologiche che contrappongo i vari Beni ai vari Mali. Chi lo vedeva prima, lo sapeva da tempo, che il re é nudo e che nessun potere é innocente.
Sembra ieri: il regime di Saddam Hussein viene rovesciato. Nel 2004, un gruppo di opposizione iracheno entra in un ufficio dell’intelligence a Baghdad. Trovando una lista, che, pubblicata inmediatamente dal giornale Al-Meda, fa crollare il mazzo di carte dei gatti sornioni che facevano le fusa al regime del Baath. Nella moltitudine, giornalisti arabi, parlamentari inglesi, giordani, egiziani, sudanesi, editori di giornali arabi a Londra, membri della familia reale degli Emirati e del Qatar, il partito comunista russo, il partito democratico nazionale russo, la figlia dell’ex presidente libanese Lahud, il labour party della Romania, il figlio dell’ambasciatore russo a Baghdad, l’Accademia Russa di Scienze Politiche, il partito comunista della Slovakia, il partito radicale della Yugoslavia, la figlia dell’ex dittatore indonesiano Sukharno, e tanti altri camei. Al tempo dell’embargo e delle sanzioni delle Nazioni Unite, il regime di Hussein non disponeva di liquiditá per pagare i pesciolini esotici del suo acquario. La lista spiegava, quindi, quanti barili di petrolio spettavano a chi. Ad esempio, nel caso degli immancabili nomi italiani (scritti in arabo, molti gli pseudonimi), risultavano, fra altri, “padre Benjamin” (2 milioni e 55 barili), Miss Enrica Beniti (1 milione e 113 barili), Salvatore Nicotra (13 milioni e 787 barili).
Quante liste come queste esistono, finanziate dalle attuali dittature? La forma in cui il Medio Oriente viene ritratto dai media, riflette la realtá o, anzi, é stata e viene influenzata da queste tipo di liste? Attualmente si rimprovera il regime iraniano. La cui punta dell’iceberg, a livello di lobby per i diritti umani, è rappresentata dal caso Sakineh: una donna iraniana accusata di adulterio e omicidio, che rischia la lapidazione. La sua gigantografia è visibile in molte piazze in Italia e all’estero. Come anni fa l’immagine della Betancourt univa il mondo nella consapevolezza che le donne, famose o sconosciute, caricano il peso della violenza politica e della discriminazione di genere in tutto il mondo. Raramente, peró, si sente nominare le Sakineh dell’Arabia Saudita: dove le donne non hanno ancora potuto raggiungere il livello di diritti che le loro compagne hanno giá in Iran. Vediamo: l’Iran rende celebri i nomi di protagoniste della scena politica, da Premi Nobel per la Pace come Shirin Ebadi alle vittime della repressione dei basij, come Neda. Le donne saudite, negate sotto il burka di legge, non possono né votare né guidare; sono frustrate e incarcerate se “frequentano” uomini; non possono viaggiare senza il permesso di un parente maschio. Non é immaginabile per loro essere politicamente attive, molto meno contro il regime, come invece succede in Iran.
Dal 2005 al 2008, l’Arabia Saudita ha comprato $11.2 miliardi in armi dagli Stati Uniti, piú di qualsiasi altro paese nel mondo. La passione é irrefrenabile. Secondo la CNN, nell’autunno 2010, gli Stati Uniti hanno firmato un accordo di vendita di armi per $60 miliardi per i prossimi 20 anni. Ma non si tratta forse di una teocrazia autoritaria, il cui sistema giudiziale ha una interpretazione wahabita dell’Islam? Una interpretazione non vaporosa: condanna a 17 anni il signor Hadi Al-Mutif, per aver fatto uno scherzo sul profeta Maometto. A giugno di quest’anno Obama ha ricevuto il Re Abdullah alla Casa Bianca, e second Terry O´Neill, president della National Organization for Women, il tema dei diritti umani e di quelli piú violati, i diritti delle donne, non è stato nemmeno sfiorato. Eppure l’attivista saudita per i diritti delle donne, Wajiha Al-Huwaidar, in una lettera aperta aveva supplicato il Presidente di portare all’attenzione di Sua Maestá il tema della riforma del sistema di tutoraggio maschile saudita. Erano i tempi del disastro petrolifero nel Golfo del Messico, e Wahija scrisse: “quegli uccelli ricoperti di macchie di petrolio, possono appena muoversi: non hanno il controllo delle proprie vite, e non possono volare liberamente in un posto dove possono sentirsi sicuri. Questo descrive le vite delle donne saudite”. Risposta implicita del leader del Mondo Libero e della Teocrazia piú solida del Medio Oriente: business is business. Per fortuna che il Segretario di Stato é una donna, come ironizza Robert L. Bernstein, fondatore di Human Rights Watch. Si sa, é tutto relativo, politicamente e culturalmente. Nell’Ambasciata saudita a Washington, una disposizione stabilisce che “le signore non possono chiedere un visto di transito se non sono accompagnate da un parente maschio”. La discriminazione razziale è meno insopportabile della discriminazione di genere?
I media occidentali appoggiano l’opposizione iraniana che accusa l’ambiguo regime di Ahmadinejad di frode. Chissá perché non fanno lo stesso riguardo il caso del regime egiziano, dove Mubarak governa dal 1981. A capo del Partito Nazionale Democratico. Quando si dice “una risata vi seppellirá” se non fosse che i sepolti sono tendenzialmente gli oppositori. E’ un’altro, Mubarak, che “ci sa fare”? Senza dubbio. L’articolo 67 della costituzione egiziana stabilisce una delle condizioni che rendono il diventare candidato presidenziale in Egitto un fine inconseguibile: occorre avere l’appoggio di almeno 250 parlamentari. Il regime si intrattiene a tracciare legislativamente il labirinto cieco della “democrazia”, in modo che nessun altro al di fuori del partito al governo, arrivi a governare. Piú che “libere”, sono le elezioni “possibili”: quelle che confermeranno l’unico candidato. Durante le ultime “elezioni” parlamentarie in Egitto del 28 novembre di quest’anno, il partito al potere è stato confermato a suon di intimidazioni violente nei confronti dei partiti dell’opposizione. E´un regime che sceglie sia il governo che i suoi oppositori (avendo messo fuori legge i Fratelli Musulmani). Perché lui non é cosí abietto come Ahmadinejad? Perché é il nostro figlio di puttana. Chiedi Egitto, ti danno lo squalo di Sharm-el-Sheik.
Quante liste segrete devono ancora essere scoperte? E quanti degli “opinion-makers” specializzati in Medio Oriente, risultano nelle liste? Medio Oriente e Occidente: ci sapete fare entrambi.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).