Patrick FOGLI – La prima repubblica è finita con le stragi di mafia, come finirà la repubblica di Arcore?
19-09-2011“Le bombe vogliono aprire la strada a qualcosa, non rovesciare qualcosa. Il potere politico è già stato rovesciato o quasi”. La frase è di Bettino Craxi, le bombe a cui fa riferimento sono quelle di mafia, del ’93. La pronuncia in quei giorni e ascoltata oggi, con quello che dovremmo sapere, fa quasi paura.
Marx dice che la storia si presenta sempre due volte, prima in tragedia e poi in farsa. Così la seconda Repubblica pare la trasposizione da Bagaglino di un dramma di Shakespeare. Sempre che – ed è la mia opinione – non siamo ancora fermi agli anni Ottanta.
Proprio mentre scrivo, Alfano spiega che in democrazia un esecutivo se ne va solo in due casi. Se il presidente del consiglio si dimette o se il parlamento lo sfiducia. Vero, nemmeno discutibile. E il problema contingente è proprio questo.
Che sia finita è evidente, ma come se ne esce?
Immaginare la fine di Berlusconi è un tentativo destinato al fallimento, quasi disperato. Basta leggere le pagine di intercettazioni che ci sommergono, per capire che la realtà è anni luce avanti – o dietro – la più fervida fantasia. Una riflessione, però, vale la pena farla. A lungo termine la più probabile è una fuga venduta come esilio, in una delle tante ville sparse per il mondo, in un paese a cui l’Italia non chiederà mai l’estradizione.
Il problema è prima. Adesso.
L’uomo che fa girare le ragazze di piccola virtù non se ne andrà di sua volontà. Non ne ha l’intenzione e neppure la possibilità. Perdere il potere significa rassegnarsi a quella fine di cui sopra, a uscire di scena da sconfitto, a perdere tutto in un colpo l’alone di invincibilità di cui si vanta così spesso, che ritiene dovuto e indubitabile per uno statista della sua dimensione.
Berlusconi non mente. Crede alla realtà che dipinge, al mondo che si è costruito, alla finzione poco letteraria del sole in tasca e del sorriso fisso. Crede alla persecuzione giudiziaria e comunista, al proprio prestigio internazionale, alle doti di seduttore, alla capacità di beneficiare gli altri con la propria presenza o le dazioni in denaro.
Partire da questo presupposto, da un ego che batte moneta e da una corte di giullari e manigoldi, per forza di cose immune al dissenso, è utile a capire quello che sta accadendo e che, è bene dirlo con chiarezza, ormai prescinde dalla sua figura ed è spaventoso proprio per questo.
Si racconta un aneddoto di Ettore Petrolini. A uno spettatore che, da un palco, disturbava lo spettacolo, Petrolini dice: “Non ce l’ho con te, ce l’ho con quelli di fianco che non ti buttano di sotto”.
Basterebbero una dozzina di deputati e altrettanti senatori, stanchi della continua delegittimazione del loro ruolo, del governo, del Parlamento, per chiudere il gioco. In tutto meno del 10% della maggioranza. Pochi, pochissimi. Ma esistono?
Il parlamento in carica è il livello più basso rappresentato dalla storia della politica italiana. Quando scopriremo cosa si nasconde dietro la stampella che tiene a galla questo governo dopo l’uscita di Fini, credo che sorrideremo di nuovo con imbarazzo. L’unica speranza, difficile da ammettere, è che la Lega annusi nella fine del nostro la sua stessa disfatta, ma le due B che ci hanno governato negli anni non sembrano destinate a separarsi prima dell’epilogo.
Come finirà, allora?
Male, è ovvio.
Chiunque abbia avuto un grande potere in Italia, lo ha perso in tragedia. È accaduto alla Democrazia Cristiana, schiantata da Tangentopoli. A Craxi, costretto alla fuga. La carriera di Giulio Andreotti si è estinta con l’accusa di mafia e la condanna prescritta. Più indietro, l’avventura del fascismo si è schiantata a piazzale Loreto. Ed è bene precisare che nessuno, nell’Italia democratica, ha mai avuto un potere simile a Silvio Berlusconi. O lo stesso disinteresse per ciò che non lo riguarda.
In tutti i casi citati esiste, però, una caratteristica comune.
In fondo, a voler semplificare, li abbiamo cacciati noi.
Il potere della DC è scomparso perche gli scandali ne hanno distrutto il consenso. Craxi ha subito le monetine del Rapahel. Mussolini la fine che conosciamo. Andreotti lo abbiamo sepolto in un conveniente e complice silenzio.
Lo stesso silenzio di oggi.
È questo che mi preoccupa. Mi piace pensare che in tempi anche recenti, l’uomo di Arcore sarebbe stato costretto a dimettersi, sgretolato dalla fine del suo stesso consenso, deriso ogni volta che prova a mettere il naso fuori casa, distrutto dalla consapevolezza del tradimento di chi, fino a poco prima, lo amava.
Non accadrà, temo. E se dovesse succedere, sarà perché la rabbia scatenata dai portafogli vuoti, dai soldi che svaniscono e non tornano più, sarà salita parecchio oltre il livello di guardia. E, in quel caso, i problemi saranno peggiori.
Se rigetteremo B come un organo in un trapianto, non sarà perché non lo vogliamo, perché la sua occupazione dello Stato ci indigna, per le amicizie in odore di mafia, per la volgare compravendita di carne in cambio di appalti, per le menzogne smaccate e quotidiane, le battute da trivio, le promesse mancate, la corte dei miracoli.
Se ci fosse un tenore di vita accettabile, continueremo a digerire tutto.
Lo stiamo facendo, mentre c’è chi rivendica la propria scaltrezza, l’assenza di scrupoli e di merito come la cifra fondante della qualità di una persona.
Per questo finirà male.
Il problema vero riguarda quello che accadrà quando avremo archiviato questa follia sguaiata, dimentica del buon senso, che ha sequestrato il potere con l’accondiscendenza del potere stesso, nella migliore tradizione della sindrome di Stoccolma. Ricostruire, mi preoccupa.
Su Berlusconi si è sempre saputo abbastanza eppure è stato eletto quasi cinque volte, non possiamo nasconderci dietro un dito. È accaduto perché ci riconosciamo nel suo modello di vita, nei suoi valori, lo riconosciamo simile o invidiabile, pensiamo che quello che professa e mette in pratica possa farci comodo.
La domanda vera, quindi, è una sola.
Finirà davvero?
Svanito Silvio da Arcore, siamo sicuri di voler diventare diversi?
Patrick Fogli, ingegnere elettronico, è considerato dalla critica uno degli scrittori più interessanti e originali della narrativa italiana di oggi. Tra i suoi romanzi ricordiamo "Lentamente prima di morire", "L’ultima estate di innocenza" e "Il tempo infranto", sulla strage alla stazione di Bologna. Il suo ultimo libro, scritto insieme al giornalista d'inchiesta Ferruccio Pinotti, è "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi" (Piemme 2011), ambientato nell'Italia delle stragi del 1992-93, della strage di via D'Amelio, della trattativa stato-mafia tra la fine della prima repubblica e la nascita della Seconda, con l'avvento del Cavaliere. È direttore artistico di "Duemiladieci", che si svolge nel mese di giugno a Carpineti (RE). Il suo sito è www.patrickfogli.com