Ma che cosa deve fare il sindaco de l’Aquila, Cialente, per far arrivare al Paese il suo grido di dolore? Ogni giorno una iniziativa, una protesta, ma i tg (a parte il Tg3) guardano da un’altra parte. Anzi, se ne parlano, come ha fatto il Tg2, è per dare la parola a Bertolaso, e fargli dire che la ricostruzione non parte per colpa degli enti locali. Invece, a Otto e mezzo, a contraddire Cialente c’era il senatore Fabrizio Di Stefano (Pdl), che si vantava di essere abruzzese, ma cercava solo di non far capire che non ci sono soldi per la ricostruzione. E perfino per pagare l’albergo agli sfollati. Essere abruzzesi è un’aggravante, se si vuole solo nascondere la responsabilità del governo. E in particolare del suo capo, che del terremoto si è servito per farsi propaganda e far lavorare gli amici dell’amico della cricca. Mentre ora impone il bavaglio ai Minzolini ammaestrati. Anche se della legge bavaglio non si parla più, in attesa di Ferragosto, verità mia non ti conosco.
Brancher, ministro impedito: Berlusconi e Calderoli non ridono più
Tutti i tg ci hanno fatto vedere e rivedere la scena della firma, con Calderoli a fianco del presunto ministro Brancher a fare quasi da garante e il Presidente della Repubblica di fronte, a dare ufficialità alla cerimonia. E ora che Napolitano si è espresso contro l’ignobile farsa dell’illegittimo impedimento, i signori della destra più sfacciata (leggi Capezzone, che non è neanche un signore) ci vengono a spiegare la divisione dei poteri, di cui si sono sempre fatti un baffo. E cioè: le leggi le fa il legislatore, il giudizio sui reati spetta ai magistrati, mentre il presidente della Repubblica non ha voce in capitolo. Insomma, quando hanno portato al Quirinale un nuovo ministro, Berlusconi e Calderoli volevano solo usare da palo la più alta carica dello Stato. Per dare alle loro nuove porcate una vernice di legittimità, rubandola a Napolitano e ai cittadini che hanno fiducia in lui. E anche questa è appropriazione indebita, che si somma all’appropriazione indebita di cui Brancher è accusato.
La vergogna di chiamarsi Italia
Un maturando intervistato da Sky Tg24 ha detto che, dopo aver visto la partita della Nazionale, era talmente avvilito da non riuscire a studiare. La vergogna, infatti, è l’ultimo sentimento nazionale, sopravvissuto anche alla speranza, che un tempo era l’ultima dea. Perché di motivi per vergognarci in patria e all’estero noi italiani, nativi di un paese bellissimo, ne abbiamo purtroppo tanti, di fronte alla demolizione sistematica, da parte della banda Bassotto, di ogni orgoglio che avevamo: i beni culturali, la ricerca, i teatri, il cinema. E la scuola pubblica, affidata a una signora di cui il meglio che si possa dire è che non c’è alcun motivo ragionevole per cui faccia il ministro. Cosa che vale anche per Aldo Brancher, uno che ha conosciuto la galera (come Previti, Dell’Utri, Paolo Berlusconi e altri intimi del premier), per motivi tutt’altro che nobili, ma legati alle sue aziende. Perché l’uomo che si è fatto da sé ha avuto molti complici.
Gasparri, i condoni e il mercato delle vacche
Finalmente è arrivato in tv Maurizio Gasparri, che ha il dono della lucidità, per spiegarci che cosa c’è dietro la proposta di condono (fiscale ed edilizio) scoperta tra gli emendamenti alla manovra. Ora, siccome di Gasparri ci possiamo fidare, riferiamo fedelmente quello che ha detto durante la trasmissione Omnibus, su La7. Il senatore ha spiegato che, ma sì, di solito si fa così: si raccolgono tutte le proposte e poi si vede quali tenere e quali scartare. Un po’ come al mercato delle vacche, si raduna la mandria, perché chi non vede non compra. Del resto, già lo aveva dichiarato alla stampa uno dei 3 firmatari, Paolo Tancredi: «È stato un errore firmare il condono. Purtroppo, tra centinaia di emendamenti, è sfuggito». E così ora si chiude la stalla quando i buoi sono già usciti sui giornali. Che vuoi fare. C’è chi firma senza sapere, chi senza sapere si ritrova una casa (o magari una escort) pagata da altri. Sono cose che capitano nel Popolo della libertà, dove c’è gente che si prende troppe libertà.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.