Un giorno sì e un giorno no ricevo, ormai da tempo, delle e-mail da don Sandro Artioli. Si tratta di articoli vivaci, interessanti e provocatori che lui prende dai siti più vivaci, interessanti e provocatori. Articoli che contestano questa Chiesa gerarchicamente arroccata su posizioni non in linea con quella apertura evangelica che don Sandro ha sempre sognato. Dicendo “sognato” non vorrei far credere a qualcosa di evanescente. Per nulla!
Don Sandro ha lavorato sodo per la “sua” Chiesa, in mezzo alla gente che di Chiesa (non la “sua”) non voleva più saperne, sentendosi tradita.
Don Sandro ha fatto una scelta coraggiosa, magari discutibile pastoralmente parlando. Ma la teoria davanti alla testimonianza che impegna anima e corpo, svanisce di colpo, se si ha il coraggio di prendere il Vangelo radicale, e caricarselo sulle spalle.
Non vi anticipo la storia: la leggerete, e vi commuoverete. Spero.
Vorrei prima poter fare alcune riflessioni.
Anzitutto, una prima. Don Artioli fa parte dei 41 preti che firmarono l’appello per la libertà sul fine-vita. E qui posso subito dire di essere anch’io in buona compagnia. So che ha firmato altri appelli. Lo so anche perché il sito Fides et Forma, inizialmente almeno, ha cercato di bollare, in modo indegno, questi preti riprendendoli uno per uno e svergognandoli evidenziando solo alcuni aspetti (tra parentesi neppure questi degni di riprovazione), come se non contasse una vita spesa per un regno che naturalmente non rientra nei piani di visuali cattoliche meschine.
Non so cosa abbiano fatto gli altri preti firmatari per difendersi e per difendere i loro compagni. Io non sono stato zitto, e ho preso in mano la clava e ho menato più che potevo. Stile don Giorgio. Ho voluto far capire a certa gente ottusa che parla di carità e mangia ostie tutti i giorni che la persona va sempre rispettata, e che non basta un singolo gesto o una firma o una parolaccia per screditarla. Sono riuscito? Non lo so. Ma una cosa so: che la Verità prima o poi giudicherà i malvagi, e i primi malvagi sono coloro che parlano bene di Dio e poi ne fanno la peggiore caricatura.
Certo, non conoscevo la storia personale di tutti i 40 sacerdoti firmatari (la mia, la conosco, spero). Ma me ne bastava una perché la mia ira si scatenasse di fronte alla corsa alle streghe. Non mi potevo sbagliare. Sapevo che tanti dei preti firmatari sono impegnati nel sociale o stanno consumando la loro esistenza, dopo aver dato tutto il proprio sangue per il regno di Dio: quello dei poveri, degli oppressi, degli operai.
Una seconda considerazione. La storia di don Sandro Artioli è emblematica, proprio nella sua drammaticità. Rappresenta quel mondo di preti operai, ora in pensione, che sono stati prima bastonati dalla Chiesa e poi abbandonati a se stessi, a morire nella solitudine più estrema.
Indipendentemente dalla scelta fatta, un prete che muore come un cane è un atto di accusa nei riguardi di una gerarchia che pensa solo a far girare per il giusto verso una religione fatta di riti, di sacramenti inutili, di messe sterili, di opere che testimoniano ancora il mal di pietra di tanti preti.
È una vergogna notare la totale mancanza di solidarietà tra noi preti che parliamo di agape fraterna e poi neppure permettiamo ai cani di raccogliere le briciole, e “cani” al tempo di Cristo erano i pagani, oggi i preti o i laici che non accettano una Chiesa che si allinea coi potenti.
La vicenda dei preti operai è una vergogna che pesa sulla coscienza di questa Chiesa. Non solo di oggi. Da quando è sorto il movimento dei preti operai.
Mi ricordo che, quando ero a Sesto a fare il prete, in una assemblea di tutti i sacerdoti della città, presente l’allora cardinale Giovanni Colombo, un prete operaio (mi pare fosse don Cesare) si era alzato a protestare in nome della sua causa sentendosi quasi un “lebbroso” nella Chiesa e mi ricordo ancora benissimo la veemente risposta del cardinale: “Voi siete lebbrosi, perché volete essere lebbrosi!”. Non avevo mai visto un cardinale così adirato, fuori dai gangheri: sembrava che volesse distruggere con il rossore pienio d’ira del suo volto quel povero prete!
Parlare di solidarietà tra i preti è come parlare di castità tra le escort di Berlusconi. Tra il clero esiste solo o invidia o volontà di omologazione perché tutto sia religione possibilmente rituale e sacramentaria, sempre rituale. Se un prete si trova in difficoltà per diversi motivi, è raro ricevere una telefonata di sostegno. Certo, tutte le settimane ci si trova (io non vado mai) per discutere, pregare e mangiare insieme. A che scopo? Non lo so: forse per vedersi, raccontarsi le ultime, fare qualche pettegolezzo (il gossip l’hanno inventato i preti), o forse perché sinceramente si vorrebbe tentare una maggiore coesione tra parrocchie, ma il tutto sempre in rigida linea pastorale diocesana. Poi, a casa, ognuno fa quello che può o, meglio, quello che vuole.
A me dispiace, sinceramente dispiace, profondamente dispiace vedere un prete che – dopo anni e anni di duro lavoro (non intendo solo quello fisico, come quello di chi lavora in una fabbrica, in una dura fabbrica), ma di impegno per una nobile causa, come quello di chi vuole riaccostare i lontani non dico alla fede ma a credere ancora nei valori di una società fondata sulla giustizia, sulla libertà, sulla democrazia, valori che il cristianesimo in quanto tale possiede e potrebbe offrire al mondo intero – ora si trovi solo in una stanzetta quasi a mendicare un po’ di speranza, una parola di conforto da amici (e quali?), a resistere perché quella dignità testimoniata fino al sangue non venga rubata da momenti di estrema difficoltà. Basta poco per cedere. Dire di sì a quella Chiesa che si è sempre combattuto, per tornare nella serenità dello spirito, convincendosi addirittura che le pene dell’inferno, anticipate in questo gran bel paradiso, siano la purificazione di un’anima che avrebbe tradito la sua vocazione sacerdotale.
Stamattina ho parlato con don Sandro Artioli, e vi assicuro che non mi è stato facile. Temevo di recitare la parte del giornalista, quella parte che, soprattutto in questi ultimi momenti, sto imparando a odiare. Ho cercato di dare alla conversazione uno stile amichevole, spero di esserci riuscito. Sono contento di averlo fatto parlare, conversare, fargli dire con grande naturalezza cose che, adesso, a pensarci bene, forse avrei preferito non sentire. Dovevo stimolarlo, perché la solitudine chiude, e blocca ogni confidenza. Ne è uscito un quadro desolante, da diversi punti di vista. Di un’anima provata dall’abbandono quasi totale. Alla dura prova con se stesso. Con la percezione di un io che si perde nella smemoratezza. Nella incapacità di riconoscersi, e di riconoscere l’identità altrui. Un io che vaga nella nebbia. “Non mi ricordo più chi sei?, mi ripeteva. Raccapricciante!
E desolante per tutta una società che costringe a farti diventare un alieno. E la società, come un rullo, schiaccia le coscienze, le annulla, e annulla il passato: il passato di una testimonianza finita ormai nel nulla. Sì, perché a dimenticarsi e a dimenticare è anzitutto la società, che preferisce costruirsi altre identità, e a imporle, annullando la tua. Alieni, e soddisfatti.
Che cosa chiedo? Tante cose. Una in particolare: che si dia a questi testimoni di un Vangelo radicale, incarnato nella realtà più infernale, al contatto della gente più a rischio, di avere un riconoscimento: non si tratta di un premio, ma di riconoscergli (ecco il riconoscimento) il merito, sì già qui, ora, senza aspettare l’aldilà, di aver contribuito a ridare un po’ di speranza all’umanità e di avere aperto la strada – la Chiesa continuerà a dare i meriti solo allo Spirito santo – ad un cristianesimo più evangelico.
Ecco la lettera che ieri don Sandro ha indirizzato agli amici.
Cari amici,
sento il bisogno di dirvi cosa sta succedendo nella mia vita.
Io ho fatto 27 anni di lavoro molto pesante perché, spinto dal mio Gesù, volevo affiancarmi agli operai più massacrati. Fabbro-saldatore-carpentiere. L’avevo scelto per poter vivere la vita basso-operaia.
Ho subito cinque infortuni (schiena, 2 bracci, ginocchio, mano).
Sono andato in pensione nel 2002 perché mi hanno notato una presenza di amianto sul mio polmone. Nel 2008 ho cominciato poi ad avere la drammatica perdita della mia memoria; peggiorando continuamente non capisco più in gruppo parole, nomi, vie, città, e non riesco a leggere libri e giornali e capire radio e televisione.
Da 2 anni sto prendendo 15 farmaci al giorno ma purtroppo non mi danno nessun miglioramento. Adesso mi hanno notificato di avere anche Alzhaimer.
Sono in situazione molto sconforta e talvolta mi preferirebbe ormai di morire.
Essendo così conciato non sono molto in grado di fare il mio modo di vivere che avevo deciso quando mi sono buttato prete operaio.
Fin da bambino e poi nel seminario, io ho capito che Gesù proponeva di mettersi in basso e aiutare i poveri e i massacrati.
Questo Gesù a cui da sempre mi aggancio continuamente mi ha inserito la sua vera religione che mi fa prendere distanze da come si è generata la religiosità cattolica.
Vi ho inviati tanti brani dei vangeli che non sono stati presi onestamente dalla chiesa.
Questa religione gerarchica attiva ormai da 2 mila anni, il mio Gesù non l’avrebbe avuta così.
La ricca struttura di vaticano, cattedrali, chiese enormi e rapporto con i potenti del mondo, non era voluto dal mio Gesù.
Ci sono state anche uccisioni ma anche la dimenticanza di mettersi in basso e affiancarsi seriamente a tutti i poveri del mondo.
Oggi i poveri stanno aumentando oltre 1 milione : ogni giorno muoiono 30 mila bambini senza cibo e senza casa. Se io non avessi la tragedia della mia testa, senza memoria e molto dolorante, mi dedicherei a questi poveri del mondo, dando loro quello che posso.
Forse sarei scomunicato ma il mio Gesù mi dice che se fosse di nuovo nel mondo sarebbe ancora ucciso dalla struttura religiosa.
Io conciato come sono mi sento molto disperato.
Se riesco faccio qualche vicinanza a esseri umani che sono tristi e massacrati.
Ma vorrei essere in grado di fare per loro e per tanti altri molto di più.
Abbiate misericordia di me.
Avrei tanto bisogno di vedermi con alcuni di voi, soprattutto quelli disponibili, per non passare le mie giornate chiuse solo in una stanzetta, che mi sembra di essere in prigione.
Pregate per me per sperare di riattivarmi oppure per chiudere la mia triste vita.
Vi ringrazio. Don Sandro
Don Giorgio De Capitani, parroco di una frazione di Rovagnate, provincia di Lecco