Lampedusa, estremo sud d’Italia e meta agognata dalle migliaia di migranti che intraprendono rischiosi “viaggi della speranza” lungo le rotte del Mediterraneo. Terra di mammane, di scarse scuole e troppe case, bella e sfregiata dall’abusivismo edilizio; isola dalle mille contraddizioni dove anche l’immigrazione può diventare guadagno. Spesso dai contorni loschi. Questi i temi dello splendido “A Lampedusa”, di Fabio Sanfilippo e Alice Scialoja (Infinito edizioni, 168 pagine, 13 euro).
Fabio Sanfilippo e Alice Scialoja raccontano l’isola più discussa del Mediterraneo conducendo un’appassionante inchiesta giornalistica e dando voce a chi di questa terra ha contribuito a tracciare la cronaca saliente di questi ultimi anni: dalla senatrice leghista Angela Maraventano ex vicesindaco di Lampedusa e Linosa ai rappresentanti delle organizzazioni che hanno operato sul posto – Msf, Unhcr, Legambiente ecc. Dal viceparroco tanzanese ai tanti Mourad che vengono dal Marocco o da altri Paesi africani. Dal prefetto Mario Morcone ad Adelina l’ostetrica che a Lampedusa ha fatto nascere tutti. O quasi.
Scrive sul libro Carlo Bonini:
In un Paese senza memoria – il nostro – prigioniero della sindrome da assedio, A Lampedusa è una luce nel buio pesto. È un atto di coraggio civile. È il racconto minuzioso di un’isola ridotta a discarica di corpi, cose e barche, spiaggiati da quel tratto di mare che oggi divide gli uomini non tra bianchi e neri. Ma tra la vita e la speranza di poter avere un giorno qualcosa che le somigli.
Dell’isola, della sua gente, dei suoi problemi abbiamo parlato con gli autori.
Per la maggior parte degli italiani Lampedusa è associata a due immagini: il mare turchese dell’Isola dei conigli e gli sbarchi dei migranti senza documenti. Leggendo “A Lampedusa” si scopre che questo scoglio in mezzo al Mediterraneo è molto di più. Potete raccontarcelo?
Lampedusa è il simbolo di un’Italia furba ma con un cuore grande, abitata da uomini e donne che si impegnano per soccorrere i disgraziati che sopravvivono ai viaggi bestiali lungo il mare. Ma anche di un Paese con il vizio di litigare per le proprie competenze, con una classe politica incline ad accendere o sopire gli animi a seconda delle opportunità e delle convenienze del momento. Una classe politica, come nel caso del sindaco di Lampedusa, refrattaria al passo indietro, nonostante un arresto e un rinvio a giudizio per concussione. È il simbolo dell’Italia delle cricche pronte a sfruttare le tragedie pur di fare business. È l’Italia della Protezione civile che anche a Lampedusa, in questi ultimi anni di “emergenza clandestini”, ha fatto il bello e il cattivo tempo diventando il principale e quasi esclusivo ente appaltante nell’isola. Appalti che sono stati affidati per via diretta, bypassando le regole comuni. È il simbolo di un sud sempre arrabbiato con Roma ma che da Roma pretende e, nel caso di Lampedusa, pretende a titolo di risarcimento per il danno di immagine (parole dell’assessore al Turismo) subìto a causa dell’immigrazione: fondi a compensazione, creazione di una zona franca, costruzione di un casinò. Un’Italia dove sviluppo significa cemento, abusivismo edilizio e sfruttamento intensivo del territorio. E che, spesso, si dimentica dei suoi concittadini più sfortunati e poveri che per curarsi – visto che a Lampedusa non c’è l’ospedale o comunque un centro medico degno di questo nome – sono costretti a spendere i risparmi di una vita.
Da quale suggestione, idea o tesi nasce il libro e che cosa vuole dimostrare?
“A Lampedusa” non è un libro a tesi. È certamente un libro politico, perché attraverso la nostra inchiesta interveniamo su temi cruciali quali sono l’immigrazione e la legalità e alimentiamo il dibattito pubblico. Abbiamo voluto raccontare il contraddittorio rapporto – nell’anno degli sbarchi record, il 2008 – tra Lampedusa (e quindi l’Italia) e il fenomeno dell’immigrazione irregolare. E lo abbiamo fatto cambiando la prospettiva, mettendo l’isola al centro e guardando Lampedusa da Lampedusa. E quello che è venuto fuori, lo dicevamo prima, è l’affresco di un Paese furbo ma al tempo stesso generoso.
La pubblicazione come è stata accolta dai lampedusani e dai siciliani?
I siciliani – quelli “di terra” – sono fatalisti, diffidenti e curiosi allo stesso tempo. E curioso, diffidente e fatalista è stato il pubblico che abbiamo incontrato nel corso delle presentazioni del libro a Palermo, Catania e Agrigento. A commento delle pratiche al limite della legalità che raccontiamo nel libro, spesso ci siamo sentiti dire: “Cose che si sanno, che fanno tutti e che si sono sempre fatte”. Però a pochi salta in mente di denunciarli, quei fatti e quelle pratiche, di combatterle. Ma c’è una parte sana della società siciliana, che è invece capace di indignarsi, di sorprendersi, di denunciare e di lavorare per un futuro fatto di legalità, uguaglianza e integrazione. E noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarne tante di persone così. Anche, e forse soprattutto, a Lampedusa, dove abbiamo avuto modo di confrontarci con la società civile e con qualche esponente delle passate amministrazioni. Peccato, invece, che siano stati proprio gli amministratori in carica a non avere accettato il confronto. Ci ha fatto molto piacere, e lo diciamo con una punta di orgoglio, che siano stati proprio i lampedusani a definire il libro un atto d’amore nei confronti dell’isola. È come – ci hanno detto – se ci aveste messo di fronte a uno specchio, costretti a guardarci e a fare i conti con quello che siamo.
Luca Leone, giornalista e scrittore. Ha collaborato col Venerdì di Repubblica. L'ultimo libro pubblicato con Infinito Edizioni si intitola "Cento ottime ragioni per non amare Roma".