I padri sopravvissuti al fascismo avevano insegnato ai figli a diffidare delle camice colorate imposte dalle idee fragili nell’illusione di una obbedienza per sempre assoluta. Se le bandiere raccolgono i sentimenti delle piazze, le camice sono la borsetta delle anime deboli alla ricerca del pronto incasso. Non pensano; fanno solo conti. Le camice rosse, grigie o nere non possono attraversare criticamente la società e impugnare i governi della delusione. Appartenenza dichiarata, ragione negata. E la camicia si trasforma in un’armatura infantile: lo racconta Freud, impossibile sfilarla. Infelici e iracondi per la vita.
Vent’anni di dittatura avevano guarito l’autismo del popolo delle scorciatoie e delle raccomandazioni. Liberi per sempre di sfogliare, capire, giudicare, pensare e rifiutare le idiozie pericolose. Invece ecco le camice verdi ” nella sacra parata di Pontida ” dove i giullari del medioevo ( corna celtiche, barbe di paglia ) sono convinti ( ma seriamente ) di decidere il futuro dell’ Italia internet. Tutti a Pontida per “tracciare la road map del governo”; a Pontida per applaudire furbacchioni senza mestiere: hanno risolto la disoccupazione con un giochino che mantiene le famiglie e apre ai figli le strade di Roma. Non importa le orecchie d’asino; diventano oro nel pratone di Alberto da Giussano. Poer nano, statua con risparmio, piedi nel verde: non può sapere come hanno rivoltato la sua memoria di fantasma mai esistito. Nell’invenzione strabatte il Barbarossa straniero illudendo i padani di strabattere negri, tunisini, gialli e marroni.
Ma il Barbarossa del leader maximo chi è ? Spiegazione rimandata a Venezia dove la sacralità dell’ampolla del padre Po versata in laguna scioglie la vanità delle miss Padania che sognano la politica. Graffiti di Irene Pivetti che naviga sul fiume col fideismo della divisa radicchio anni prima della trasformazione in protagonista televisiva, spalla di Platinette. Guardo le facce di chi si sbraccia. Maglia verde del ragazzo “dobbiamo avere il coraggio della scissione. Meglio fare da soli”, comandamento che consacra Bossi guida suprema: “Io ce l’ho sempre duro”. Foulard verdi, bandane verdi, orologi verdi. Manichini che non rompono l’ordine del non pensare: “Aspettiamo cosa dice Bossi…” Ecco “Va Pensiero”, mani sul cuore del tenore cravatta verde. Non so dare un numero alle folle, ma sembra un angolo del compleanno Fiom di Bologna.
Per fortuna le 30 mila facce che si stringono attorno al compleanno di Bologna, raccontano un’Italia diversa. Facce a colori perché la gelatina televisiva ha cambiato evo e il bianco e nero affonda in un passato sconosciuto ai ragazzi che ridono, si arrabbiano, protestano, si scaldano nell’indignazione contro la gerontologia che nega il diritto di diventare cittadini attraverso il lavoro. Bisogna dire che la vecchiaia non ha niente a vedere col numero degli anni. Vi sono uomini e donne che nascono vecchi, maggioranze silenziose e ventriloque. Il vecchio Trota Bossi guida la sfilata della federazione ciclisti padani con un solo rimpianto: “Peccato che nessun ciclista padano sia arrivato nei primi dieci al Giro d’Italia”.
E poi vecchi davvero: trasformisti Giuliano Ferrara, ministro Sacconi; isterici Sgarbi, obbedienti Minzoli e Bruno Vespa riuniti da una virtù immortale nei tranghetti da Craxi, Andreotti (padri delle patrie da bere) alla mistica potere-denaro del trimalcione di Arcore. Potrebbero essere in bianco e nero le 30 mila facce raccolte attorno al palco di Dandini, Santoro, Benigni, Travaglio, Dandini. I quali fanno ridere e piangere con discorsi normali: vediamo cosa si può fare per venir su dal fango. Facce che ricordano le facce dell’Italia della speranza. La grande stagione del cinema l’ha raccontata. Sinfonie di Paisà, Rossellini, chi cammina nella speranza di Germi, il Visconti di Rocco e i suoi fratelli, e borghesi talmente piccoli che Monicelli affida alla massoneria.
Facce con la giovinezza non ingiallita dal razzismo. Parole concrete, si può capire esaperate dall’impazienza, intristite dalla giustizia negata. Mani dure di chi le usa nel lavoro, mani morbide di chi sfoglia i libri. La virtù ormai incredibile è la normalità. Sanno ridere con la gola aperta dei ragazzi. In piedi, indignati. Mai aggressivi, ma mai fanno finta di niente. Non ripetono le parole d’ordine: che schifo. E le maschere carnevalesche di Pontida diventano talmente lontane da fare pensare ad un altro continente dove la furbizia è la regola del potere e la sordità virtù che mantiene a galla, urlando. Si immaginano padroni e non sanno di essere vittime degli strumenti che li spogliano della dignità. Sono tanti i modi per spogliare gli uomini della dignità: percosse, torture o spedirli in divisa (bandiera tricolore e qualche soldo) nei mulini della morte.
Ma il peggiore di tutti i modi è la costrizione di scrivere e ripetere come pappagalli le parole della casta senza sapere che ogni parola nasconde un mondo e il mondo che annunciano diseppellisce le ingiustizie metastasi della storia. Ma la dignità è ormai legata alla sopravvivenza materiale, ultimo ricatto delle vecchie facce alle facce indignate. Abbassa la voce e sistemeremo tutto. Ormai è tardi, non credo possa funzionare.