La cultura pagava. Secondo gli esperti, paga ancora. I dati dicono, generando quasi sorpresa per un’informazione che invece dovrebbe risultare ovvia, che una laurea, alla lunga, non porta solo ad un lavoro, ma anche a qualcosa di più: una ascesa nella scala sociale. Nonostante l’università italiana non sia ben posizionata nelle classifiche internazionali, nonostante le riforme e i tagli previsti dal governo, le ultime rivelazioni dell’Ocse offrono uno spiraglio di luce: i laureati avrebbero un tasso di occupazione di 10 punti superiore rispetto ai diplomati. Non solo. I guadagni di un lavoratore sono direttamente proporzionali al grado d’istruzione. Così in Francia, in Germania e nel Regno Unito. Così anche in Italia? E il precariato allora dov’è? La matematica si sa non è un’opinione. Ma è anche vero che tra il dire e il fare, c’è di mezzo il reale.
“Ho una laurea in lettere e una in giornalismo. Faccio uno stage non retribuito. Dicono serva come esperienza”.
“Sono laureata in psicologia. Sono stata rifiutata persino dai call center. Non pensavo fosse possibile”.
“Scrivo per un giornale on line. Part-time, 450 euro al mese. Peccato che non mi paghino da novanta giorni”.
Questa la realtà che abbiamo trovato intervistando i neolaureati. Secondo il Consorzio Interuniversitario Alma Laurea, a un anno dalla laurea specialistica le percentuali di occupazione sono basse. Il salto avverrebbe a distanza di cinque anni quando quasi la totalità dei giovani trova un posto nel mondo del lavoro. Basta andare più in profondità nell’analisi, tuttavia, che numeri e parole convergono in un’unica immagine, quella di un Paese che chiude gli occhi davanti al sapere e che non ascolta l’innovazione.
Chi si ferma è perduto
“Sono laureata da un anno. Mi sono iscritta ad agenzie e uffici per l’impiego, ho fatto colloqui, ma le offerte erano tutte per stage non retribuiti. Anche quelli fuori dalla città in cui vivo non potevano offrimi altro. Nessuno stipendio, solo la possibilità di fare esperienza. Volontariato puro, però sempre meglio di star con le mani in mano”. La testimonianza di Luana, 26 anni, laureata a Bologna, sembra essere stata suggerita dai numeri di Alma laurea. Dopo il primo anno dalla proclamazione, è entrata ufficialmente nel mondo del precariato. Come lei, la maggior parte dei ragazzi intervistati. Dopo cinque anni la situazione sembra migliorare, almeno per alcuni.
La formazione sembra essere il mezzo per riuscire. Master, corsi di specializzazione, corsi regionali, dottorati di ricerca, esperienze all’estero diventano degli enormi parcheggi dove i ragazzi stazionano in attesa di tempi migliori. “Dopo la laurea – racconta Claudia, 27 anni, commercialista – ho scelto di andare all’estero, tramite alcuni bandi offerti dall’università. Mi sono detta perché no? Al massimo imparo una lingua diversa”. Una buona formazione sembra portare i suoi frutti. “Più che brava diciamo che sono stata fortunata. Alla fine del periodo l’azienda per cui lavoravo non poteva tenermi, però proprio grazie ad alcune conoscenze fatte, sono riuscita a inserirmi in un’altra azienda. Il contratto per adesso è di due anni, però almeno sto facendo esperienza. E in più guadagno qualche soldino. E non sono i 400 euro che ti offrono in Italia”.
Specializzazione si, se all’estero ancora meglio. A passarsela peggio sembra, infatti, chi si ferma alla laurea triennale. Tra loro nel 2009 era disoccupato il 16,5%, quest’anno è il 22%. Sarà vero? Anche in questo caso la realtà ha qualcosa da dire: “Ho conseguito la laurea in scienze infermieristiche circa due anni fa. – spiega Daniela, 27 anni – Mi sono fermata perché ho trovato subito lavoro. Ora ho un contratto a tempo indeterminato”. Il mercato fa eccezione per alcune professioni, come le sanitarie, che garantiscono un impiego anche a chi non consegue una laurea specialistica. Infermieri, odontotecnici, fisioterapisti. Per loro anche solo il primo ciclo di studi permette di trovare un impiego. Ma per la quasi totalità delle lauree tre anni, spesso, non bastano. E dopo i cinque, la formazione deve continuare.
Questa consapevolezza non è del tutto estranea ai ragazzi ma spesso, quando si iniziano a capire le dinamiche del mercato, è già troppo tardi. “A diciotto anni ho scelto la facoltà di Filosofia perché non mi dispiaceva la materia. Non sapevo bene quali fossero le richieste del mercato, non me lo chiedevo. Per cui ho seguito l’istinto. Se avessi avuto il quadro della situazione, di certo avrei fatto tutt’altro”. Secondo le testimonianze raccolte sembra che la maggior parte dei giovani, freschi di maturità, si iscrivano senza un criterio preciso e usino gli anni dell’università per capire cosa vogliono studiare veramente.
Secondo l’opinione di molti studenti, a complicare la situazione è stata la riforma che ha introdotto il sistema “3+2” che avrebbe dovuto invece ridurre il tempo di studi. Damiano Mevoli, docente di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Lecce, sostiene che la riforma abbia “spostato in avanti, di tre anni, la fase adolescenziale e il termine degli studi secondari, che il 3+2 si sia trasformato nel 4+3”. L’età media della prima laurea si è abbassata a 24 anni, ma se si considera che 9 laureati su 10 proseguono gli studi i tempi non si sono ridotti. Ad oggi, i ragazzi che scelgono di conseguire la laurea specialistica sono molti, le motivazioni? Non si trova lavoro. “Ho preferito continuare gli studi solo perché fuori non ho trovato nulla. Meglio che star fermi a non fare niente”. Chi osserva la società con l’intento di disegnare l’andamento futuro, non ha dubbi: la specificità dei territori aprirà nuovi sbocchi professionali. Dall’agricoltura all’alimentazione, alle innovazioni delle piccole e medie imprese. Saranno questi i settori dove troverà lavoro la nuova generazione di laureati. Ma la nuova generazione di laureati è pronta ad aspettare?
Abbiamo chiesto: “Hai due offerte per il lavoro dei tuoi sogni. Uno è all’estero, pagato di più. L’altro è nella città dove sei cresciuto, pagato meno. Cosa faresti?”, ecco cosa ci è stato risposto. Fabio, 24, calabrese, Scienze gastronomiche: “Vedo dove mi pagano per quello che valgo. Sarei portato a scegliere il lavoro meglio pagato all’estero. Con tanta voglia di ritornare”. Domenico, 24 anni, molfettese, Ingegneria edile: “Accetterei di trasferirmi all’estero, sperando poi di avvicinarmi a casa”. Giovanni, 26 anni, sardo, Economia: “Al momento andrei all’estero anche se mi dovessero pagare uguale”. Marina, 25 anni, pugliese, Lingue: “Andrei all’estero anche se mi pagassero di meno”. Eleonora, 24 anni, pugliese, Agraria: “Sceglierei la mia città, perché no?”. I soldi prima di tutto. Più del legame con la terra, con la famiglia, con le origini. Assente giustificata la voglia di rimanere.
Entro il 2020 a scappare dovrebbe essere il 20% di tutti gli studenti universitari italiani. Partono per l’assenza di possibilità e perché un bagaglio di esperienze e competenze maggiore può avvantaggiare nella ricerca di un lavoro futuro. Almeno così sembra essere. Nicola Gavazzi amministratore delegato della Eghon Zander International, azienda di executive research spiega: “L’esperienza all’estero ha un grandissimo valore, permette di acquisire adattabilità e flessibilità, nonché un’utile capacità di relazionarsi con persone e contesti diversi. E i datori di lavoro apprezzano queste caratteristiche”. Della stessa opinione è anche Ilaria Lerro responsabile delle risorse umane su Roma della società di consulenza manageriale Kpmg Advisory: “Quella dell’estero è un’esperienza che noi ricerchiamo nel curriculum di un candidato. Spesso a fronte di due profili molto simili è questo particolare a fare la differenza”.
Bibliografia
- L’Espresso, M. Ratti, Il call center è troppo precario, 24/7/2006
- L’Espresso, Giovani andate all’estero, 21/11/2010
- La Tribuna di Treviso, R. Zanin, Precari il 70% dei giovani neo-assunti, 15/12/2010
- Progetto Giovani Padova
- L’Espresso, L. Bagaglio e D. Minerva, Laureati e occupati, 13/5/2010
- L’Espresso, Tre anni non bastano, 14/5/2010
- Il Fatto Quotidiano, S. Feltri, Ma studiare conviene?, 2/12/2010
- Il Fatto Quotidiano, R. Faenza, Le voci e la rabbia: studiare è resistere con 1000 euro al mese, 21/12/2010
L’AUTRICE DI QUESTA INCHIESTA
Stefenia De Cesare
Stefania De Cesare è l'autrice della ricerca svolta nel corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.