Dai rapporti con la mafia italo-americana (diversi esponenti delle famiglie Genovese e Gambino, tra le cinque più importanti di cosa nostra negli States, erano iscritti alla P2) fino al golpe argentino del 1976: la longa manus di Gelli ha interessato le due sponde dell’Atlantico, trasformando il club massonico più discusso del Novecento in una vera e propria multinazionale. A dimostrarlo sono le tessere numero 501 e 478, di Michele Sindona ed Eduardo Emilio Massera. Spregiudicato banchiere siciliano di fama internazionale, con un giro di interessi economici notevoli negli Stati Uniti, il primo. Spietato ammiraglio della marina argentina il secondo.
Il triangolo Usa-Argentina-P2 (uno stato nello stato) è più complicato di quanto si possa immaginare. Lo stretto rapporto tra la loggia massonica e la “patria della democrazia moderna” nasce dal Piano Condor, il nome in codice dell’operazione voluta dal presidente Nixon e dal segretario di stato Kissinger spaventati dalla prospettiva di cambiamento in America Latina che minacciava gli interessi economici e strategici Usa nell’altra America. Operazione che coinvolge la Cia, i servizi segreti venezuelani, cileni e argentini, oltre che gruppi terroristici, come l’Alleanza Anticomunista Argentina e l’omonima associazione paramilitare colombiana.
L’intelligence Usa si proponeva di fermare la “pericolosa avanzata comunista” anche in Italia dove – nel 1978 – si profilava il compromesso storico tra Pci e Dc. Il rapimento di Aldo Moro è, probabilmente, il frutto di rapporti, più o meno segreti, tra i vertici di una certa Italia e il Pentagono: la traccia è la presenza di alcuni collaboratori di Kissinger all’interno del Sismi, il nostro servizio militare. Giorni avvelenati dai depistaggi, che favorirono l’azione dei brigatisti rossi appoggiati da una parte deviata dei servizi segreti.
La P2, se non proprio terroristica, si avvicina all’identikit del partner migliore col qual dialogare, non solo perché ideale “cavallo di Troia” per avere contatti opportunistici con il governo ed i servizi segreti italiani, soprattutto perché ben radicata in Sud America. Ed è nella patria del tango che si intrecciano gli interessi P2, Mafia e Vaticano.
«Non si può dirigere la Chiesa con l’Ave Maria»
A parlare è Paul Marcinkus, vescovo americano, fervente anticomunista e presidente dello Ior, l’istituto vaticano per le opere di religione. In Marcinkus – il “boss della finanza vaticana” – Roberto Calvi e la P2 trovano uno scaltro interlocutore. È Sindona a presentare a Calvi Marcinkus: a quell’incontro e a quel sodalizio bisogna rifarsi per ricostruire le trame, fittissime, degli affari legati alla P2.
È il 1971 quando Calvi, appena nominato direttore generale del cattolicissimo Banco Ambrosiano, fonda con Sindona e Marcinkus e Luigi Berlusconi (padre di Silvio) in rappresentanza della Banca Rasini di Milano la Cisalpine Overseas Bank, società con sede a Nassau, nelle Bahamas: un paradiso fiscale interamente controllato da Calvi, Sindona e Marcinkus – da mafia e Vaticano – che cominciano a operare attraverso banche e società off-shore, muovendo capitali e gestendo fondi neri. Fondi di provenienza mafiosa – saldi i legami di Michele Sindona con i boss italo-americani – o, in altri casi, denaro utilizzato per finanziare la propaganda anticomunista, come avverrà, qualche anno dopo, per il sindacato di opposizione polacco Solidarnosc o per la guerriglia dei Contras in Nicaragua.
Si intensificano gli acquisti, da parte di Sindona, di istituti di credito e società finanziarie con sede all’estero e gli accordi con il vescovo Marcinkus consentono al banchiere siciliano e a Calvi di muovere enormi capitali illegali nella più assoluta segretezza, sottraendosi a qualsiasi tipo di controllo da parte delle autorità monetarie italiane. Sono gli anni in cui, grazie ai benefici derivanti dall’extraterritorialità dello Ior, che impedisce qualsiasi forma di controllo, Calvi, Sindona e la P2 iniziano un’intensa attività finanziaria e il Banco Ambrosiano diventa il fulcro del riciclaggio di denaro sporco. Dall’inizio degli anni ’70 fino al crac del 1983 nei corridoi di piazza Ferrari, a Milano, si intrecciano le trame di P2, Vaticano, mafia e servizi segreti.
Il Banco Ambrosiano in Svizzera, Lussemburgo, Cina e Sudamerica
In Nicaragua, Calvi fonda un’altra sede off-shore della banca milanese, l’Agbc, l’Ambrosiano Group Banco Comercial di Managua. A dirigerla chiama Joaquin Sacasa, parente del dittatore Somoza. Il meccanismo è sempre lo stesso: si costituiscono società finanziarie e istituti di credito che gestiscano e riciclino i capitali illeciti provenienti dalle casse dello Ior, dell’Ambrosiano e della Mafia; li reinvestono in un sistema che ha nel denaro e nell’anticomunismo la radice più profonda.
Gli affari prosperano e gli interessi aumentano: al momento del crac dell’Ambrosiano si scopre che Calvi e Marcinkus avevano drenato dalla banca milanese un miliardo e 188 milioni di dollari, oltre a 202 milioni di franchi svizzeri. E lo fanno nella più completa impotenza – o indifferenza – della Banca d’Italia e con la complicità della fazione andreottiana che, con un colpo sferrato ai danni dell’allora governatore Paolo Baffi, scongiura il pericolo che si scoprano la loggia massonica e le tresche dell’Ambrosiano.
La situazione è tesa: la relazione presentata nel novembre 1978 dagli ispettori della Banca d’Italia sui registri dell’Ambrosiano evidenzia grosse anomalie e irregolarità. La procura di Milano comincia a indagare. Dell’inchiesta si occupa il magistrato Emilio Alessandrini: è il 23 dicembre 1978. Un mese dopo Alessandrini viene assassinato da un commando di terroristi di Prima Linea mentre ai magistrati romani Luciano Infelisi e Antonio Alibrandi – vicini al governo Andreotti e ai vertici P2 – è riservato un trattamento diverso: Calvi regala a Infelisi una lussuosa Bmw negli stessi giorni in cui assieme ad Alibrandi muove pesati accuse al governatore della Banca d’Italia e al vicedirettore Mario Sarcinelli.
Accuse del tutto infondate – lo dimostreranno qualche anno dopo le indagini della Procura milanese – ma che di fatto portano alle dimissioni di Baffi e all’arresto di Sarcinelli. Si consente così al trio Calvi-Sindona-Marcinkus di proseguire nei loschi giochi di potere e di fare ricchi investimenti nei nuovi paradisi fiscali: Perù, soprattutto nel’Argentina oppressa dal regime Agosti-Videla-Massera. Con questa Argentina, dove spariscono 30 mila dissidenti, palcoscenico politico perennemente instabile quindi ottimo laboratorio per massonico-golpisti, Calvi, la P2, il Vaticano e il governo italiano cominciano a fare affari. Massera va e viene dall’Italia, Gelli lo accompagna da Andreotti: fa acquisti all’Oto Melara, azienda di stato: armi e navi da guerra.
In realtà a Buenos Aires la P2 arriva ben prima del ’76 e del golpe masseriano
Dall’inizio degli anni ’70 esisteva, infatti, un’ organizzazione terroristica in qualche modo “affiliata” alla loggia del Venerabile Gelli: l’Alleanza Anticomunista Argentina, organizzazione di estrema destra, che operava uccidendo con stragi premeditate numerosi esponenti della sinistra argentina. Il rapporto con la P2 doveva già essere consolidato, visto che il leader della A.A.A., Josè Lopez Rega, tessera 591 della P2. Ispira ogni decisione di Isabelita peron, vedova del generale e presidente della Repubblica. Resta il subbio se la signora sa e tace. I tribunali dell’Argentina democratica l’hanno messa sotto accusa.
Un passo in dietro: 1974. Al governo c’è Juan Domingo Peron, generale che propone una nuova visione politica a metà strada tra capitalismo e socialismo. In sostanza è una forma di populismo pericoloso e la P2, che non sopporta ogni sinistra, contatta alcuni ministri per “rimediare”. Oltre a Rega, responsabile del benessere sociale, anche Alberto Vignes, ministro degli esteri, vende l’anima a Gelli. Con lui l’ammiraglio Carlos Alberto Corti, il comandante in capo dell’esercito Jorge Rafael Videla, il comandante dell’aviazione Orlando Ramon Agosti e, soprattutto, il capo di stato maggiore della marina Emilio Eduardo Massera, uomo Cia, numero uno del golpe del ’76.
Il 24 marzo il triumvirato Agosti-Videla-Massera impone la dittatura militare che si propone di cancellare la sinistra. Massera lo ribadisce in un messaggio ufficiale: esorta l’esercito a “reagire al nemico con la massima violenza e senza esitazioni sui mezzi da impiegare”. È l’inizio della fine. Terrore, processi sommari e migliaia di esecuzioni capitali istituzionalizzate dal regime. È la Guerra Sporca, come molti storici l’hanno battezzata; sporca la storia di una nazione.
L’ambasciatore italiano a Buenos Aires, Enrico Carrara, amico dei militari, informato anzitempo del golpe previsto il 24 marzo, sbarra le porte dell’ambasciata per evitare “fastidiosi” perseguitati in cerca di asilo politico. Manda a Roma messaggi rassicuranti. «Mi sembra che la questione dell’ordine pubblico sia stata brillantemente risolta», scrive nel bel mezzo dell’apocalisse argentina. Il “Corriere della Sera”, da poco acquistato dal piduista Angelo Rizzoli (tessera 532), mette il silenziatore al corrispondente a Giangiacomo Foà, corrispondente da Buenos Aires. Subito trasferito dal direttore Franco Di Bella (tessera P2) a Rio de Janeiro. La scusa è “per salvargli la vita” viste le minacce dei militari. Ma la realtà è più semplice: le sue cronache trasparenti spaventano i militari e infastidiscono gli amici italiani della P2: Gelli, Ortolani e Calvi frequentano la Casa Rosada, rapporti diretti con i dittatori, fondano banche, aprono società e diventano referenti del regime sia nel governo italiano che in Vaticano. Anche il Banco Ambrosiano si trasferisce a Buenos Aires: Ambrosiano Promociones y Servicios. Della nuova banca dventa vice presidente l’ex ufficiale di marina Carlos Natal Coda, stretto collaboratore di Massera.
Fiat, Ansaldo, Pirelli, Magneti Marelli, Falk, Eni-Iri e Impresilo fanno affari col regime, Gelli è sempre il filtro ideale: media per coprire di benefici le imprese italiane invogliate ad investire in un paese ormai senza veri sindacati, diritto allo sciopero cancellato. Per aiutare il suo Venerabile, la corte di Massera fa sparire molti discendenti italiani che possono infastidire il programma piduista di “Rinascita democratica”: controllo di ogni mezzo di comunicazione, magistrati imbavagliati, sindacati svuotati e divisi.
Dei trentamila desaparecidos in terra argentina, quasi tre mila sono di origine italiana, arrestati e imprigionati nell’Esma assieme a pacifisti, sacerdoti, sindacalisti, studenti e docenti universitari contrari alla “grande operazione di pulizia” messa in atto dal regime. Nell’Escuela Mecanica de la Armada, scuola di meccanica dell’armata, vengono torturati e assassinati chi mormorava contro. Corpi gettati in mare…
Sono gli anni bui dell’Argentina dei desaparecidos. Gli anni delle madri di Plaza de Mayo: silenziose, sfilano davanti alla Casa Rosada. Nessuno ascolta il loro grido di dolore. Nessuno Stato, nessun governo, nessuna chiesa. Tace il Vaticano al quale il cardinale e buona parte dei vescovi argentini nascondono la tragedia. Gli interessi dello Ior sono troppi e troppo forti e il potere di Marcinkus cresce nell’ipocrisia dell’anticomunismo.
Solo nell’ottobre del 1979, a tre anni dal golpe, quando già si contavano decine di migliaia di ragazzi scomparsi, il papa pregherà per i desaparecidos. Alcune madri di Piazza di Maggio si sono trasferite a Roma per informare Wojtila della realtà che una certa arte del clero argentino gli nascondeva. Per sopravvivere fanno le perpetue, le cameriere, qualsiasi lavoro. Finalmente i loro messaggi superano le cortine di fumo della diplomazia vaticana e il Papa sa . In ritardo parla sollevando la protesta del cardinale di Buenos Aires.
Del sangue dei desaparecidos non si macchia solo l’Argentina. Si macchia l’Italia della P2: quei silenzi di Andreotti che sapeva e non ha aperto bocca.
Ne è macchiata certa cultura e certa stampa: hanno taciuto ad una generazione il massacro di 30.000 giovani. E l’imbroglio continua: nella nostra realtà la P2 resta nascosta, 30 anni dopo noi ragazzi ne scopriamo i crimini con difficoltà.
(TERZA E ULTIMA PARTE: il crollo della loggia e i puntelli al regime che creò)
GLI AUTORI DI QUESTA INCHIESTA
Giuseppe Facchini
Lorenzo Rai
Viviana Saponaro
Francesco Cecchini, Giuseppe Facchini, Lorenzo Rai e Viviana Saponaro frequentano il Corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.