«Sono incinta. Domani devo abortire». Le parole di Viviana, ventenne nigeriana, sono agghiaccianti, come le sue notti trascorse in strada. Da Torino, dove abita, ogni sera arriva in treno a Parma per poi raggiungere la sua postazione di lavoro, sulla via Emilia Est, con una lunga camminata o con passaggi occasionali. Un microfono in tasca, ci presentiamo come membri di un’associazione di libero volontariato e Viviana accetta di salire in macchina. L’icona di Gesù Cristo sul cellulare è la prima cosa che ci colpisce.
Due anni di vita sulla strada l’hanno resa riservata; le poche parole pronunciate sono in un inglese stentato: il conforto di una stretta di mano disinteressata è l’unica cosa che riesce a tranquillizzarla, aprendo uno spiraglio di intimità. «Siete cristiani? Cerco una chiesa». E intanto accenna battiti di mani e canti, tipici del suo modo di vivere la fede. «Ho bisogno di pregare. So che è peccato, ma domani devo abortire. Io so che è peccato, ma devo anche se non voglio».
È turbata. Cerca un rassicurante conforto religioso per placare il proprio tormento interiore: spesso a queste ragazze non resta che l’appiglio della fede.
L’empatia creatasi, prima solamente accennata, ora la invoglia a raccontarci di più: l’indomani andrà in un ospedale torinese ad abortire, accompagnata dalla sorella ventitreenne, sua vicina di marciapiede. «Lei si è arrabbiata quando le ho detto che ero incinta, ma io non so neppure come è potuto succedere».
Quella dell’aborto è una pratica molto in uso tra le prostitute, che in alcuni casi non utilizzano il preservativo per esplicita richiesta del cliente. Viviana dimostra di essere una delle “coraggiose”, prostitute che scelgono di abortire anziché abbandonare alle loro famiglie d’origine bambini che non potranno mai crescere. E un’alternativa tutt’altro che remota resta sempre quella del mercato dei neonati.
«Non ho un uomo, un fidanzato e nemmeno uno sfruttatore». Eppure qualcuno ci sarà: le evidenti bruciature sulle gambe denunciano una situazione di violenza, forse qualche madame, ex prostitute che scalano la gerarchia di potere fino a reclutare e a controllare a loro volta altre ragazze, portando all’estremo la spirale dello sfruttamento.
In auto c’è anche Claudio Montali, presidente dell’associazione volontari Iside. È lui che ci guida tra le vie della mercificazione sessuale e spiega come è vario il repertorio dei soprusi fisici e psicologici: «Bottigliate, sfregi, torture, coltellate, mutilazioni genitali, peperoncino o sale sulle ferite, minacce alle famiglie, evocazione di riti voodoo. Durante il periodo mestruale vengono costrette a lavorare usando il Tampax, con conseguente arresto del flusso, creando grosse infezioni».
L’ora per riscaldarsi è volata, riaccompagniamo Viviana al suo “angolo” di marciapiede. Deve tornare a guadagnarsi da vivere.
Proseguendo in macchina lungo la via Emilia l’ingenua convinzione che tutte le prostitute siano sfruttate e obbligate cade, la situazione è in evoluzione: «Vent’anni fa era diverso,» dice Montali. «Oggi la prostituzione è motivata dalla disperazione. Ci sarà il 35% circa delle ragazze costrette a stare in strada: le altre lo fanno per necessità o per scelta».
Ed è proprio la possibilità o meno di compiere tale scelta a segnare, economicamente parlando, la differenza: quelle sfruttate sono spesso ridotte alla fame dai loro aguzzini, costrette a saldare il debito (tra i quaranta e i sessanta mila euro) che le loro famiglie contraggono con gli sfruttatori al momento stesso in cui le ragazze vengono mandate in Italia. Coloro che volontariamente invece abbracciano la strada conducono spesso una vita agiata, versano infatti solo una quota dei loro guadagni ad un protettore in cambio di un “servizio”.
Un fenomeno conseguente e sempre più diffuso è la prostituzione per “scelta”, la quale spesso si trasforma in un business tra le mura di casa: «Alcune prostitute,» prosegue Montali, «né sfruttate né obbligate a vendersi, una volta acquisita una clientela se ne vanno dalla strada. Lavorano in casa con clienti abituali e su appuntamento. Inizialmente c’è il fattore povertà, poi ci si prende gusto a guadagnare».
Prendiamo così coscienza di un rapporto stretto e perverso tra vendita del proprio corpo e desiderio di facili guadagni. Ci racconta ancora Montali: «Tu le vedi appena arrivate e le rivedi dopo 7 o 8 anni, incredibilmente trasformate. È un circolo vizioso terrificante, un meccanismo perverso: il denaro è un demone, perché quando cominci a guadagnare ti viene l’avidità. La necessità diventa a sua volta sfruttamento».
È trascorsa una mezz’ora da quando abbiamo salutato Viviana e decidiamo di fermarci di nuovo. È una ragazza rumena: Alina, dice di avere 24 anni. Ci propone di andare a casa sua, nella periferia di Parma, sale in macchina e indica la strada. L’appartamento, arredato con i mobili indispensabili, sembra una casa per studentesse universitarie, ma qui tutte si prostituiscono. È abitato da quattro ragazze, una di queste è in casa «non può lavorare, è influenzata». Di solito, accenna Alina, per 50 euro l'”appuntamento” dura al massimo 15 minuti.
Al contrario di Viviana, lei un figlio da mantenere già ce l’ha. «Ho bisogno di fare soldi anche in questo modo». Ancora una volta la vendita del proprio corpo, questa volta per un istinto materno. La ragazza non aspetta altro che poter tornare definitivamente nel suo Paese e ci confessa quindi un suo sogno: «Vorrei studiare giurisprudenza in Romania». Per ora, però, torna solo quando può. «Venerdì me ne vado!» esclama piena di gioia. «Non mi piace stare qui».
Dopo una decina di minuti Alina riceve una telefonata, parla in rumeno, qualcuno forse la avvisa che deve tornare a battere. Per restare con noi chiede cinquanta euro. Ci riavviamo così sulla strada per accompagnarla sul marciapiede. Si lamenta perché lì alla rotonda non riesce a lavorare: «Non c’è luce, non mi vedono!» Come in scaffali di un supermarket, il posto dove si espone la merce ha una grande rilevanza: un incrocio ben illuminato e trafficato garantisce una notevole visibilità e di conseguenza incassi maggiori. Il marciapiede è spesso letteralmente preso in affitto dalle lucciole che ne pagano l’utilizzo a bande criminali.
Alina a questo punto chiede di scendere più avanti dove ci sono altre due ragazze. Ne indica una: «Lei è brava, lavora molto ogni sera», afferma lasciando trasparire invidia per poi tornare al lavoro. Queste parole rivelano l’animo di una ragazza che affronta la “strada” come un qualsiasi luogo di lavoro, con competitività e ambizione, sapendo di trattare il suo corpo come una merce in esposizione nelle vetrine. Chiuso l’ennesimo sportello, non le resta che aspettare che se ne apra un altro. Ma giudicare è fin troppo facile.
(PROSSIMA PUNTATA: le pendolari del sesso)
GLI AUTORI DI QUESTA INCHIESTA
Fabio Manenti
Enrico Pellucco
Francesco Scagliola
Marco Soncini
Fabio Manenti, Enrico Pellucco, Francesco Scagliola e Marco Soncini frequentano il Corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.