Il ddl 1611 sulle intercettazioni, chiamato dai suoi oppositori “legge bavaglio”, un testo provvisorio più volte emendato da Camera e Senato, potrebbe diventare a breve legge. La norma prevede delle restrizioni all’uso delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, la modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine e l’integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (la anti blog). Approvato l’emendamento che prevede il carcere per i giornalisti che pubblicano intercettazioni non penalmente rilevanti. Il ddl prevede altresì che la pubblicazione delle intercettazioni possa essere illegale fino alla udienza filtro. Modificata la cosiddetta norma anti-blog: avranno obbligo di rettificare entro 48 ore solo le testate on-line che risultano registrate, pena multe da 12 mila euro e censura del sito.
La norma mutua la sua impostazione dalla Legge Mastella sulle intercettazioni, votata nella precedente legislatura dall’attuale opposizione, allora maggioranza, con lo scopo di disciplinare la pubblicazione delle intercettazioni “non rilevanti” sui mezzi d’informazione. L’attuale maggioranza ha ripreso il testo Mastella nel ddl Alfano, imponendo una restrizione forte all’uso dello strumento dell’intercettazione telefonica o telematica da parte della Magistratura.
Intercettazioni fuori controllo o da regolare?
Non tutti sono a conoscenza del fatto che già oggi, prima dell’approvazione del ddl le utenze telefoniche intercettate sono 120 mila nel 2009, su un totale di 40 milioni di utenze fisse e circa 70 milioni di utenze mobili (dei telefonini). Se la matematica non è un opinione in Italia viene “ascoltato” un telefono ogni 1 milione, lo 0,2 % della popolazione. Le intercettazioni non sono libere come invece da molte parti si è erroneamente affermato. Le intercettazioni sono uno strumento di indagine e pertanto possono essere utilizzare solo dopo l’autorizzazione di un Giudice (giudice per le indagini preliminari) a seguito di un decreto motivato del Pubblico Ministero.
«1. L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita (226 coord.) nei procedimenti relativi ai seguenti reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria (594 c.p.), minaccia (612 c.p.), molestia o disturbo alle persone (660 c.p.) col mezzo del telefono.
f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter (pornografia minorile), terzo comma, del codice penale.
2. Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. (violazione di domicilio), l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.»
Nella materia delle intercettazioni vige la riserva di legge e la riserva di giurisdizione, in quanto previste espressamente dalla Costituzione. Il codice di procedura penale prevede dei limiti e dei presupposti e una disciplina procedimentale molto rigorosa. Insomma non si può essere intercettati perché sospettati di aver rubato un motorino o per aver fatto dei gestacci. Ci vuole qualcosa di più grave. Come si vede dalle disposizioni di legge vigenti non è affatto vero che le intercettazioni sono “fuori controllo”
Limitazioni all’attività investigativa
La durata dell’intercettazione, è prevista dal ddl in 30 giorni anche non consecutivi con alcune proroghe che possono portare l’attività di intercettazione ad un limite massimo di tempo di 60 giorni. Leggiamo dal testo del ddl: «durata delle operazioni per un periodo massimo di trenta giorni, anche non continuativi. […] Su richiesta motivata del pubblico ministero, contenente l’indicazione dei risultati acquisiti, la durata delle operazioni può essere prorogata dal tribunale fino a quindici giorni, anche non continuativi. Una ulteriore proroga delle operazioni fino a quindici giorni, anche non continuativi, può essere autorizzata qualora siano emersi nuovi elementi […] Quando, sulla base di specifici atti di indagine, emerge l’esigenza di impedire che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero che siano commessi altri reati, il pubblico ministero può richiedere nuovamente una proroga delle operazioni fino a quindici giorni, anche non consecutivi».
ll ddl indica un elenco di reati di grave entità per cui le intercettazioni sono invece ancora ammissibili. Questo è uno dei tanti cortocicuiti della legge. Se il Pm sapesse già quale reato si sta compiendo, non utilizzerebbe l’intercettazione, ma con tutta probabilità manderebbe la polizia ad arrestare il malvivente. Spesso, le intercettazioni sono disposte per accertare reati minori, da queste poi si giunge a capire che il reato è molto più grande. Spesso da un indagine per estorsione si finisce per scoprire un reato di mafia. Impedire o limitare l’uso delle intercettazioni per i reati minori significa perciò impedire alla Magistratura di accertare i reati gravi.
Divieto pubblicazione dei contenuti
Di nuovo leggiamo dal ddl onde evitare di essere smentiti: «E’ vietata la pubblicazione, anche
parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.» L’ultimo emendamento vede la nascita di una “udienza filtro”. Di cosa si tratta? Il Pm e gli avvocati dell’imputato ascoltano le intercettazioni. Decidono quali di queste possono diventare delle prove in dibattimento e quali invece devono essere stralciate. Le stralciate sono inutili all’appuramento della verità processuale e dovranno essere rinchiuse in archivio di massima sicurezza e poi distrutte.
Previsto addirittura il carcere non per chi è intercettato ma per chi diffonde con pubblicazioni le intercettazioni. La modifica è prevista in un emendamento a firma del Pdl Manlio Contento. Reclusione da sei mesi a tre anni per quei giornalisti che pubblicano le intercettazioni irrilevanti. «La modifica – spiega il deputato – si è resa necessaria perché nel testo licenziato un anno fa avevamo previsto la sanzione penale solo per la pubblicazione degli ascolti espunti o per quelli che andavano distrutti». Le intercettazioni irrilevanti saranno sia quelle che dopo l’udienza-stralcio vengono ‘chiuse’ nell’archivio di segretezza, sia quelle che il pm non fa trascrivere quando manda al giudice una richiesta di misura cautelare. E’ chiaro che un cammino così difficoltoso e tortuoso nell’uso delle intercettazioni andrà a ingolfare ulteriormente la giustizia italiana, aumenterà i costi, ridurrà l’efficienza e la velocità del giudizio. La Presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, eminente avvocato e politico di Fli, ha dato le dimissioni per protesta dopo che la maggioranza ha fatto passare l’emendamento pro carcere. «Con questa modifica, – afferma la Bongiorno – tutte le intercettazioni che nel corso del tempo verranno conosciute anche dalla difesa, non solo non potranno essere pubblicate nel testo ma non se ne potrà nemmeno dare notizia».
Norma ammazza blog
La norma è quella del cosiddetto comma 29, che prevede che chiunque sentendosi vilipeso o anche a torto offeso dal contenuto di un qualsiasi post potrà adire alle vie legali. Qualunque sito rischierà di pagare fino a 12.500 euro di multa se non rettificherà entro 48 ore le informazioni, a prescindere dalla loro veridicità, senza possibilità di aggiungere commenti.
Il comitato dei Nove, alla Camera, mercoledì pomeriggio ha accolto all’unanimità l’emendamento Cassinelli (Pdl) che limita alle testate giornalistiche registrate l’obbligo di rettifica. Le testate registrate sono le testate giornalistiche. I blog per ora sono “salvi”, ma in Italia già vige il dovere di rettifica qualora l’avvocato della parte offesa (o che si sente offesa senza esserlo) faccia causa e un giudice stabilisca l’effettiva presenza di una diffamazione ai sensi dell’articolo 595 del codice penale. Notevole le implicazioni pratiche dell’ammazza blog. Ad esempio wikipedia. Wikipedia funziona con il principio dell’intelligenza collettiva: è il coro degli utenti a migliorare in continuazione gli articoli. La rettifica imporrebbe sul coro la voce di un singolo. La comunità dell’enciclopedia ha perciò deciso per la prima volta dalla sua fondazione di auto-oscurarsi nella giornata del 4/10 e di diffondere un comunicato (http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Comunicato_4_ottobre_2011) Come fa notare Wikipedia «la valutazione della “lesività” di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato. Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l’introduzione di una “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti. […] Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla?»
In conclusione
Questa è una norma che andrà a incidere fortemente sulla libertà d’espressione, sulla libertà di giornalismo e anche sulla capacità della Magistratura di poter scoprire reati. Perché si vuole neutralizzare l’informazione? Perché si vuole annichilire uno degli strumenti più utili e meno costosi per accertare i reati? Il governo non dovrebbe cercare di punire i delinquenti piuttosto che favorirli con leggi che puniscono i magistrati e i giornalisti?
La lettera politica della Bce al governo italiano dello scorso 5 agosto, dove si dice all’Italia come ripartire dalla crisi e cosa fare e in che tempi, si deve anche e soprattutto a queste scelte governative. L’Italia sta rischiando concretamente di default cioè la bancarotta. E il governo cosa fa? Non già si occupa d’economia ma pensa come bloccare le intercettazioni. Ma chi è il politico che ha risentito negativamente della pubblicazione delle intercettazioni che lo vedono colloquiare con giovani “ragazze” disponibili e con Tarantini, Lele Mora, Minetti, ecc.? Non ditemi che è la stessa persona che già possiede metà dell’informazione e buona parte della pubblicità che finanzia i mezzi di comunicazione. Già oggi la giustizia è lenta e inefficiente. Una legge simile potrebbe complicare ulteriormente il processo penale. Ma non per volontà della magistratura.
Già oggi Freedom House, ong Usa, dichiara l’Italia paese “parzialmente libero” nel settore dell’informazione. L’Italia è affetta anche da forte autocensura. Molti giornalisti sono spesso obbligati a tacere molte cose, onde mantenere il posto di lavoro. Sono facilmente ricattabili e ricattati, ma nessuno ne parla perché questo è un tabù nella civile e democratica Italia del 21° secolo. Non do giudizi, li lascio a voi lettori. E’ sicuro però che una legge simile porrebbe l’Italia fuori dai paesi democratici e questa, purtroppo, non è un’opinione.
La classifica della libertà di stampa nei paesi del mondo (Freedom House 2011)
Paolo Perini (Trento, 1983) è un giornalista free lance. Abita a Bologna e collabora con Radio Città Fujiko. Il suo blog è http://blablablaamentelibera.ilcannocchiale.it.