Libertà di stampa? Certo che in Sicilia esiste, tant’è vero che state leggendo questa cosa. Ma non è benvoluta, né dal governo né dalla società (per governo in Sicilia s’intende sia quello che si vede sia quello che no). L’indifferenza della società alla libera informazione si vede, di solito, il giorno dopo che ammazzano qualche giornalista. Da noi ne ammazzano molti, meno che in Colombia o in Russia ma più che in ogni altro paese. Gli unici casi in cui la gente si sia ribellata sono stati quelli di De Mauro (grazie ai comunisti, che allora c’erano ancora) e Fava (i ragazzi di Catania). Alfano, Cristina, Francese, Rostagno, Spampinato e Impastato morirono nell’indifferenza generale. A Cinisi, il paese di Impastato, la popolazione a trent’anni di distanza è ancora dalla parte dei mafiosi (imitata, negli ultimi tempi, dai più recenti mafiosi delle valli bergamasche).
Esiste la libertà, ma non il mercato. L’unico siciliano autorizzato (dalle Competenti Autorità) a fare tivvù e giornali si chiama Mario Ciancio, vive a Catania ed ha nell’harem tutti gli intellettuali cittadini, dall’elegante fascista Buttafuoco al feroce maoista Barcellona. Non vende molti giornali (molto meno, in proporzione, che a Istanbul) ma la cosa non ha importanza, perché tutti gli imprenditori siciliani (compresi quelli che ultimamente hanno smesso di essere mafiosi) fanno pubblicità solo da lui. Mai, mai, mai leggerete un rigo di pubblicità siciliana su un giornale siciliano antimafioso.
Libertà di stampa vuol dire dunque che tu, se sei disposto a fare la fame per i prossimi venti o trent’anni ed eventualmente prima o poi ad essere ammazzato, puoi scrivere quello che vuoi e pubblicarlo qui, su Girodivite, su Ucuntu.org, su Catania Possibile, su Terrelibere, sulla Periferica, sui Cordai o su qualche altro giornale di analoghe dimensioni. Per informare la gente, in realtà, questo potrebbe anche essere sufficiente (specialmente se tutti questi organi prima o poi si decidessero a unirsi fra loro).
A Messina, ad esempio, l’allarme su Giampilieri era stato dato ben prima dai giornalisti liberi, in tempo per prendere i provvedimenti opportuni e salvare – alla faccia degli speculatori edilizi e della loro Gazzetta – coloro che erano già in lista d’attesa per essere annegati alle prime piogge. Ma nessuno ha preso sul serio i loro articoli. Se fossero stati giornalisti bravi – ragionava il lettore messinese – avrebbero fatto i milioni al servizio dei politici, mica avrebbero perso tempo e soldi per informare me.
Al messinese, al palermitano, al catanese, sapere la verità in realtà non interessa. La verità è fastidiosa, la verità desta. Ed è così bello dormire! La realtà è quel che è, cambiarla è faticosissimo, meglio sognare. Forza Catania, evviva il Ponte, viva Palermo e Santa Rosalia.
Nato a Milazzo, dove comincia negli anni '70 con il giornalismo "impegnato" in piccoli giornali locali e le prime radio libere, assieme a Pippo Fava ha fondato nel 1982 e poi sostenuto il mensile I siciliani, edito a Catania, che ha avuto il merito di denunciare le attività illecite di Cosa Nostra in Sicilia. Cavalieri, massoneria, mafia e politica i temi principali di un giornalismo che si proponeva rigoroso nelle inchieste e nel mestiere di comunicare e portare alla luce ciò che la mafia per anni aveva fatto al buio. Giuseppe Fava, a un anno dalla nascita del giornale, viene ucciso dalla mafia.
Orioles è il punto di riferimento più forte nella redazione del dopo Fava, impegnato a contrastare in ogni modo il fenomeno della mafia; guida un gruppo che si contraddistinguerà negli anni per l'unità e per la qualità delle inchieste svolte. Egli è stato inoltre tra i fondatori del settimanale Avvenimenti e caporedattore dello stesso fino al 1994. Dalla riapertura, nel 1993, fino al 1995 ha diretto I siciliani.
Dal 1999, svolge la sua attività giornalistica scrivendo e diffondendo l'e-zine gratuita La Catena di San Libero.
Nel maggio 2006 esce la sua ultima fatica: Casablanca, mensile (che ha fondato e dirige) col quale continua a denunciare mafie e corruzioni. Nel corso del 2008, la redazione di Casablanca annuncia l'imminente chiusura per mancanza di fondi e, nonostante i numerosi appelli lanciati a livello nazionale, è costretta a sospendere le pubblicazioni. Parte dei giornalisti impegnati in Casablanca, insieme alle personalità più attive della società civile, ha poi ripreso forma e dato seguito ai precedenti contenuti nel magazine online 'U cuntu[1], disponibile anche in un formato pdf liberamente scaricabile.
Fonte: Wikipedia