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Enrico PEYRETTI – Libia, quando al dolore segue l’orrore

21-03-2011

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Quando le bombe tuonano, tace la ragione, tace la parola, l’umanità si eclissa. È vero che la violenza delle armi era già in atto, in Libia e altrove, da parte di governi e (non dappertutto) di ribelli. Proprio per questo, alle armi va sostituita strenuamente la parola, l’ascolto delle diverse attese, la trattativa. Se esistono istituzioni internazionali, se c’è una politica tra le nazioni, tra gli stati, se c’è equità di giudizio (cioè se interessa la pace, la vita dei popoli più del petrolio) deve esserci il parlare, il “parlamentarizzare” ogni conflitto; si deve chiamare chi spara – in questo caso Gheddafi e i ribelli – a render conto in conferenze che confrontino le parti avverse, in presenza di terzi attivi mediatori, portatori del sentimento universale della comunità umana.
La via delle armi diventa l’unica visibile quando, per carenza morale e razionale delle politiche, si sono escluse le vie della razionalità politica.
Quando è tardi perché si è già sbagliato nel non capire e non agire bene tempestivamente, non c’è più riparo al danno e al dolore.
La guerra non rimedia nulla. Non ha rimediato nel profondo neppure il male di Hitler. “Quelli che prendono la spada, di spada periranno”, dice Gesù, e ciò vale per i contendenti come per il giudice violento. Dice Buddha che il dolore segue l’errore come il carro segue il bue. Dice Maometto che se due uomini si affrontano armati di spada, vanno all’inferno sia l’uccisore che l’ucciso, perché anche questo bramava uccidere l’altro, che è suo compagno.
Da questo inferno si dovrà uscire, ancora una volta. È possibile, al costo di cambiare profondamente pensiero e di dare nuove regole effettive alla convivenza umana. È ciò per cui lavorano gli amanti attivi della pace giusta e nonviolenta.

Enrico Peyretti, intellettuale impegnato nel movimento per la nonviolenza e la Pace. Ricercatore nel Centro Studi “Domenico Sereno Regis” di Torino, sede dell’Italian Peace Research Institute. È membro del Centro Interatenei Studi per la Pace. Fra i suoi libri: “Per perdere la guerra” (Beppe Grande, Torino); “Dov’è la vittoria?” (Il Segno, Gabrielli); “Il diritto di non uccidere, schegge di speranza” (Il Margine, Trento)
 

Commenti

  1. Mauro Matteucci

    Rimango costernato sia dagli incitamenti alla guerra che si levano da ogni parte politica (ancora una volta il PD è in prima linea£) sia dai silenzi e dalle incertezze del movimento pacifista. I cannoni tuonano e le vittime cadono. Una volta mia nonna mi disse che le guerre c’erano sempre state e sempre ci sarebbero state, le risposi con un gesto di supponenza. Purtroppo aveva ragione lei!
    Mauro Matteucci

  2. ninni francesco

    si! sa tanto di neo-colonialismo.
    a riprova il diverso comportamento verso i “dimostranti” se contro un regine filo-occidentale o meno.
    forse neanche “occidentale” ma le multinazionali di riferimento.

  3. Mario Razetti

    Ringrazio Enrico Peyretti per le sue considerazioni, che danno corpo ad un atteggiamento di profonda umanità.
    Colgo l’occasione per ringraziarlo di alcuni insegnamenti che mi ha impartito molti anni fa, quando insegnava religione al “Cavour” nell’a.s. 1966/67 e più tardi, quando ci si incontrava per caso in qualche manifestazione. Auguri!
    Mario Razetti

  4. carlo lesi

    Chi ha la forza politica di chiamare Ghedaffi nei consessi internazionale? il Berlusconi di turno? Condivido il concetto che la guerra genera guerra, ma mi pare utopico pensar di convincere il colonnello a parlare in un’assemblea internazionale. Solo la diplomazia e la politica possono convincerlo a non sparare sui suoi connazionali.

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