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Erri De Luca ha portato il suo recital "A due voci" a Vicenza, provincia più leghista del Nordest. Con la chitarra in mano spiega chi è il nuovo italiano: "Ogni bambino che nasce in Italia. Siamo un cantiere in rinnovamento e i rinnovamenti non sono negoziabili. Il coraggio fa bene alla salute"

L’Italia si sbriciola in comuni e campanili, la proprietà pubblica non è più di tutti

03-06-2010

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Perché l’Italia non sorride più? Non risponde subito, Erri de Luca, che porta il suo recital “A due voci” a Vicenza, la provincia più “leghista del Nordest”. Come rapito, osserva le Prealpi. Paiono sospese all’orizzonte, nude di perimetro, sognate da luci granata e argento. Ama le montagne, una forza che dal basso va verso l’alto, risucchiata dall’attrazione celeste.

“Dov’è Asiago?”, mi chiede, con il batticuore con cui si parla di un amico che diverrà tale, in un appuntamento prossimo. Nel giardino dell’hotel, con vista sulla città, è il momento della conferenza stampa. Pare tutt’altro: un’ospitata di amici, giornalisti e lettori. De Luca scambia attimi con ciascuno. Brevi confessioni reciproche. Poche le parole. Perché un poeta le tiene in alta considerazione. Scelte una ad una, valgono. Certe parole sono caleidoscopi. I poeti le colgono avvicinandole al cuore di chi vuole vedere di più. “Due”, per esempio, è molto di più di un numero o di una parola. In montagna, uno sente che “due è il contrario di uno, della solitudine”. Due è solidarietà. Qualcuno gli regala un cestino di ciliegie marosticane, succose e profumate. De Luca condivide il lusso della frutta di stagione con i presenti, come farà fra poco, con il pubblico del suo recital, con i semi fertili del vocabolario umano. Mi siedo accanto a lui godendomi l’accoglienza del suo sorriso aperto eppure timido. Gli occhi blu marini paiono in continuo studio ed ascolto.

“Il sorriso. Perché l’Italia non sorride più?”

“Si è imbronciata un po’, è vero. Perciò, si sfruttano sentimenti politici di ostilità e paura. Una certa politica aizza questo sentimento di paura. Eppure, rispetto ai pericoli conosciuti in tempi precedenti, questi sono… grattacapi, fastidi. Siamo in una situazione immensamente più agiata e favorevole rispetto alle condizioni difficili del Novecento. Però siamo immusoliti Perché sollecitati da questo brutto sentimento della paura. È più salutare il sentimento del coraggio: fa bene alla salute”.

“Il flusso migratorio, un biglietto di sola andata?”

“Il Mediterraneo è sempre stato un mare di popoli che si sono visitati molte volte. Ci siamo scambiati invasioni, epidemie, esili. Ma anche mercati, scienza, cultura, ospitalità, racconti d’amore. Guardiamoci allo specchio: come italiani, siamo innesto di popoli vicini e lontani. Nello stesso tempo, siamo sempre stati azionisti di maggioranza delle emigrazioni. Il flusso migratorio è un biglietto di sola andata, cioè non ci sarà nessun ritorno alla situazione anteriore. Siamo un cantiere in rinnovamento e i rinnovi non sono negoziabili in partenza, non sono trattabili. Occorre il coraggio del futuro”.

Sul mare nostrum del generale sconcerto, galleggia una parola maltrattata, come “diritto di cittadinanza”. Gli racconto di Morteza Nirou, leader sindacale italo-iraniano residente da decenni a Vicenza, in lotta contro le agenzie che, dietro pagamento, facilitano il rilascio di permessi di soggiorno. Un business parallelo alla burocrazia che olia corruzioni. Chi non può pagare centinaia o migliaia di euro a questi intermediari, sta in piedi dall’alba nel serpente della fila, e spera nel timbro che gli conceda un respiro di sollievo. Soldi per comprare speranza di trovare una terraferma, soldi per assicurarsi diritti.

“In Parlamento c’è chi sostiene che la nazionalità sia una eredità biologica, rapportata al sangue. Chi è figlio di un cittadino ‘straniero’, lo sarà a sua volta”.

“No. Chi nasce in Italia è italiano: è ovvio”. De Luca si accende nell’indignazione. Poi si raffredda, sospira. E prosegue: “L’Italia si è sbriciolata in comuni e campanili. Alle volte è un bene identificarsi col proprio territorio: non è una riduzione. È male invece la perdita di appartenenza a una comunità più vasta. Quando anche la proprietà pubblica non appartiene più a tutti”.

Mentre Erri fa una breve pausa, mi viene da pensare a coloro che, in tende sotto il sole, supplicano firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua.

“La tendenza generale”, prosegue “sottolinea la supremazia del privato per svendere il pubblico. Si vuole concedere un diritto in base al potere d’acquisto. Se non hai soldi, non ti viene riconosciuto il diritto. Se è tutto lottizzabile, anche l’Italia diventa un’azienda, anziché una comunità. I cittadini, tutti, perdono la cittadinanza e diventano clienti. Chi parla di “azienda Italia” bestemmia: questo slogan è un certificato di morte per l’Italia”.

Basilica di Monte Berico, stracolma di gente, in attesa del suo recital “A due voci”, con l’accompagnamento della nipote Aurora e della violinista Michela Zanotti. Molta gente non trova più posto nemmeno in piedi, si accalca fuori dalle porte, sulle gradinate del piazzale. Dentro, siamo talmente tanti che anche le statue dei santi sembrano inibite dalla folla, accaldate dai respiri. De Luca cammina con le mani in tasca e lo sguardo riservato, pare capitato lì per caso, con l’umile ironia di chi si prepara ad iniziare lo spettacolo davanti all’altare, “chiedo scusa per le spalle voltate al Padrone di casa”. Imbraccia la chitarra, aggiusta il microfono, libera la Parola.

Il pubblico ne è prigioniero: semplicemente, si fida di lui. Cita Marina Cvetaeva:

Oltre l’attrazione terrestre esiste l’attrazione celeste. Esiste in natura un’attrazione opposta a quella terrestre, un’attrazione che la poetessa russa chiama celeste. Una forza che preme non dall’alto verso il basso, ma dal basso verso l’alto. Una forza che è negli alberi, nel fuoco, nelle eruzioni dei vulcani, nelle maree, nella neve che evapora, nelle correnti d’aria che risalgono le pareti delle montagne, nei disegni di Leonardo, nella gola del lupo rivolta alla luna. Newton fu folgorato dalla caduta di una mela e scoprì la legge di gravità, ma esiste una forza opposta che ha spinto la mela su quel ramo attraverso radici, linfa, clorofilla e luce.

I piani spirituali, affettivi, sociologici ed ecologici sono continuamente sovrapposti. Trovano ispirazione dalle interpretazioni delle scritture fino ai cambiamenti sociali. Gesù è il frutto, Maria la pianta, Giuseppe la terra. In ciascuno di loro, l’amore ha il sapore del coraggio. Come Maria ha dato alla luce Gesù, Giuseppe ha salvato la vita di Maria. Senza la protezione del suo uomo, sarebbe stata lapidata.

Le parole vanno però lette con una mente che “amplia i territori della mente”. E i cambiamenti sociali sono effettivi solo nel coraggio della responsabilità. De Luca è un narratore che rivoluziona la lettura tradizionale sia della perdita dell’Eden che della figura di Eva. “L’Eden era lo stato dell’infanzia, Eva ci ha liberato”. Ha la passione dell’etimo della parola. È poliglotta (francese, inglese, ebraico antico, yiddish, russo, kiswahili, italiano e napoletano), avvicina a una semantica liberatoria: non è “con dolore” ma con “con sforzo”, la parola usata dalla Bibbia quando parla del parto di donna. Mi guardo attorno: stiamo tutti sentendo e interiorizzando la polisemia della parola “sforzo”. Lo studente, l’anziano, la signora che ha trascinato tutto il vicinato su per le scalette di Monte Berico. Sforzo per arrivare a fine mese nella morsa della crisi dell’ex ricco Nord-Est. Sforzo per cercare una boa nel precariato dei giovani. Per uscire dalla solitudine e dall’impotenza. Per costruire una società più decente. C’è chi pensa alle donne di varie epoche e società, costrette dalle tradizioni agli sforzi più gravosi e a pagare il prezzo maggiore per l’iniquità dello status quo.

Aurora de Luca è giovanissima e in scena diventa una donna dalla voce angelica e magnetica. I capelli biondi raccolti, le mani appoggiate morbidamente sul grembro, interpreta nel canto che accompagna e spesso guida la voca di Erri, il romanticismo della “Marcia nuziale” di Brassens e il viaggio nella vita con raffinata espressività. Michela Zanotti avvolge la catarsi collettiva in un violino delicato e struggente.

Con levità, De Luca è già volato ad un’altra parola: invincibili. Come se cercasse, modesto, di non lasciare crepe di silenzio. O come se, in onore all’amore vitale, fosse imprescindibile intensificare il susseguirsi di suggestioni. In un mondo dove pare più lodevole vincere individualmente nella mors tua vita mea della “competizione posizionale”, che avere il coraggio per lottare per cause comuni, ricorda quanti “sconfitti invincibili” sono parte della sua crescita personale, dal Che Guevara sulla Sierra dell’ingiustizia al polacco Marek Edelman che organizza la rivolta del ghetto di Varsavia, da Giorgiana Masi e Carlo Giuliani a Gino Strada.

Il tutto con il contrappunto musicale di un altro “sconfitto invincibile”: Napoli. Con le sue melodie. Con l’epopea scalza della sua gente e del suo golfo sorto per salutare fazzoletti bianchi di chi emigra (“L’urlo materno del distacco del figlio che parte per l’America, il cordone ombelicale strappato a morsi” ). De Luca evoca i viaggi di “sola andata” degli italiani nel fetore delle stive di terza classe verso gli Usa, sepolti nelle Marcinelle del Nord-Europa, sparsi nelle periferie torinesi e milanesi degli anni ’60. Tutti sconfitti invincibili, come i migranti internazionali nel sottobosco del lavoro nero dell’Italia punteggiata di Rosarno. De Luca cita il poeta turco Hikmet, secondo il quale Don Chisciotte è “il cavaliere invincibile degli assetati”.

Anche quando la vita sembra una lotta contro i mulini a vento, eroe è colui che non si arrende, che ogni volta si rimette in piedi e prosegue il suo viaggio, incurante degli ostacoli, incurante della sconfitta. Invincibili sono tutti coloro che hanno ereditato l’ostinazione di Don Chisciotte. Invincibili sono ad esempio i migranti, uomini e donne che attraversano il mondo a piedi per raggiungerci e che non si fanno fermare da nessun campo di prigionia, da nessuna espulsione, da nessuna legge, da nessun annegamento, perché li muove la disperazione e vanno a piedi.

Il “noi” e il “loro” è una distinzione inutile, quasi fastidiosa, come tintinnio metallico. Imbrattati di discriminazione, siamo “noi” i raccoglitori di pomodori nel sud-Italia e siamo “noi” i nonni che si fanno controllare i denti dalla polizia di frontiera americana; siamo “noi” quelli che attraversano il Muro fra Messico e Stati Uniti cercando lavoro e siamo “noi” i rifugiati afghani che gradirebbero sopravvivere. “Lastrichiamo il mare con i nostri corpi, portiamo l’odore che perdeste, siamo i piedi della terra, polvere alzata, deserto che cammina, popolo di sabbia, ferro nel sangue, calce nel cuore. Noi siamo i figli che non fate, il sorriso che non avete. Non è facile sbarazzarsi di noi. Si muore, ma dopo tre giorni si risorge…”.

Gli sconfitti invincibili sono come l’alba. Grande è lo “sforzo”, è vero. Ma sono parola che viene dal basso. Nessuno li ferma e bucano la notte. L’ Italia del futuro avrà anche bambini con nonni e genitori del mondo. L’Italia del coraggio sarà anche il loro sorriso. E sorridere fa bene alla salute, parola del migrante Erri De Luca.

Azzurra CarpoSpecialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).
 

Commenti

  1. roberto rossi

    Condivido il contenuto in tutta la sua analisi. Certamente l’ Italia sta attraversando un periodo molto difficile sul rispetto dei diritti umani. Noi di EARTH SOUL Associazione Artistica Multiculturale no profit con sede a Vicenza, attraverso l’ Arte (tutta) ci impegnamo di divulgare la positività delle Diversità Culturali in quanto solo attraverso di esse si può maturare la consapevolezza del rispetto reciproco e la conoscenza culturale che ci può arricchire dentro in ognuno di noi. Senza alcuna barriera mentale ma nel rispetto di regole condivise e non razziali.

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