Forse incomincia a diventare chiaro perché non si trovava tanta gente che ammettesse di aver votato Berlusconi: in fondo sapevano che era “giocare ai pacchi”. Adesso il pacco si è aperto definitivamente e arriva non uno straccio di premio, ma il conto; salatissimo. Peccato che non lo pagheranno solo gli irresponsabili, ma tutti quanti, soprattutto i più esposti al fisco.
L’agenzia di rating Moody’s ha messo giù una carta politica tosta e ha tolto fiducia alla finanza italiana proprio mentre stavano andando sul mercato i titoli di stato. Bruttissimo segnale: il governo non può più raccontarci Biancaneve e Pinocchio. Lo show, al massimo, produce diversivo con i dissidi interni. Ma non è il solito canovaccio per imbrogliare gli illusi: i soliti figuranti ormai non fanno più ridere sotto il tritasassi del debito pubblico.
Molto realistica la vignetta di Elle Kappa con botta e risposta: “Manovra scaglionata, sette miliardi entro la fine della legislatura”, “Gli altri quaranta spalmati sul centrosinistra”. Cadono tutte le maschere. Fu mal sopportato e dalla destra deriso il Romano Prodi quando impose un doloroso riaggiustamento perché “non si può accettare di aumentare il debito”? Anche allora pochi capirono che, dilapidato il tesoretto, le autorità monetarie elogiavano la cosiddetta “stabilità italiana”, perché affidata ai depositi che, più o meno grandi, i bravi cittadini italiani tengono in banca a disposizione di ogni rischio. Adesso domandiamoci chi paga l’insipienza di non aver prevenuto i danni e rilanciato l’economia dopo i giochini della finanza malata.
Sento in giro una grande rabbia, anche da parte di chi ha sempre capito il pericolo Berlusconi e oggi somma il danno con l’insofferenza per i partiti che, nemmeno loro, hanno saputo prevenire. Qualcuno si è compiaciuto delle piazze de los indignados; ma sono state contestuali al voto con cui la Spagna ha riconsegnato il governo alla destra. La Grecia sta sperimentando la disperazione delle rivolte come se fosse l’Egitto di piazza Tahrir. In tutta Europa le sinistre sono state sfiduciate e non sarà facile, dentro una crisi così pesante e duratura, nemmeno in Francia recuperare il senso della misura.
Da noi non è assolutamente immaginabile che la “gente” colga la differenza comportamentale negli scandali (nel PD il Ciancio Pronzato delle tangenti si è immediatamente dimesso, come la segretaria di San Miniato interprete di un film porno) o abbia la pazienza di capire dove va a parare un Di Pietro già molto amato dopo che ha avvicinato il diavolo. Siamo anche noi dentro la pancia del paese; il che non aiuta.
Negli Usa, il cui enorme debito sta per superare il limite consentito prima di una legge che lo rialzi, Obama ripete la sua onesta posizione di “far pagare i ricchi più dei poveri”. Anche per lui sarà difficile far capire che le buone intenzioni debbono trovare fiducia e moderazione alla base per avere unione e forza di realizzarle nel corso di una transizione su cui gli interessi forti premono per mantenere il potere – un potere comunque rovinoso – facendo carte false e inducendo paura nella massa dei più esposti.
In Italia, sia che si vada a elezioni regolari. sia che ci siano sorprese e anticipi, sarà il prossimo governo a dover davvero ristabilire un qualche equilibrio con ulteriori lacrimazioni e sanguinamenti. E senza bacchette magiche.
Intanto Tremonti – in gioventù collaboratore del Manifesto – fa effetto perché “stanga” auto e barche di lusso e vuole penalizzare le banche? Oppure perché con i tagli distrugge scuola, sanità, pensioni e annienta gli enti locali? I grandi patrimoni sono certo in movimento e qualunque riforma fiscale faticherà a stanarli. Gli stipendi dei manager grandi e medi sono un insulto non alla miseria, ma all’uguaglianza dei diritti (un presidente di Cda può arrivare a 330.000 annui, forse lordi). I cittadini irati chiedono non di ridurre il numero dei parlamentari, ma che non abbiano indennità e vitalizi, senza accorgersi di chiedere che nessun precario possa mai essere eletto. I sindacati firmano i contratti, certamente non felici, ma salvano garanzie se non diritti: guai se non ne capissimo le ragioni e dessimo forza ai soliti padroni attaccando, per giunta disuniti, proprio i sindacalisti.
Non possiamo ridurci al pessimismo dell’intelligenza e della volontà.
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature