Cara Azzurra, si affannano a definire la nostra come la generazione X, la generazione liquida, la generazione dei bamboccioni, una generazione precaria tra due crisi stabili, la prima determinata dalla caduta delle ideologie, la seconda quella causata dalla crisi economica mondiale. Che allegria! Stefano, 18 anni (“e non li dimostra”, dice il mio babbo)
R. Caro Stefano, meglio se siamo X, incognita, perché gli faremo delle sorprese. Meglio se siamo, come dice Bauman, una generazione liquida perché di dogmi solidi è pieno l’inferno del secolo XX. Meglio essere un po’ bamboccioni, che troppo vecchi “dentro”. Comunque ringraziamo sentitamente la generazione anteriore, che si affanna a definirci così amabilmente, per averci lasciato due belle crisi stabili. In altre parole, per averci dimostrato come non si fa.
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Ciao, Azzurra. So che hai viaggiato molto. Qual è la cosa più buffa che ti hanno chiesto riguardo all’Italia?… Beata te, Mary
R. Ciao, Mary. Al contrario: beata te se pensi che, in giro per il mondo, ci sia qualcuno convinto che in Italia succedano ancora cose buffe. Happy days, amica mia. Comunque, ricordo un dettaglio esilarante. In uno sperdutissimo villaggio indigeno dell’Amazzonia, la più anziana delle bisnonne (non aveva la minor idea in che anno fosse nata o in che anno fossimo; ma questo non le impediva di essere molto curiosa delle vicende delle celebrities mondiali) venne a sapere che ero dell’Italia, che nell’ambiente viene automaticamente associata al Vaticano e al Papa (mai analisi politica fu più lucida e profonda!). “Che cosa mangia il Papa?”, mi chiese la bisnonna, sempre molto concreta nei suoi quesiti religiosi. “Non lo so”, la delusi, “anche perché l’attuale Papa (eravamo ai tempi di Karol) non è italiano ma polacco”. Si incupì la bisnonna e andò a sedersi sull’unica pietra del villaggio. Probabilmente continuò a ad arrovellarsi attorno al significato di quel “polacco” per tutto il pomeriggio. Cosa mai vorrà dire “polacco”, forse ha pensato. Verso sera, si avvicinò nuovamente e mi chiese: “Ma, il Papa guarirà?”. Capii che aveva associato “polacco” a un qualche cibo indigesto. “Dubito”, risposi. “Comunque le assicuro che in Polonia si mangia meglio che in Germania”. M’hanno raccontato che la bisnonna continua da allora a restare seduta impietrita sull’unica pietra del villaggio, in attesa di nuovi menu: e di qualche prete della Teologia della Liberazione, scampato alle raffiche delle grandi piogge tropicali.
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Cara Azzurra, non è solo psicosi mediatica. Sempre di più si viene a sapere di stupri e di violenze alle donne. Di mariti che picchiano le mogli, di ex fidanzati che fanno rappresaglie e ammazzano, di capiufficio che fanno stalking, di patrigni che usano violenza, di maschi pedofili e di benpensanti che fanno turismo sessuale con bambine e bambini del Terzo Mondo. Di sistemi di pensiero che in nome di Dio, lapidano una donna accusata di adulterio e ne limitano i diritti più elementari. Quando va bene, alle donne riservano le quote rosa. Assicurano sempre una quota quotidiana di sangue. E, annualmente, delle mimose. Violenza è maschio. Guerra è maschio. Elisa R., Siniscola, Nuoro
R. Finchè Dio viene pensato, in qualche maniera, come un maschio, povere donne! In guerra, amica mia di Siniscola, il corpo della donna è trofeo di conquista e di sfregio. Da quando mondo è mondo ed anche adesso, nell’epoca della globalizzazione economica. Viviamo una crisi che fa emergere forme generalizzate di schiavismo. Che scava abissi sempre più profondi tra Nord e Sud del pianeta. Che anestetizza le coscienze di fronte ai genocidi e alle catastrofi ambientali dovute al modello dissennato di sviluppo. Che dilata e fa esplodere le tensioni e i conflitti interculturali, integenerazionali e di genere. Globalizzazione, venti di cambio. Cambio molto rapido nei settori produttivi, commerciali e finanziari. Cambi troppo rapidi per le lentezze culturali di un certo potere maschile. Cambi che sollevano venti di guerra contro il corpo delle donne, per riaffermare un certo tipo di potere maschile messo in discussione. La sola arma che abbiamo noi donne: denunciare, gridare forte, ancora più forte. Cambiare. Cambiare sempre più velocemente. Esigere giustizia, con tutte le forze. Fino all’ultimo respiro. Ancora più forte, urlare. Rabbia, tanta rabbia. Dolore. Basta, dolore. Dignità. Ululare Dignità. Finchè cadono le stelle.
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Permettimi uno sfogo, caro Specchio Liquido. Mia madre è ansiosa ansiogena ansimante, anzi ansi-mente. Perché non controlla me, direttamente. E’ perfida, la mammina, perché mi inocula ansia da competizione indirettamente, facendomi notare quello che fanno le figlie delle sue amiche, la dieta miracolosa che modella il loro corpo, l’auto nuova del fidanzato di turno, la pettinatura all’ultima moda. Che posso fare per sopravvivere?. Mi tortura ogni giorno con indirette..! Carla da Scandicci.
R. Presenta direttamente le dimissioni da figlia, cara Carla da Scandicci. Ci sono tante mamme come la tua. Ossessionate dall’idea della “figlia vincente”. Quando ancora la stanno gestando, camminano sulle punte dei piedi, sperando che diventi prima ballerina alla Scala. Poi l’ossessionano con Barbie che prepara il thè per gli ospiti, e con Barbie che indossa l’abito lungo con lo spacco mozzafiato e giarrettiere rosse, per il Bel Danubio Blu abbracciata al principe dai peli di cavallo bianco tra le gambe.
Se proprio non è possibile un matrimonio alla Lady D, sperano che alla figlia crescano come alla suddetta Barbie, almeno due seni rigonfi di silicone su un corpo androgino, portato a spasso da due gambette anoressiche, in modo da poter fare -da grande- l’ereditiera come Paris Hilton. Se non riuscisse neppure tale incrocio perverso tra le tette della Loren, l’ombelico di Luxuria e gli stinchi di Fassino, confidano che la figlia riesca almeno a incrociare le gambe come Sharon Stone ed attirare le concupiscenze di qualche banchiere debosciato ma esperto in titoli tossici. Vuoi sopravvivere, cara Carla? Pensa a vincere. Per te stessa. Con i tuoi talenti, e basta. Rispetto alle proiezioni materne? Buone e sane dimissioni, sorella mia. E prima di chiudere dolcemente la porta, lascia sul comodino della frustrazione della mammina ansimante ansi-mente, una parafrasi dell’interrogativo che Loredana Lipperini ha scritto nel suo Ancora dalla parte delle bambine: Come è possibile che le ragazze della nostra generazione, che volevano diventare il Presidente degli Stati Uniti, sognino che le loro figlie sculettino accanto a un rapper?
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).