È stato recentemente pubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore il volume di Carlos Barral, Il volo oscuro del tempo. Memorie di un editore poeta. 1936-1987. Libro non solo notevole dal punto di vista letterario e storico, ma che rappresenta anche un’ottima “guida” per iniziare un viaggio nella cultura degli anni Cinquanta-Ottanta.
Sì, perché è la storia di un uomo (1928-1989) – poeta, intellettuale, organizzatore culturale, editore, militante antifascista – che fece uscire dalle tenebre del franchismo un mondo letterario che tanto ha dato nel corso di quei difficili anni e che tanto ha contribuito al rinnovamento culturale del proprio Paese. Un piccolo, spesso squattrinato, editore barcellonese che riuscì con la forza della passione a far conoscere una nuova generazione di romanzieri e che fu all’origine del boom del romanzo latinoamericano.
Fu lui, del resto, a “lanciare” tre autori che diverranno in seguito Premi Nobel per la Letteratura: Gabriel García Márquez, Octavio Paz e, recentissimamente, Mario Vargas Llosa, che infatti ha scritto:
È grazie a Carlos Barral che ho conosciuto quasi tutti i miei amici spagnoli degli anni Sessanta. È lui che ha pubblicato il mio primo romanzo, La città e i cani, battendosi come un leone per superare l’ostacolo della censura, che mi ha fatto vincere premi letterari e che mi ha fatto tradurre in diverse lingue. Sì: è lui che mi ha inventato come scrittore.
Il Barral raffinato poeta era esponente di quella “scuola di Barcellona” cui fecero parte tra gli anni ’50 e i ’60 scrittori e poeti del calibro di Jaime Gil de Biedma, Alfonso Costafreda, José Augustín Goytisolo, Gabriel Ferrater, Jaime Ferrán, il critico Castellet. Ma è del Barral editore che ora ci interessa parlare, dell’editore coraggioso che riuscì a far leggere ai suoi compatrioti Juan Marsé, Juan García Hortelano, José Caballero Bonald, Luis Goytisolo, Jorge Semprún e Juan Benet. Che “importò” il peruviano Vargas Llosa, l’argentino Julio Cortázar, i cubani Guillermo Cabrera Infante e Alejo Carpentier, come pure Pavese, Gadda, Svevo, Calvino, la Duras, Robbe-Grillet, Doris Lessing e Böll…
E fu lui che assieme a Giulio Einaudi (per quel che riguarda l’Italia Barral fu anche amico di Feltrinelli, di Bompiani, di Alberto Mondadori, Moravia, Eco…), Claude Gallimard, Barney Rosset, George Weidenfeld, Heinrich Rowohlt e George Svennson – l’indiscusso Gotha dell’editoria di cultura – creò quel Premio Formentor che per alcuni anni fu una vera e propria palestra d’incontro dell’editoria mondiale (e che, tra gli altri, premiò Calvino, Butor, von Rezzori, Algren, Robbe-Grillet, Gadda, il già citato Vargas Llosa).
Scrisse di lui nel 1992 il Premio Nobel Octavio Paz:
Ci si ricorda di Barral come editore. Sotto questo aspetto, ho già fatto riferimento alla sua curiosità. Bisognerebbe aggiungere alla sua ansia di modernità. Pensava che la nostra cultura avesse bisogno di aprirsi al mondo, e non si sbagliava. La sua curiosità era intelligente, una curiosità critica. A essa dobbiamo la pubblicazione di molti autori stranieri e, noi ispano-americani in particolare, la simpatia che si è diffusa verso la nostra letteratura. È stato l’editore della nuova letteratura ispano-americana e senza la sua attività molti dei nostri scrittori avrebbero tardato parecchio a essere conosciuti. Come non ringraziarlo?
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.