Per il Partito Democratico dare più potere ad iscritti ed elettori è l'unico modo per evitare paralisi e dissapori. Ma la partecipazione non è fatta solo di primarie: lo statuto PD prevede anche lo strumento del referendum per decidere la linea sui temi che dividono. Basta il 5% degli iscritti per pretenderlo
Riccardo LENZI – Militanti PD assumetevi le vostre responsabilità: per sconfiggere la destra date una “direzione” al partito
17-01-2011Che i leader del centrosinistra abbiano perso credibilità è la scoperta dell’acqua calda. Però, c’è un però: se la politica del principale partito dell’opposizione resta confusa, forse la responsabilità non è solo e tutta dei dirigenti. Quanti sono, per esempio, gli iscritti al PD che conoscono lo statuto del proprio partito? Pochi, temo. Altrimenti, dal 2007 ad oggi, le frequenti violazioni di quello statuto non sarebbero state tollerate.
In questi anni, molteplici sono state le occasioni di divisione all’interno del PD. Nulla di male: se un partito non è una caserma, il pluralismo è fisiologico e potenzialmente fecondo. Ma un partito serio, al termine di una seria discussione, deve saper assumere posizioni chiare, comprensibili e comunicabili sui principali temi politici che l’agenda impone.
Non tutti coloro che, nel lontanissimo 2007, aderirono al PD lo fecero solo per simpatia nei confronti di Walter Veltroni. Molti videro nella costituzione di questo nuovo partito soprattutto una occasione per cambiare radicalmente i metodi e le prassi della vecchia partitocrazia. Più laicità, più ricambio generazionale, meno dirigismo, meno tatticismi: queste erano le speranze di tanti giovani che decisero di impegnarsi per la prima volta in un partito, sperando di contribuire in prima persona a quel cambiamento che, già allora, appariva come urgente ed ineludibile. Sono passati quasi quattro anni e, oggettivamente, gli unici cambiamenti nella politica italiana sono stati negativi. Disillusione, abbandono e riflusso sono le principali conseguenze di una leadership – Veltroni prima, Bersani poi – che non sa essere coerente con le cose che dice. E che scrive:
Statuto PD, articolo 27: Referendum e altre forme di consultazione.
1. Un apposito Regolamento quadro, approvato dalla Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, disciplina lo svolgimento dei referendum interni e le altre forme di consultazione e di partecipazione alla formazione delle decisioni del Partito, comprese quelle che si svolgono attraverso il Sistema informativo per la partecipazione.
2. È indetto un referendum interno qualora ne facciano richiesta il Segretario nazionale, ovvero
la Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, ovvero il trenta per cento dei componenti l’Assemblea nazionale, ovvero il cinque per cento degli iscritti al Partito Democratico.
(…)
5. La proposta soggetta a referendum risulta approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi.
6. Il referendum interno può essere indetto su qualsiasi tematica relativa alla politica ed all’organizzazione del Partito Democratico. Il referendum può avere carattere consultivo o deliberativo. Qualora il referendum abbia carattere deliberativo, la decisione assunta è irreversibile, e non è soggetta ad ulteriore referendum interno per almeno due anni.
Se gli elettori del PD avessero preteso l’organizzazione di un referendum per decidere la posizione del partito su temi caldi – il lavoro (dalla cosiddetta legge Biagi, fino alla sfida di Marchionne), le infrastrutture (ponte sullo Stretto, Tav), il “fine vita” (eutanasia e testamento biologico), la giustizia (separazione delle carriere), ecc. -, forse oggi non saremmo costretti ad assistere all’impotente e patetica cacofonia delle correnti e delle faide tra cacicchi.
Eppure era possibile. Come dice lo statuto del PD, questo genere di referendum non ha bisogno di quorum: decide chi partecipa, come è giusto in democrazia. Si parla tanto di democrazia “dal basso”. Perché allora non utilizzare gli strumenti che si hanno a disposizione? Quello statuto, che oggi tanti criticano, fu approvato nel 2008 dall’Assemblea costituente nazionale: non è una disgrazia piovuta dal cielo. Se i dirigenti di un partito “democratico” non rispettano nemmeno le regole del proprio partito, come possiamo sperare che siano in grado di difendere le regole di una democrazia quotidianamente stuprata dal berlusconismo e dal potere berlusconiano?
È comprensibile che molti militanti PD siano infastiditi dalla popolarità di Vendola: se questi vincesse le primarie del centrosinistra, di fatto diventerebbe leader anche del PD, pur non essendo un iscritto. Ma ciò potrebbe accadere proprio perché gli iscritti, in questi anni, non hanno preteso di essere coinvolti nelle decisioni importanti. Nel 2008, per esempio, poche furono le voci nel partito che chiesero a Veltroni di usare le primarie per fare le liste elettorali. I risultati li abbiamo visti: l’unico “pezzo grosso” che rimase fuori fu De Mita, le “grandi novità” furono Calearo, Colaninno jr e Marianna Madia. Lo ha scritto bene Marco Valbruzzi, tra i massimi esperti di primarie in Italia, nella sua lettera a Domani: «Non si capisce perché le primarie vadano bene per selezionare un candidato premier o un candidato governatore (ad esempio, uno a caso, della Regione Puglia), ma diventino armi pericolose appena si applicano ai parlamentari. Insomma, non è con una tattica di così corto respiro che si possono raggiungere obiettivi strategici lontani e impegnativi. Gli elettori di centrosinistra chiedono e meritano di più».
Può darsi che sia troppo tardi, ma forse l’unica speranza di dare un futuro al PD è affidare le chiavi e il volante ai suoi militanti ed ai suoi elettori. Le decisioni urgenti che potrebbero essere affidate ad un referendum aperto ad iscritti ed elettori sono parecchie.
Lavoro: cosa c’è di male a chiedere ai propri iscritti se la pensano come Cofferati, come Bersani o come il sindaco di Firenze?
Giustizia: i militanti del PD vogliono la separazione delle carriere che piace a Violante? O vogliono che il falso in bilancio sia punito come negli Usa? Cosa pensano di provvedimenti come l’indulto e lo scudo fiscale? I Cie (ex Cpt dove vengono rinchiusi i migranti senza permeso di soggiorno, ndr) vanno chiusi, riformati o vanno bene così?
Lavori pubblici: il ponte sullo Stretto di Messina e la Tav sono investimenti necessari o quelle risorse sarebbe meglio spenderle diversamente? Cosa dovrebbero fare i Comuni e le Regioni con le società partecipate che gestiscono acqua, rifiuti, energia: proseguire sulla strada delle privatizzazioni o recuperare il controllo pubblico di questi servizi?
Primarie: come e quando farle? Per esempio: si faranno anche per la scelta dei nomi da inserire nelle liste dei candidati al Parlamento, come da mesi chiede Concita De Gregorio (direttrice de l’Unità)?
Riforme: quale riforma elettorale dovrebbe proporre il PD? Sul federalismo fiscale di Bossi bisogna votare a favore, contro o astenersi? La Costituzione va modificata? Dove, come, quando, perché?
Alleanze e candidature: bisogna allearsi o no con l’Udc? È giusto o sbagliato sostenere in Sicilia la giunta Lombardo? È giusto avere tra le proprie fila reduci di Tangentopoli come Enzo Carra o frequentatori di mafiosi come Vladimiro Crisafulli (detto Mirello)? Beppe Grillo e i promotori di altre liste civiche vanno isolati e stigmatizzati, o ci si deve confrontare con questi movimenti come si fa con le altre forze politiche extraparlamentari?
Naturalmente il PD potrebbe organizzare simili referendum anche a livello comunale o regionale, per coinvolgere i propri elettori nelle decisioni più spinose: fare o non fare una metropolitana, pedonalizzare o meno un centro storico, destinazione d’uso di spazi e di terreni…
Tutto ciò sarebbe possibile se la “base” del PD si ribellasse alla propria “casta”, pretendendo di essere coinvolta seriamente nelle decisioni sulle cose (non solo sui nomi, spesso già decisi ed imposti nonostante le primarie). Se i militanti democratici si limiteranno, invece, a fare volontariato nelle feste dell’Unità e a mettersi in fila davanti ai gazebo, il destino di questo partito è segnato.
Insomma: per evitare la rottamazione della “ditta”, rottamare un po’ di dirigenti ormai insopportabili – Renzi compreso! – è sicuramente necessario, ma non basta. Bisognerebbe rottamare anche il vizio di delegare tutte le responsabilità al capro espiatorio di turno: se il centrosinistra nel 2008 ha perso le elezioni non è tutta colpa di Veltroni e Bertinotti. Se perderà anche le prossime, la colpa non sarà tutta di Bersani e Vendola.
Le conseguenze, in compenso, saranno gravi per tutti. Elettori ed astenuti. Maggioranze e minoranze. «In termini politici, l’idea di umanità, che non esclude nessuno e che non attribuisce ad uno solo tutta la colpa, è la sola garanzia che le “razze superiori” di ogni tempo possono non sentirsi obbligate a seguire la “legge naturale” del diritto del più forte e a sterminare le “razze inferiori che non sono degne di sopravvivere”; cosicché, alla fine di un’età imperialistica”, potremmo ritrovarci in una fase in cui i nazisti potrebbero apparire come i rozzi precursori dei metodi politici futuri. Seguire una politica non imperialistica e conservare la fede in una dottrina non razzista diventa ogni giorno più difficile, perché diventa ogni giorno più chiaro quanto pesante sia per l’uomo il fardello del genere umano». (Hannah Arendt, “Colpa organizzata e responsabilità collettiva”, in Id., “Ebraismo e modernità”, trad. it. di G. Bettini, Feltrinelli, Milano, 1993, pp. 74-76).
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)