Presi come siamo dal dibattito sulle feste di Arcore, a molti di noi è sfuggita la chiara presa di posizione del Vescovo di Padova a proposito dei soldati morti in Afghanistan. Il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo, riferendosi all’uccisione del soldato Miotto, ha detto testualmente: “Certo, sono dispiaciuto per la morte di questi ragazzi. Ma andiamoci piano però con una certa esaltazione retorica: non facciamone degli eroi. Quelle non sono missioni di pace: vanno lì con le armi, e quindi il significato è un altro, non dobbiamo dimenticarlo. Magari poi si scopre che un soldato è morto per una mina fabbricata in Italia”. Un’affermazione senz’altro forte, in un contesto in cui il dibattito sulla presenza militare italiana in Afghanistan langue; dove pare ci sia una sorta di assuefazione della pubblica opinione alle cosiddette “missioni di pace”; all’interno di una afasia cronica del movimento pacifista. E’ vero, proprio mentre scrivo, la tavola della pace sta facendo una riflessione sulla presenza italiana in Afghanistan, ma anche questa nel chiuso di una sala conferenze, senza il minimo impatto sulla gente del nostro paese. Lo stesso sta avvenendo sulla revisione della legge che regola il commercio delle armi, proposta dal governo, con legge delega, per – si dice – adeguare la nostra legislazione alle direttive europee. Tutto ormai avviene nel chiuso delle stanze degli addetti ai lavori, senza la minima partecipazione della gente.
Eppure proprio questi temi dovrebbero essere posti all’ordine del giorno, divenire oggetto di dibattito e di partecipazione politica. L’Italia ha una costituzione che ripudia la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti. Eppure ormai da anni anche da noi prospera una cultura militaristica, in cui pare che all’esercito sia dato un ruolo che va ben oltre la difesa della patria. Ormai l’esercito svolge ruoli di protezione civile, di cooperazione internazionale: L’ultima trovata è stata l’organizzazione di una missione militare in un ospedale ugandese, con venti medici militari, sotto la supervisione dell’AVSI, una Ong di cooperazione legata a Comunione e Liberazione. Soprattutto all’esercito sono affidate le cosiddette “missioni di pace”, fatte in zone, come l’Afghanistan dove, di fatto si sta combattendo una vera e propria guerra.
E tutto all’insegna di una retorica a dir poco stucchevole. Quella così ben rappresentata dal Ministro La Russa: i nostri ragazzi; i nostri eroi che si sacrificano per la pace, che danno anche la vita. Nulla da dire, naturalmente, su coloro che in situazioni di questo genere hanno perduto la vita. A tutti loro e alle loro famiglie, va il nostro ricordo e la nostra partecipazione. Tuttavia, in questa corsa continua all’eroe, si dimenticano alcune cose. Da tempo l’esercito italiano non è più formato da ragazzi di leva, ma da professionisti che scelgono di fare il lavoro del soldato. Pagati per difendere in armi l’Italia e i suoi interessi nel mondo. Pagati anche bene se accettano di svolgere missioni all’estero, tanto che, a quanto molti affermano, c’è la corsa a queste missioni per poter mettere da parte qualche soldo, casomai per pagare il mutuo della casa. Niente di male, ci mancherebbe. Ma se è così, le morti in Afghanistan o in altre missioni, altro non sono che morti sul lavoro. Un lavoro voluto e spesso cercato, soprattutto in questi tempi di crisi economica. I nostri morti militari, quindi, non vanno aggiunti all’elenco degli eroi, bensì a quello triste delle morti bianche, dei tanti che perdono la vita, spesso per mancanza di sicurezza, per mantenere se stessi e la propria famiglia.
Eroi? Certo: Ma se la stessa qualifica viene data anche a chi muore cadendo da una impalcatura, oppure stesso sul fondo di una cisterna e ucciso dai gas tossici. Siano essi italiani o albanesi o marocchini.
Piuttosto, a questo punto, proprio partendo dalla presa di posizione di Mons. Mattiazzo, c’è da domandarsi se ci sono e dove sono gli eroi, quelli che davvero donano gratuitamente la loro vita per la pace e la cooperazione fra i popoli. Mi si permetta allora una provocazione. Ci sono tante persone che hanno dato gratuitamente la vita per costruire la pace tra i popoli. I tanti missionari assassinati. I tanti volontari, credenti o laici non importa, che hanno lasciato il nostro paese per condividere la loro vita con i più poveri, con quelli che non contano, che non fanno notizia. Mi viene in mente un nome, Annalena Tonelli. Una donna di Forlì, assassinata in Somalia dopo 33 anni di Africa. In una intervista aveva detto: “Sono stata in pericolo di vita, mi hanno sparato, picchiata, sono stata imprigionata, ma non ho mai avuto paura”. Poi un giorno l’anno assassinata. Non era molto consociuta in Italia, anche perchè ormai aveva scelto l’Africa come sua casa eppure, come scrisse di Lei Famiglia cristiana: “le somale emigrate in Italia, i nomadi del Kenia, i tubercolotici di Manyatta, i malati di Aids di Borama e i rifugiati del Nord Somalia, cioè loro gli sconsolati della Terra, conoscevano bene Annalena Tonelli”.
Certo, fa parte di questa scelta, anche l’eventualità della morte violenta. Il nostro paese conta tantissime persone come Annalena Tonelli. Ma mi piacerebbe che, un volta almeno, per gente come questa si spendesse, in modo più serio, il termine eroe e che qualche autorità si muovesse per i loro funerali. Almeno per ricordare che il nostro è un paese che”ripudia la guerra” e che crede che la pace si costruisca con la pace e non con le armi.
Eugenio Melandri è nato a Brisighella (Ravenna) nel 1948. Diploma in teologia e laurea in sociologia. Per dieci anni direttore della rivista dei Missionari Saveriani: “Missione Oggi. Dal 1989 al 1994 parlamentare europeo, vicepresidente dell'Assemblea Paritaria CEE–ACP. Nel 1992 eletto alla Camera dei deputati, ma dopo qualche mese si dimette per non tenere il doppio mandato. Fondatore dell'Associazione Senzaconfine, per i diritti degli immigrati (1989), al termine del mandato parlamentare si dedica in maniera particolare all'Africa fondando con altri amici “Chiama l'Africa”. Da dieci anni circa dirige la rivista “Solidarietà internazionale” del Coordinamento iniziative popolari di solidarietà internazionale (CIPSI). Scrive per giornali e riviste, anche internazionali. È stato assessore alla Cultura, alle politiche giovanili e alla solidarietà internazionale nel comune di Genzano (Roma).