Gianfranco PASQUINO – Napolitano: dedurre non è peccato, è un dovere costituzionale
25-10-2010Caro Presidente Napolitano,
non ho nessun dubbio che le “profonde perplessità” che Lei ha espresso sul rinnovato pasticciaccio brutto del Lodo Alfano abbiano fondamenta giuridiche e costituzionali altrettanto profonde. E’ assolutamente indispensabile criticare nella forma e nel merito i tanto mediocri quanto arroganti legislatori (e consulenti e avvocati) del Presidente del Consiglio. Ma, siamo davvero sicuri che si tratti esclusivamente di errori dovuti ad insipienza e non, invece, a brandelli di strategia che conducono, consapevolmente e deliberatamente, allo scontro istituzionale? Sono oramai troppe le volte nelle quali i berluscones e il loro capo hanno deciso di mettere alla prova la sua sapienza e la sua pazienza costituzionale. Insistono e non smetteranno fino allo scontro finale ovvero quando vorranno andare ad elezioni anticipate. Sì, lo so, caro Presidente, che lei vorrebbe evitare le deduzioni politiche, ma nella situazione attuale queste deduzioni sono non soltanto inevitabili, ma assolutamente necessarie e persino doverose. Quindi, mi permetto di dedurre.
Prima osservazione deduttiva: Berlusconi ha essenzialmente due obiettivi. Prioritario è quello di evitare, a qualunque costo, di essere processato. Dunque, mente due volte quando dice che il Lodo non lo voleva lui e quando sostiene che vi rinuncia, proprio mentre i suoi parlamentari hanno già ripreso nella loro solita manfrina: “terremo conto delle osservazioni di Napolitano”. Obiettivo, per il momento secondario, ma di non troppo lungo termine, l’invecchiamento biologico essendo inevitabile, è quello di predisporre la sua ascesa al Quirinale. Qualcuno nel suo entourage più ampio, ovvero non soltanto i collaboratori e i parlamentari, alcuni dei quali potrebbero essere persino giustificati poiché, poverini, della Costituzione non sanno granché e meno se ne curano, ma, purtroppo anche moltissimi giornalisti, ovviamente non al servizio di Berlusconi e sul suo libro paga (oppure, forse, anche sì), sostengono che esiste un “diritto a governare”. Francamente mi sfugge in quale testo di quale costituzione lo abbiano rinvenuto, questo “diritto”, ma i cattivi maestri costituzionali, anche nei ranghi del centro-sinistra, e i (loro) pessimi libri proliferano.
Nelle democrazie, parlamentari, presidenziali, semipresidenziali, nessuno ha il fantomatico “diritto a governare”. Qualcuno ottiene in libere elezioni un mandato a governare che, un po’ dappertutto, è soggetto a limiti sufficientemente chiari (altrimenti tocca alle Corti Costituzionali definirli) e invalicabili, a cominciare dalla separazione dei poteri. Nel caso italiano, fa testo quel documento, nient’affatto catto-comunista, visto l’apporto notevole della cultura liberale e azionista, che si chiama Costituzione. Il mandato a governare, come qualsiasi altro esercizio della sovranità dei cittadini, si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione” e, in una democrazia parlamentare, attraverso la mediazione del Parlamento. Allora, caro Presidente Napolitano, alla luce dello stravolgimento delle “forme” della Costituzione e dell’obliteramento dei limiti che essa impone ai detentori del potere istituzionale, operati dai berluscones, come si fa a non pensare che le sue profonde perplessità non debbano essere accompagnate anche alle deduzioni politiche relative alla volontà di Berlusconi di ristrutturare pro villa sua la gerarchia dei poteri costituzionali. Primo, emarginare il Presidente della Repubblica, anche in previsione timorosa e spasmodica dei suoi comportamenti in caso di crisi di governo. Secondo, fare passare il Presidente del Consiglio dal ruolo di primus inter pares a quello di primus super pares, non necessariamente uno sconvolgimento, ma una modifica che dovrebbe essere formulata e approvata con un disegno di legge costituzionale apposito e non surrettiziamente. Terzo, proteggere con uno scudo non lei, Presidente Napolitano, ma lui, il Presidente Berlusconi, in attesa della sua plausibile e possibile ascesa al Quirinale.
Insomma, di fronte alla ripetizione di un obbrobrio, ovvero la protezione incondizionata del capo di un governo (ovvero del governo italiano), per eventuali reati commessi prima della conquista della carica, ma anche dopo, non possiamo proprio arrestarci al dato giuridico. È doveroso trarre numerose, circostanziate, argomentate deduzioni politiche. Anzi, è anche opportuno affermare alto e forte che la protezione voluta dai berluscones non esiste affatto nelle democrazie contemporanee, tranne nel caso francese dove, peraltro, lo scudo non venne fatto approvare da chi poteva averne bisogno (ovvero Chirac). Chi deduce correttamente arriverà preparato a svelare e, sperabilmente, anche a sventare le future mosse berlusconiane, extra, quando non addirittura anti-costituzionali.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).