Dopo le varie mannaie, ecco che si vuole colpire l'economia sociale, tassando le cooperative e colpendole proprio per quello che sono: realtà che puntano sulla mutualità sociale invece che sui capitali. Un provvedimento che, se approvato, verrebbe dopo lo smantellamento delle garanzie dei lavoratori e il privilegio del profitto a tutti i costi
Sergio CASERTA – La farsa delle manovre, le coop nel labirinto della crisi
01-09-2011Il governo sulla manovra anticrisi fa, ormai quotidianamente, come nel gioco dell’oca, due passi avanti e tre indietro, proclamando incrollabili accordi sulle decisioni prese che il mattino dopo vengono travolte dall’opposizione dei soggetti colpiti, a torto o a ragione, e, più ancora, dai distinguo e dalle smentite degli stessi alleati di maggioranza che solo il giorno prima le avevano concordate e sulle quali avevano giurato fedeltà.
Va avanti così dall’inizio dell’anno, cioè da quando è esplosa la crisi di fiducia sui titoli di Stato: prima quelli greci, poi i portoghesi, gli irlandesi e gli spagnoli, infine i nostri e, per ultimo, c’è stato il gran botto del declassamento del debito americano. È la prima volta che ciò accade nella storia finanziaria ed economica a memoria d’uomo, cioè da quando le onnipotenti “società di rating”, insieme alle grandi banche d’affari, hanno deciso che la politica economica e finanziaria degli Stati, almeno di una porzione significativa del mondo occidentale, dovesse essere messa in discussione, la consacrazione definitiva della supremazia del grande capitale sulla politica e sugli interessi generali.
La crisi finanziaria internazionale, prima dei mutui subprime e delle banche finanziatrici del credito al consumo in USA, fu sostenuta dal corposo intervento delle banche centrali, ovvero degli Stati. Ricordate i 700 miliardi di dollari stanziati da Obama, appena nominato presidente, per salvare Lehman Brothers (poi fallita), e Freddie e Fannie, le grandi assicurazioni sui mutui?
Ed è così, ancora, che una grande crisi, derivante da un’enorme bolla speculativa, determinata da una crescita incontrollata di contratti finanziari ad alto rischio, voluta dallo stesso sistema del credito, che ha innescato una grave recessione economica, si trasforma oggi in crisi degli Stati, per l’insolvibilità del loro debito e quindi nella svalutazione dei titoli di Stato a garanzia dello stesso con catastrofiche conseguenze per il risparmio dei cittadini e la stabilità delle comunità.
Questa situazione sta portando a un “parossismo” nella politica economica perché i governi, e il nostro più di altri, sono costretti a introdurre misure molto restrittive per ridurre i deficit di bilancio, come se questi debiti debbano essere restituiti tutti in una volta e subito. È in realtà assai sospetta questa “guerra dei nervi” tra mercati finanziari e istituzioni politiche, in cui le seconde sono in evidente difficoltà. Sicuramente nasconde un disegno economico strategico con l’obiettivo di ridimensionare e di molto il peso dell’economia pubblica, e quindi dell’intervento degli Stati nella spesa sociale e nella gestione di importanti settori economici.
Non dimentichiamo che la competizione economica mondiale si svolge ormai tra “sistemi” che sono molto diversi tra di loro. Basta pensare a quanto sia ancora grandemente diverso il costo del lavoro in Paesi, ormai molto competitivi e in grande crescita, come la Cina, l’India, il Brasile, per segnalare i maggiori. Si mettono in discussione le condizioni di vita di milioni di persone che oggi soffrono per la riduzione di loro fondamentali diritti, basta pensare ai processi di diffusa precarizzazione dei contratti di lavoro che stanno condannando un’intera generazione all’incertezza del suo futuro.
In Italia, a causa del permanere al governo della compagine berlusconiana con il suo carico di incapace e intenzionale arroganza, si sta giungendo al dramma il farsesco; siamo alla terza proposta di manovra, e ogni volta si aggiungono provvedimenti inediti, o se ne eliminano altri già ufficializzati: è il caso del famigerato contributo di solidarietà a carico dei percettori di redditi maggiori di 90 mila euro, che è stato soppresso per il settore privato e confermato per i dirigenti del pubblico impiego, come se fossero soldi diversi.
Così è avvenuto per i capitali esportati illegalmente e poi graziati da un condono scandaloso del 5% (lo “scudo fiscale”) che il governo ha preannunciato di voler tassare e poi ha smentito, per finire alla barzelletta dell’eliminazione del diritto di riscatto degli anni di laurea, per il quale migliaia di lavoratori stanno pagando da anni notevoli somme, provvedimento frettolosamente ritirato solo il mattino dopo che è stato proposto in pompa magna.
Viene da chiedersi se non sia usato intenzionalmente questo apparente illogico sistema di cambiare continuamente le proposte e i soggetti sociali colpiti, quasi a voler spaventare e disorientare l’opinione pubblica per far passare altre manovre ben più corpose, ad esempio quelle relative all’eliminazione delle norme sul lavoro, come il divieto di licenziamento senza giusta causa, o quelle relative alla privatizzazione di fatto di ogni (possibile) azienda pubblica.
Tra tutti i provvedimenti appare ancor più condizionato da pregiudizio ideologico e intenzionalità politica quello relativo all’eliminazione dei benefici fiscali per le cooperative, un provvedimento che colpirebbe duramente il mondo cooperativo nel suo maggior elemento di caratterizzazione e di forza, la non tassabilità degli utili portati a riserva per il rafforzamento del capitale sociale, e quindi della capacità imprenditoriale delle coop. Un beneficio non individuale, collegato al principio di mutualità proprio della cooperazione, sancito e difeso dall’articolo 45 della Costituzione, un principio che contraddistingue la cooperativa come azienda senza scopo di lucro privato, ben diversa dall’impresa privata di capitale.
Questa norma, se applicata, violerebbe un diritto e metterebbe gravemente a rischio il futuro di tante cooperative, renderebbe perfino superflua la ragione stessa d’esistenza della forma societaria cooperativa quale impresa non privatistica, sottoposta al controllo della legge e a forti limitazioni in campo finanziario e speculativo. Si vuole colpire l’economia sociale verso la quale guardano con interesse i giovani che voglio realizzare i propri ideali e utilizzare le proprie professionalità in campi che prediligono. Insomma ancora un attacco ai diritti dei più deboli.
Il movimento cooperativo italiano dovrebbe reagire con tutta la forza della sua tradizione democratica e partecipativa a questo attacco, ricordando al Paese i suoi meriti in molti campi. Certo, alcune vicende recenti e meno fanno correre il rischio di pensare erroneamente che le cooperative sono come tante altre imprese private, ma non è così. In questo senso, invece, è quanto mai opportuno rivendicare la funzione sociale della cooperazione e la sua diversità da altre forme d’impresa.
Possiamo solo augurarci che le ultime “pulsioni” di parte della cooperazione all’imitazione dell’affarismo economico siano definitivamente superate per non incorrere in ulteriori gravi errori e rischi.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà