Noi di Lampedusa, il governo ci ha abbandonati. Siamo ancora italiani?
24-03-2011
di
Enrico Casale
«I lampedusani non si sono mai tirati indietro nel prestare assistenza agli immigrati. Non lo hanno mai fatto in passato, non lo fanno adesso e non lo faranno in futuro. Ma siamo sconcertati per come siamo stati abbandonati dal governo». Don Stefano Nastasi da tre anni è parroco di Lampedusa (Ag). Tre anni lunghissimi in cui ha vissuto prima la grave emergenza sbarchi del 2008 e poi questa nuova ondata di immigrati seguita alle rivolte in Egitto, Tunisia e Libia.
«In questi giorni – continua don Stefano – gli sbarchi si sono susseguiti in continuazione. Di fronte a questa massa crescente di persone, il centro di accoglienza dell’isola è andato in tilt. Così molti immigrati si sono accampati nella zona del porto. Altri in una tendopoli allestita nell’isola. Noi come parrocchia facciamo quel che possiamo per aiutare le persone arrivate, soprattutto quelle più svantaggiate». La Caritas parrocchiale si è attivata per raccogliere vestiti usati, ma anche cibo e, in particolare, latte e biscotti per la prima infanzia (considerato che nelle ultime ore sono sbarcate molte donne con bambini). «La popolazione – continua il parroco – non ha mai rifiutato il soccorso alle persone in difficoltà neppure agli immigrati sbarcati sulle nostre coste. Negli ultimi giorni alcuni parrocchiani si sono addirittura offerti di ospitare in casa loro i profughi».
I lampedusani però si sentono abbandonati dal governo. «Di fronte a questa nuova ondata di sbarchi – osserva amaro il sacerdote – non c’è stata una seria programmazione. È vero si tratta di un evento straordinario ma, credo, ampiamente prevedibile. Di fronte alle rivolte che hanno interessato i Paesi della sponda sud del Mediterraneo si poteva pensare che sarebbe ripartita l’emigrazione verso l’Europa. Invece siamo stati travolti da questa onda crescente, che pare non calare». Anche l’accampamento allestito nell’isola sembra frutto di improvvisazione. «Che cosa vuol dire creare una tendopoli adesso? Forse diventerà un accampamento stabile? L’isola come riuscirà a sopportare un impatto così grande nei mesi futuri? Noi non indietreggiamo se c’è bisogno di aiutare chi arriva, ma vogliamo risposte serie e coerenti da parte di Roma e progetti che sappiano far fronte in modo organico al problema».
Enrico Casale collabora a "Popoli", periodico internazionale dei gesuiti del Centro San Fedele di Milano.