"Gli italiani devono capire che stanno parlando di loro e dei loro problemi" - "Non dicendo con precisione chi siamo abbiamo finito col disarmarci davanti alle vere e proprie ideologie della destra"
Pier Luigi BERSANI – Nuove generazioni: né inventate, né rappresentate per simboli
29-06-2009Il 1° luglio presenterò a Roma le mie idee per il Pd e per l’Italia. Ho rivolto il mio invito, in particolare, alla nuova generazione che è già in campo nel lavoro e nelle professioni, nella politica e nelle amministrazioni, perché penso che la nuova generazione non debba essere né inventata né rappresentata per simboli. Deve piuttosto diventare protagonista della discussione politica che si apre, prendendola in mano.
Pur all’interno di un meccanismo statutario barocco, abbiamo davanti a noi una occasione per il Pd ed il centrosinistra. Una occasione e un rischio. Gli italiani devono capire che stiamo parlando di loro, e di noi solo in quanto vogliamo renderci più utili al nostro Paese e ai ceti che vogliamo rappresentare. Se ci vedessero discutere solo di chi è democratico-doc e chi no, oppure di vecchio e di nuovo, o di giovane e di vecchio, distoglierebbero lo sguardo.
Per ciò che mi riguarda, darò il mio contributo parlando dell’Italia e di come sia possibile radicarci meglio nei ceti popolari e produttivi e nelle nuove generazioni, contrastando una destra che, quando vince, vince nel popolo. Dovremo anche discutere di un nostro profilo di identità fin qui mal definito e di come riprendere il cammino per organizzare il campo del centrosinistra rendendo credibile agli occhi degli elettori una alternativa.
Quanto al partito, credo che ci abbia danneggiato innanzitutto l’eccessivo eclettismo e la retorica del “postidentitario”. Non dicendo con precisione chi siamo, abbiamo finito col disarmarci davanti alle vere e proprie ideologie prodotte dalla destra. Cercherò di descrivere a questo proposito il profilo di un partito popolare, il partito di una sinistra democratica e liberale. Per ciò che riguarda la nostra organizzazione, credo che abbiamo fatto un errore nel non distinguere la fase costituente da quella della costruzione vera e propria del partito: un tema di cui non abbiamo mai davvero discusso e che finalmente dovremo discutere oggi. Infatti in questi venti mesi abbiamo in parte deluso sia quelli che si aspettavano forme di partecipazione più tradizionali, sia quelli che volevano dare concretezza ed efficacia a forme nuove di adesione e coinvolgimento.
Quando, all’inizio della nostra avventura, mi capitò di denunciare il rischio di un “partito liquido” mi si dipinse come uno affezionato alla burocratica centralità del partito rispetto alla società. Si trattava esattamente del contrario, e forse ora è più facile comprenderlo. Proprio perché il partito è un mezzo e non un fine (il fine è una società migliore!), il partito è uno strumento che deve funzionare, che non può diventare la palestra di una ipotetica società perfetta, né l’idrovora che assorbe la società così com’è o se ne fa assorbire. Per questo la partecipazione degli aderenti deve essere vera e sostanziale, deve partire dal basso, deve selezionare la classe dirigente dai territori, deve misurarsi con discussioni politiche vere in organismi praticabili, deve darsi una disciplina liberamente condivisa come avviene in qualsiasi associazione, deve praticare in modo più ordinato ed efficace il coinvolgimento degli elettori e dei cittadini.
Cercherò su tutto questo e su altro di dare il mio contributo in forme non retoriche ma concrete e percepibili e troverò le forme per raccogliere le idee e i contributi critici di chi vorrà interloquire. Il nostro sarà un congresso fondativo. Se ne usciremo bene potremo riprendere il cammino, rafforzare il nostro grande progetto e suscitare la percezione di una nuova prospettiva. Potremo, insomma, ridare voce alla canzone popolare.