Si avvicinano le elezioni regionali 2010. Mentre i sondaggi, confermando gli umori di amici e colleghi, preannunciano una diffusa astensione, viene da chiedersi quale promessa, a pochi giorni dal voto, potrebbe rimotivare il depresso elettorato italiano. Un paio di anni fa si parlava molto – “a destra e a manca” – della possibile abolizione delle Province. Avete sentito qualche candidato Presidente (tra quelli che hanno qualche probabilità di vincere) che propone l’abolizione delle Province? No. Perché? Una parte della risposta, probabilmente, è che le Province danno lavoro a 61 mila persone.
Istituite nel 1970, dopo la riforma del Titolo V approvata a maggioranza dal Parlamento nel 2001 (governo Amato), le Regioni sono diventate lo strumento più incisivo nel governo del territorio. Quella riforma, che qualcuno ebbe l’ardire di definire federalista, conferì pari dignità costituzionale anche alle Province, ai Comuni e alle Città metropolitane. A distanza di quasi dieci anni si continua a discutere di federalismo e di Camera delle Regioni. Ennesima dimostrazione della scarsa vitalità del riformismo italiano. Forse siamo un Paese troppo invecchiato per essere dinamico…
In questa tormentata campagna elettorale molti lamentano l’assenza di proposte concrete. Si litiga, ci si insulta, ci si porta in tribunale, si va in piazza. Negli interventi pubblici dei candidati e nei rarissimi confronti tra sfidanti, si fatica ad individuare proposte concrete e credibili. Cosa pensano i contendenti, per esempio, della privatizzazione dell’acqua o dei progetti di legge che, dopo aver distrutto la libertà dell’informazione “classica”, vorrebbero imbavagliare anche internet? Quali ricette propongono per ridurre i costi della pubblica amministrazione, liberando così una parte di risorse pubbliche utili per affrontare la crisi?
Il dibattito politico è monopolizzato dagli scandali, dalle inchieste giudiziarie e dalle relative polemiche. Si ha l’impressione che in Italia i più influenti attori politici siano gli avvocati. Non solo perché costantemente impegnati nella difesa di politici, banchieri o imprenditori inquisiti. Spesso si criticano i giudici che “fanno politica”. Meno frequentemente si racconta all’opinione pubblica che gli avvocati sono la categoria professionale più rappresentata in Parlamento: il 14% alla Camera e il 14,3 % al Senato. Un dato in crescita rispetto alle precedenti legislature. Una rappresentanza “diretta” molto più alta rispetto ad operai ed impiegati (4,9% a Montecitorio, 4,1% a Palazzo Madama). Ancora più ampia la forbice dei redditi: le dichiarazioni 2009 degli avvocati-parlamentari Niccolò Ghedini, Giulia Bongiorno e Donato Bruno superano ampiamente il milione di euro.
Nel 2007 il bestseller “La Casta” costrinse i partiti a fare i… conti con il tema degli sprechi e dei privilegi dei politici italiani. Un giorno d’estate un amico mi passò la sua copia di quel libro-inchiesta: “io sono arrivato a metà e mi veniva da vomitare… fammi un favore: leggilo tu”. Fu così che nel dibattito politico cominciarono a farsi strada due paroline esorcizzanti: “meritocrazia” e “innovazione”. Veltroni, per esempio, ne fece due pilastri della sua campagna per la segreteria del nascente Partito Democratico. Come tutti ricorderanno, dopo la dissennata riforma costituzionale del 2001, che ha dato dignità costituzionale, insieme allo Stato, alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Città metropolitane, Veltroni lanciò la seconda stagione del riformismo de’ noantri: quella del cosiddetto “dialogo” con Berlusconi. Mentre il governo Prodi cercava di sopravvivere, si cominciò a dialogare, tra l’altro, anche sulla necessità di tagliare i costi della politica: dal numero dei parlamentari al loro stipendio, dalla sburocratizzazione della P.A. fino, appunto, all’abolizione delle Province. Morale della favola: attualmente sono 21 le nuove Province in incubazione… Il solo ministro Rotondi – nostalgico democristiano – ne propose otto: Sulmona, Bassano del Grappa, Marsi, Sibartide-Pollino, Melfi, Aversa, Venezia Orientale e Avezzano.
Le Province costano agli italiani 14 miliardi di euro l’anno. Qualcuno ritiene la loro abolizione una proposta populista. Altri invece, che vogliono eliminarle innanzitutto dalla Costituzione, si rivolgono ai cittadini tramite il web: www.aboliamoleprovince.it.
Sarà un caso se Lega, che di populismo se ne intende, è il più agguerrito difensore delle Province? Una posizione apparentemente incoerente per chi ha fatto proseliti gridando “Roma ladrona!”. La spiegazione è banale: il potere, in espansione, della Lega ha origine in centinaia di territori, province comprese, conquistati in anni di battaglie politiche, metro dopo metro. Un crescente radicamento territoriale, sceso ben oltre il Po. Ora la Lega si appresta a governare, per la prima volta, anche una Regione.
Tanti auguri alla Costituzione e all’Italia delle 110 (per ora) Province.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)