C’erano una volta dei pacifisti che non tanto si dichiaravano sostenitori della pace – cosa che ormai fanno anche i militari -, ma affrontavano singoli problemi sui quali misurarsi loro per primi, per far pensare il paese. L’Italia non riconosceva l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio? E loro andavano in galera per obbligare i politici a introdurre una norma innovativa.
L’Italia non aveva una legge che regolamentasse il commercio delle armi cosicché il nostro paese era quello che non solo produceva materiale bellico a dismisura, ma ne riforniva le dittature peggiori, riciclava l’usato, partecipava alle triangolazioni? e loro incalzavano il Parlamento organizzando iniziative contro i “mercanti di morte” e diffondendo le proposte di legge che il governo avrebbe potuto accantonare senza metterle mai all’ordine del giorno. C’era la guerra fredda e la contrapposizione Est/Ovest pretendeva il riarmo nucleare di tutti i paesi occidentali e l’impianto dei missili a media gittata Pershing e Cruise anche in Italia? e loro a fare campi di informazione e di protesta e a subire processi pur di far sapere che a Comiso si compiva una stoltezza strategica. Si prospettava una base militar-nucleare vicino a Piacenza? e loro a fare iniziative, con inviti che non potevano essere facilmente elusi anche se ricusati ai capipartito e ai parlamentari per sapere e far sapere.
Da parecchi lustri paralisi completa. Tutti felici perché il 1989 ha dimostrato che la tigre sovietica era di carta? Non ci sono altri problemi oltre la base di Vicenza, dove si è fatta sentire la protesta in modo così netto da produrre il cambiamento di governo di un’amministrazione tradizionalmente moderata? A proposito della quale malignamente domandiamoci: se la decisione avesse riguardato Cremona o Pistoia, i vicentini si sarebbero mobilitati?…
Ma il guaio è che sono passati anni non insignificanti per i cittadini che vorrebbero che, fatto salvo il principio costituzionale della difesa, tutto ciò che loro intendono come “pace” fosse questione democraticamente pubblica. I problemi internazionali si sono fatti ancor più complessi e chi è contro la guerra deve per prima cosa conoscerli per vedere se i conflitti si debbono continuare a fronteggiare con le armi al piede o si debbono prevenire. Sarà inutile, infatti, piangere sul latte versato, perché, quando scoppiano le guerre, ci sono le guerre e quello che si versa è il sangue. Prevalentemente della popolazione civile. Infatti le guerre “preventive” e “umanitarie” impiegano i soldati che, purtroppo, spesso muoiono a decine, ma fanno strage di migliaia di esseri umani inermi.
Lo sviluppo degli arsenali si è fatto complesso e, pur tenendo presente che il grande business del bellico comprende nucleare, chimico e biobatteriologico, investe in particolare la grande sofisticazione del convenzionale. Pensiamo soltanto ai droni, questi aerei senza pilota telecomandati, capaci di missioni micidiali: evidente raffigurazione di una ricerca tecnologica destinata a salvaguardare i militari facendo vittime tra i “nemici”, come se chi è ritenuto tale fosse facile da individuare senza errore.
L’esperienza umana ci ha reso consapevoli che, a partire dalla fionda in poi, le armi si sono fatte più sofisticate e più disumane. Allora: siamo tutti convinti che stia bene in questo campo il libero mercato e la libera ricerca avanzata ma anche segreta? C’è una logica se i governi pensano di privatizzare le Forze armate, come sembra intenzionato a fare il governo italiano, perché neppure per i conservatori più reazionari né l’esercito né la patria sono più gli stessi. Ma non c’è nessuna logica se quelli che una volta si definivano “pacifisti” – ma che, in realtà, dovrebbero essere tutti i cittadini consapevoli dei propri diritti – non studiano i problemi, non li pongono all’attenzione di tutti, non avanzano proposte serie che aiutino come un tempo gli stessi politici e i parlamentari a capire fino a che punto si possono accettare le mediazioni avanzate dai poteri e dagli interessi “forti” che li incalzano sempre più vicino.
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature