103 ministri di 53 Paesi si ritrovano a Parma, capitale della food valley, per dialogare sulle misure da adottare per proteggere la salute (in particolare dei bambini) dai danni provocati dal ambiente inquinato. Ma di certi argomenti a Parma non si discuterà. Ecco perché.
È una storia che comincia un caldo giorno di luglio del 2008 ed ha un nome, Pai: fa venire in mente le croccanti sfoglie di patate. Nella sede della Provincia di Parma è riunita la Conferenza dei Servizi, dove siedono tutte le amministrazioni locali e gli organi di controllo come Arpa, Usl, consorzi di bonifica… Sono passati 5 giorni (compreso un fine settimana) da quando Enia, il proponente dell’impianto Pai (Polo Ambientale Integrato), ha depositato le integrazioni al progetto del nuovo forno inceneritore, localizzato a Ugozzolo, di fronte al pastificio più grande del mondo, la Barilla.
Le integrazioni sono di fatto un nuovo progetto, Enia è stata obbligata dal fiume in piena di revisioni e richieste giunte da comuni e associazioni a rifare la prima stesura, che perfino Arpa, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, giudicava “non definitiva” in quanto carente delle più elementari caratteristiche. Le integrazioni assommano a 155 pagine, 11 allegati, 8 volumi.
Cinque giorni. Il 10 luglio è un giovedì, il 15 è il martedì successivo. Ma la Conferenza dei Servizi riesce a tagliare un traguardo che in Italia non ha eguali. In 5 giorni, sabato e domenica inclusi, esamina le integrazioni, valuta il rapporto ambientale, approva il progetto con prescrizioni. Impedendo di fatto “l’informazione e la partecipazione di amministrazioni, associazioni e soggetti interessati” come recita chiaramente la legge regionale. Il suolo dove viene autorizzato l’impianto è in realtà, nei giorni in cui la Conferenza emette il suo sì, ancora un suolo agricolo, manca così la necessaria conformità urbanistica, ed insiste in una zona vocata alla produzione di Parmigiano Reggiano, e gli inceneritori non possono essere edificati su “zone agricole caratterizzate per qualità e tipicità dei prodotti”, recita il decreto legislativo 228 del 2001.
Quale terra se non Parma annovera il meglio della tradizione alimentare italiana? Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Spalla cotta di San Secondo, Culatello di Zibello, Salame di Felino… Una litania che ha fatto identificare questa terra con l’immaginifico termine anglosassone di “food valley”. È su questo marchio di fabbrica che le fortune di Parma si sono sviluppate negli anni del dopoguerra e del boom economico. Su queste eccellenze il territorio ha costruito la sua ricchezza ed il suo nome, che hanno fatto il giro del mondo.
Un inceneritore, industria insalubre di classe prima, cozza evidentemente contro questa storia di prodotti profumati e appetitosi, a partire dalla produzione di inquinanti da parte dell’impianto, che è certificata dalla stessa Enia e che porterà con sé un danno sanitario certo, ma nei termini di legge… Solo considerando il particolato Pm 10, polveri cioè delle dimensioni di 10 milionesimi di millimetro, un capello umano è 5 volte più grande, l’inceneritore ne immetterà in atmosfera 3,2 tonnellate all’anno. Il Pm 10 è considerato l’inquinante di maggiore impatto nelle aree urbane, responsabile delle patologie acute e croniche dell’apparto respiratorio e cardio-circolatorio, e causa asme, bronchiti, tumori.
Parma è al 34° posto i Italia per la qualità dell’aria, 62 sono gli sforamenti dei limiti di legge nel 2009, 28 quelli del 2010 in soli 2 mesi. Quindi siamo già in una situazione “mediocre” come riporta la stessa valutazione di impatto ambientale commissionata da Enia, con “concentrazioni elevate su tutto il territorio e con il limite per la media annuale decisamente superato sia per la protezione della salute umana sia per la protezione degli ecosistemi” (in riferimento agli ossidi di azoto riscontrati nell’aria). Enia risolve il grave problema con un coupe de theatre, proponendo un bosco mangia-polveri, che già nel nome ricorda favole per bambini più che un serio impegno di risanamento dell’aria. Un bosco che sarà grande tra 10 anni, posto a ovest dell’inceneritore quando le polveri per effetto dei venti andranno a est. Ma il giochino di Enia è più raffinato. Nella stima degli impatti sono tenuti in considerazione solo 3 inquinanti, ossidi di azoto, monossido di carbonio e Pm 10. Mancano all’appello quelli più pericolosi e maggiori di numero, i microinquinanti organici, i cloroorganici, i metalli. Un impianto di incenerimento emette migliaia di sostanze, ed in particolare acido cloridrico, ammoniaca, ossidi zolfo, furani, diossina. Le diossine in particolare si accumulano sui terreni ed entrano nel ciclo produttivo attraverso i foraggi, per poi giungere all’uomo con il latte. Accanto all’inceneritore di Brescia hanno chiuso diverse aziende per eccesso di diossine nel latte prodotto dalle loro mucche. A Montale, Pistoia, l’inceneritore ha addirittura avvelenato il latte materno. A Coriano (Forlì) gli incrementi di tumori tra la popolazione residente nei pressi dell’impianto ha dei valori impressionanti che superano il 30%.
Negli anni in cui va di moda la lotta contro i gas serra basti ricordare che l’incenerimento provoca gas serra 46 volte in più rispetto al riciclaggio. E tutti nel mondo si stanno adeguando. Vale la pena andare oltre oceano? Negli Stati Uniti non si costruiscono inceneritori dal 1995. Oltre trecento progetti sono stati rigettati per puntare alla raccolta differenziata ed al riciclo.
Non tutti accettano passivamente la situazione. Il Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti è un gruppo di cittadini che nel 2006, ad approvazione del Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti (PPGR), che prevedeva un impianto di incenerimento, muove i primi passi. Senza improvvisare, visto che al suo interno ci sono i medici per l’ambiente (Isde) che da anni studiano le relazioni che ci sono tra salute e ambiente. Una battaglia a bassa intensità, fatta però di punti fermi, come le osservazioni al progetto Enia, da quest’ultima ignorate “perché non erano numerate” (!). Poi il ricorso al Capo dello Stato, depositato con il WWF nel 2008, che oggi sonnecchia nel faldoni del Tar di Parma in attesa di un ipotetico risveglio.
Un itinerario che ha avuto nel 2009 un sussulto, con l’entrata nel gruppo dei Gas (gruppi di acquisto solidale) che vedono l’inceneritore frapporsi con le loro pratiche di acquisto a km zero, da produttori locali e biologici. L’inquinamento dei suoli e dell’aria metterebbe in crisi tutto il loro progetto. Così nell’ottobre del 2009 una manifestazione pacifica invade il centro di Parma, le sue stazioni di quaresima toccano la Provincia e si fermano in piazza sotto il municipio sollecitando un ripensamento, uno sguardo al futuro. In dicembre Santa Lucia coincide con una fiaccolata che attraversa la città da ovest a est. In un Teatro Due gremito Paul Connett, chimico americano candidato al Nobel nel 2008, emette la sua sentenza: “Parma è l’ultimo posto al mondo dove costruire un inceneritore”.
Ma la politica è sorda e muta, gli interessi legati al progetto probabilmente sono molto grandi. La partita si gioca anche su una sigla amena, Cip 6, che sta ad indicare un aiuto fuori legge, infatti la Comunità Europea ha posto l’Italia in procedura di infrazione. La norma europea taroccata consente alla produzione di energia tramite incenerimento di rifiuti essere assimilata a quella da fonti rinnovabili. Una torta enorme ed appetitosa, fatta di tariffe pagate tre volte il prezzo di mercato dal Gse (il gestore nazionale dell’energia) e direttamente alle società che gestiscono gli inceneritori. Montagne di euro, che a Brescia hanno consentito di incassare 450 milioni di euro, quando l’impianto ne costò 150, togliendo risorse ingenti alle vere rinnovabili come il solare, l’eolico, il fotovoltaico.
Ora è la rete il grande alleato della protesta e della proposta alternativa: una catena internazionale sta ora bombardando di mail le aziende e gli amministratori del territorio di Parma. Dal Canada alcuni attivisti propongono il boicottaggio di Barilla e dei prodotti made in Parma, la piccola macchia di dissenso si sta allargando a dismisura. Le pagine facebook delle aziende locali pullulano di appelli contro il progetto anche se prevale il silenzio imbarazzato degli addetti ai lavori e da destra a sinistra si tace, puntando dritti al 2012, quando l’inceneritore erutterà le prime ceneri tossiche e la cassa comincerà a sfornare i primi quattrini. Il Coordinamento non si è fermato al no. Prendendo spunto da altri progetti avanzati che in Italia stanno prendendo piede, organizza una alternativa credibile e fattibile in pochi mesi. Un impianto di gestione a freddo dei rifiuti, senza combustioni. Un progetto che costa 10 milioni contro i 180 dell’inceneritore. Che porta la raccolta differenziata al 95% complessivo, facendo emergere solo il 5% di scarto contro il 30% di ceneri tossiche che emetterà l’inceneritore e che ancora non si sa dove verranno stoccate.
Una guida introduttiva all’alternativa in questi giorni viene distribuita nelle cassette delle lettere dei parmigiani e dei residenti delle frazioni. In quattro pagine la guida colma la lacuna in cui l’opinione pubblica è stata tenuta per evitare che ci si informi scoprendo che l’inceneritore non è una ineluttabile prospettiva e che invece altri territori come Vedelago (Treviso), Colleferro (Roma), Tergu (Sassari), Caltagirone (Catania) hanno intrapreso chiudendo la porta a nuovi impianti di incenerimento. Una brochure che impaurisce il gestore, che sta tappezzando Parma di pubblicità che pagano i contribuenti per dire quanto è brava, quanto ricicla, eccetera eccetera. Teme il crescere del dissenso, la circolazione delle idee. Va nelle scuole a raccontare ai ragazzi che l’inceneritore è l’impianto che chiude il cerchio della gestione dei rifiuti, le amministrazioni locali a tener bordone, dimenticando di dire che ci sono alternative all’incenerimento e che i rifiuti rimangono risorsa e materia fino all’attimo prima del grande rogo.
Il 5 marzo alla Camera di Commercio è stata presentata la monografia dei Medici per l’Ambiente in una affollata serata “Che futuro per l’infanzia?”. Che è il nostro futuro a rischio, come a Kirklees, Yorkshire, nord dell’Inghilterra, dove si è scoperto che la mortalità dell’infanzia cresce di nove volte sotto l’impianto di incenerimento. O ad Arezzo dove la Chimet, che recupera metalli e brucia nell’inceneritore i residui, colma di certificazioni ambientali, ha creato una vera e propria strada della morte, inzuppando la terra di mille veleni che uccidono oggi senza distinzione di età. La fortuna di Parma è che a Ugozzolo non c’è ancora nulla. Al Cornocchio, dove fino al 2002 bruciava “rudo” il vecchio inceneritore, le montagne di ceneri e rifiuti sono ancora lì, accatastate e mai bonificate, e poi dicono che questi impianti chiudono il cerchio, che concedono l’autosufficienza. A Ugozzolo per ora c’è solo il cimitero, e la Barilla, la Greci, lo Spip (5000 lavoratori ogni giorno), altri insediamenti di ritrovo in costruzione, ma ancora un’area spianata e vuota che potrebbe ospitare un centro di riciclo invece che un mostro sputa morte.
C’è ancora tempo per far vincere la ragione.
Aldo Caffagnini, giornalista pubblicista, è presidente del gruppo di acquisto solidale di Parma “La Spiga”. Collabora al Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti e Risorse per bloccare la costruzione del nuovo inceneritore di Parma.
Aldo Caffagnini, montanaro di Bardi, giornalista pubblicista, è presidente del gruppo di acquisto solidale di Parma "La Spiga". Con l'Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse è in lotta per bloccare la costruzione del nuovo inceneritore di Parma.