Ascoltate le nefande espressioni di Veltroni e della Bernardini, nel consesso della Camera, levossi, austera, indignata, algida nel glaciale nitore dei capelli argentei, come le finiture dei drappi funebri, fulminando gli astanti con le acute lame cerulee del suo sguardo, severo ed altero, Paola Binetti, non senza aver trattenuto, eroicamente, gridolini di dolore lancinante per le trafitture che le procuravano il cilicio e le rotte ossa, provate dalla dura tavola di legno di bosso, su cui ella trascorre le ore notturne, dedicate al dono di Morfeo.
Forse già Serva di Dio in seguito al lavoro indefesso di numerosi postulatori in mistica ed estatica sua adorazione, ma sicuramente al servizio della CEI, la teodem, novella Savonarola de noantri, ha duramente e sdegnosamente bacchettato, ispirata dallo Spirito Paraclito, visibilmente calatole sulla chioma nivea, in forma di gufo, quelle che la medesima ha definito vergognosi spots pubblicitari sull’eutanasia, riferendosi, implicitamente, a quanto già espresso da Napolitano, da Paolo Villaggio e, per ultimi, dai blasfemi Veltroni e Bernardini, novella Ipazia, quest’ultima, sfrontata e spudorata, assisa da tempo tra i banchi del Parlamento a vomitare oscenità. La Binetti, tormentata vieppiù dagli aculei del cilicio, ha pronunciato il suo gramo epitaffio sulla fine che Monicelli si è scelto, con il suicidio, estremo gesto di non-ritorno, sul quale sarebbe meglio che tutti, invece, osservassimo un rispettoso e doveroso silenzio; tutti, tranne Dio onnisciente.
Ma la Binetti si considera, evidentemente, quarta persona aggiunta, honoris causa, alla Santissima Trinità. Lo ha definito il gesto di un disperato in un deserto arido e spoglio di affetti familiari ed amicali. Forse ha dimenticato, la chiarissima ed esimia neuropsichiatra, la tragica esperienza di Mario, che rinvenì il corpo del padre, suicidatosi, nel bagno della sua abitazione; forse ha dimenticato la depressione che può portare al suicidio per la perdita di significato e di senso della propria esistenza, un dramma che ad ognuno di noi, ella compresa, può capitare, nel corso della vita. Quello di Monicelli non è stato, infatti, un suicidio egoistico o fatalista, ma viene definito anomico, e l’eziologia del suo gesto, come di ogni altro suicidio, rimane un segreto incomunicabile del singolo. Il suo non è stato un fatto espiatorio o vendicativo, di colpevole o di vittima innocente nei confronti della società, non è stata un’invocazione di aiuto, bensì una libera, estrema decisione.
Ma come tutti i moralisti e moralizzatori, specie tra i cattolici intransigenti, fervidi e ferventi servi sevorum Dei, Ella ha sempre una parola di giudizio e condanna per tutti e per tutto, tranne che per se stessa, dato che è portata, da brava farisea, a notare le pagliuzze negli occhi altrui e non le travi enormi nel suo globo oculare. Ha distribuito soavità verso la famiglia e gli amici di Monicelli, che, sempre secundum Binetti, lo avrebbero abbandonato, lasciandolo vergognosamente solo come un cane, in quella camera d’ospedale, al quinto piano del San Giovanni. E meno male che non era sabato, giorno prescritto ai numerari dell’Opus per le autoflagellazioni! Non ha risparmiato critiche maligne ai colleghi medici dell’ospedale in cui il regista era ricoverato, che si dedicherebbero solo al corpo dei pazienti, trascurandone lo spirito. La segaligna signora è sempre quella che ha conseguito una laurea in Medicina, non solo, per cui ben sapeva che fine aspettasse Mario, ma è anche fornita di specializzazione in Psichiatria e Psicologia, anche se conseguita in una Università iberica, oltretutto dell’Opus Dei. Iberica, cioè della stessa terra dei Cattolicissimi reali che iniziarono a convertire gli amerindi spedendoli a milioni, detto fatto, in Paradiso, che inventarono l’Inquisizione e gli auto-da-fè, indefessamente riforniti da quel serafico fraticello di nome Torquemada, del fervente cattolico Francisco Franco.
Da notare, comunque, che persino la Madonna preferì apparire a Fatima ed a Lourdes, saltando a piè pari quel pio territorio di fanatici. Immagino quale opinione la Binetti possa esercitare nei confronti dei capolavori filmici di Monicelli, quante risate si sia fatta seguendo le disavventure di Totò, Sordi, Fabrizi, Gassman, dei goliardici “Amici miei”, dal regista magistralmente diretti. E’ da notare che l’esperta psichiatra e psicologa è saldamente ancorata sulla linea della considerazione dell’omosessualità come perversione, voluta e cosciente, della personalità; aveva, una volta, subdolamente accomunato i gay ai pedofili ed aveva votato, con un alibi morale gesuitico, contro la proposta di leggi antiomofobe, rilanciata da Anna Paola Concia. Tutto ciò in nome della scienza della medicina e della psichiatria, aggiornate alle direttive vaticane più moderne, della misericordia, della carità e dell’amore per il prossimo, che Cristo stesso raccomandò, essendo noi tutti, esseri umani, fratelli e figli di un unico Padre. Deus caritas est, specie nelle parole e nelle azioni della quasi Serva di Dio, pluridottoressa Paola Binetti, la quale vive e vegeta, serenamente e beatamente, nella vasta galassia di Istituti, Atenei, congregazioni e congreghe che ruotano attorno al caldo e luminoso astro benefico dell’Opus Dei. È proprio sacrosantamente vero quanto esprimeva la mia mitica nonna milanese, classe 1880: “A l’umbra del campanìn, manca mai n’el pan n’el vin!”.
Franco Bifani ha insegnato Lettere in istituti medi e superiori dal 1968 al 2003. Da quando è in pensione si dedica essenzialmente alle sue passioni: la scrittura, la psicologia e il cinema.