“Acido, come di più non si può. Acido sempre, acido per me, acido per te, acido cos’è? Acido dentro, acido con chi acido non è!”
Così cantavano i friulani Prozac+. Calunniando, resterà sempre qualche cosa di ignobile appiccicato alla vittima, perché la calunnia è come un grosso e micidiale calabrone; se ti si posa addosso, bisogna restare completamente immobili, a meno di non essere sicuri di poterlo schiacciare al primo colpo; e ti rimane, comunque, la mano lorda ed invischiata dei suoi umori viscerali. E più una malignità è inverosimile, più gli imbecilli – ossia la più ampia maggioranza del genere umano – la credono reale, la ripetono, se la rimbalzano l’un l’altro e la ricordano, in ciò colpevole e condannabile sia chi la pronuncia, sia chi l’ascolta, nella medesima misura.
La calunnia è immortale; come sta scritto, per altri e più nobili motivi, ne “I Sepolcri”, vi sarà sempre qualche anima pia che la tramanderà ai posteri, ad imperitura memoria ed infamia. Aveva gridato Amleto alla povera Ofelia: “Pur se tu sia casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia!”. E Cimbelino ne aveva definito il filo più tagliente di quello di una spada e la lingua più velenosa di tutti i serpenti del Nilo. I Gerioni nostrani in miniatura, i Giani bifronti di paese, in fondo, compiono, inconsapevolmente, un’opera buona: non è possibile, infatti, dir male di una persona se non se si è anche sicuri di compiacere chi ascolta le tue maldicenze. A volte mi tornano alla memoria severe e seriose citazioni di grandi poeti e letterati, che mi consigliano: “…lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai per soffiar de’ venti”.
C’è chi dice che si dovrebbe rispondere all’immondo frastuono delle calunnie con il silenzio: il silenzio degli innocenti. Ma io non sono Dante, mi sento già tanto onorato di venir pubblicato su qualche blog locale e di contare almeno su venticinque lettori, tanti quanti se ne aspettava persino il Manzoni. Forse è vero che non essere oggetto di nessuna chiacchiera è ben peggio che vivere nell’oblìo; ma è una magra e dura consolazione, anche perché è molto più facile rimediare al mal fatto che al mal detto e la calunnia è una menzogna molto semplice da inventare, ma assai difficile da smentire e da distruggere. La poetessa Alda Merini aveva scritto: “La calunnia è un vocabolo sdentato, che, quando arriva a destinazione, mette mandibole di ferro”.
Ed altri ancora lamentò che “voce dal sen fuggita poi richiamar non vale”, che “nescit vox missa remitti”, ed ancora che “non ritorna mai la parola ch’è detta, sì come la saetta che va e non ritorna”. Ma agli abili, fantasiosi e pirotecnici tessitori di tele venefiche, più atroci, nei loro nefasti effetti, della camicia di Nesso, a costoro del Tasso, di Orazio, di Shakespeare, di Brunetto Latini e di Dante e via discorrendo, non gliene può importare di meno; calumniari necesse est, vivere non est necesse. Ed i loro strali, più letali di quelli scagliati da Febo Apollo nel campo dei prenci Argivi, sotto le mura d’Ilio dalle cento porte, volano stridendo per l’aere maligno, facendo strage dei poveri figli di Niobe, inermi ed innocenti.
La calunnia è spesso mossa da invidia e da gelosia; se appena vali qualche cosa in più di una vile moneta di rame, procuri al prossimo disturbi fastidiosi, come un foruncolo nell’interno del naso o dell’orecchio, un occhio di pernice tra le dita dei piedi , un calazio nella palpebra, delle emorroidi, violacee e gonfie, o un sassolino aguzzo in un paio di scarpe strette. Una giovane sconosciuta ha dialogato con me, di recente, sul web, ricordandomi i suoi generosi, utopistici ideali di amore, fraternità e solidarietà per il prossimo, di un sapore tra l’evangelico dei primordi ed il francescano più candido e disarmante; l’ho ringraziata di avermeli citati e riportati a galla, nel gran lago della memoria, giacché furono i miei, di un tempo così lontano da risultare quasi immemorabile. Ma, nell’augurarle miglior fortuna della mia, le ho ricordato anche di come farisei e scribi, gesuiti e pie donne, benpensanti e perbenisti, frequentatori di oratorii, sacrestìe e parrocchie risultino le bieche termiti ed i tarli più temibili e rovinosi nel distruggere, sistematicamente, in modo subdolo e silente, i più fulgidi ideali. Questi Savonarola da strapazzo, che splendidamente predicano dai loro pulpiti improvvisati, razzolano poi nel fango e nel brago, una volta da essi ridiscesi. Dedicato a tutti quelli che…
Franco Bifani ha insegnato Lettere in istituti medi e superiori dal 1968 al 2003. Da quando è in pensione si dedica essenzialmente alle sue passioni: la scrittura, la psicologia e il cinema.