L’Armata Bianca esulterà. Uno degli obiettivi di questo potente movimento ecclesiale, fondato nel 1973 dal cappuccino Padre Andrea D’Ascanio, braccio destro di Padre Pio, è da sempre la lotta contro quello che nel sito del movimento dal nome così pacifico, alla voce ‘vita’, è definito come ‘il più grande distruttore di pace nel mondo: l’aborto’.
Non la guerra, non la violenza contro le donne e l’infanzia, non la fame e l’ingiustizia sociale: l’interruzione di gravidanza è il nemico da combattere, nemico che le donne conoscono purtroppo come ultima ratio al fallimento della contraccezione, e che comunque passa sempre dal loro corpo in modo più o meno invasivo e doloroso, a seconda del livello di civiltà delle comunità dove esse si trovano. L’esultanza deve essere molta, dopo l’approvazione alla Camera della mozione Buttiglione sulla moratoria internazionale dell’aborto come mezzo per limitare le nascite.
Il testo, impregnato di retorica pro life, impegna il governo italiano a sostenere una risoluzione delle Nazioni Unite ‘che condanni l’uso dell’aborto come strumento di controllo demografico ed affermi il diritto di ogni donna a non essere costretta o indotta ad abortire’. Stesso procedimento, con solerzia impressionante, è già stato avviato dall’Udc al Parlamento europeo.
Esplicito nell’intento Buttiglione, che ha dichiarato: “Siamo tutti d’accordo che l’aborto è comunque un male, ma ci dividiamo sempre tra chi è per la vita e chi è per la scelta. E’ ora di contrastare tutti insieme chi nel mondo è sia contro la vita sia contro la scelta”.
Almeno, se c’erano dei dubbi, ora sono fugati. La scelta di interrompere una gravidanza, ovvero il principio di autodeterminazione femminile in tema di riproduzione, che in Italia non obbliga affatto le donne all’aborto, ma lo consente nelle strutture pubbliche in sicurezza per la salute quando la contraccezione ha fallito e non ci siano le condizioni per mettere al mondo, è chiaramente aggredito e messo in contraddizione con il diritto alla vita del feto.
La trappola, mortale e infida, arriva dall’uso politico strumentale di una piaga patriarcale che affligge milioni di donne, in particolare in India e Cina, paesi nei quali, oltre all’infanticidio femminile alla nascita, perpetrato specialmente nelle zone più povere, si usa l’aborto selettivo quando si individua il sesso ‘sbagliato’ negli esami prenatali.
Chi non è d’accordo sul lottare contro la violenza statale sessista che impone l’aborto nel caso il feto sia femmina? Quale strumento migliore, in questa lotta, della diffusione dell’informazione e dell’educazione sessuale per le donne, e soprattutto per gli uomini, per far sì che la maternità e la paternità siano una scelta libera, consapevole e matura?
E invece la risposta a questa domanda retorica è una sola: no.
Un no che diventa istigazione ad ammalarsi di aids (contagiando anche le nuove creature nate da madri infette) quando il Papa tuona contro l’uso del profilattico in Africa; un no all’educazione sessuale nei paesi europei, che diventa formidabile volano di ignoranza, regressione e inciviltà nelle parole della deputata Binetti del Pd, preoccupata, del fatto che “dicendo ‘no’ all’aborto, si dica poi ‘sì’ ad una forma di contraccezione che ricadesse su questi Paesi con metodologie diverse che sono esattamente contrarie alla libertà: le politiche sulla contraccezione non devono diventare a loro volta metodi di controllo delle nascite”.
Insomma, da qualunque parte la si guardi una donna è sempre una minus abens, e il paradosso è che su questo sono tutti d’accordo, i poteri secolari così come i poteri spirituali, che le vogliono fattrici a tutti i costi.
In Italia, però, si ammette che le giovanissime ‘studino’ da escort alla nuova scuola della tv e, che, di conseguenza, date le priorità formative, i frutti già si vedono: si sta allevando una generazione della quale andare davvero fieri. Secondo i risultati freschissimi di un sondaggio della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia su 1200 ragazzi italiani la metà ritiene l’educazione sessuale ‘inutile’ e per due su tre la protezione nei confronti di gravidanze indesiderate è ‘roba da femmine’. Anche l’aborto, dunque, è roba da femmine, e se loro ‘sbagliano’ perché non tornare ai tempi in cui si rischiava di andare in galera, così, tanto per dare una lezione a queste assassine, anche quando l’aborto sia un triste evento naturale? Lo ricorda, in poche righe, la lettrice di Liberazione Gabriella Macucci.
“Cara Liberazione, a proposito delle minacce alla legge sull’aborto, vorrei raccontare una mia esperienza terribile la cui conoscenza possa essere utile alle nuove generazioni. Anno 1970; io e il mio convivente avevamo deciso di avere un figlio, non eravamo sposati. Ebbi un aborto spontaneo e fui ricoverata in clinica per un raschiamento, tutto alla luce del sole. Dopo un po’ fui invitata in questura dove mi dissero che ero sospettata di procurato aborto. Dopo aver tentato confusamente di ‘giustificarmi’, la poliziotta mi comunicò che la richiesta di accertamenti proveniva dal medico provinciale. Venni a sapere che il medico provinciale mandava tutte le nubili che avevano abortito in questura d’ufficio. Mi dissero che era un tradizione. Non mi dilungo, ma mi è ritornata alla mente quell’esperienza atroce, perché temo che possano ritornare quei giorni”.
Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere MAREA. Ha collaborato con Radio Rai International, con il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione, con Arcoiris Tv. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici). Insegna Teoria e Tecnica dei nuovi media a Parma.
Il suo primo libro è stato nel 1990 "Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi". Nel 2003 ha scritto assieme a Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi" e nel 2005 è uscito il volume "Senza Velo - donne nell’Islam contro l’integralismo". Nel 2007 ha prodotto e curato il film sulla vita e l’esperienza politica della senatrice Lidia Menapace dal titolo "Ci dichiariamo nipoti politici". Nel 2009 è uscito "Letteralmente femminista – perché è ancora necessario il movimento delle donne" (Edizioni Punto Rosso).