Tra il 1990 e il 2000, più di 370 miliardi di reali ( 140 milioni di dollari ) sono stati investiti in Amazzonia per sviluppare la regione: conti della contabilità ufficiale, più o meno 14 miliardi di dollari l’anno. Investimenti che vengono dai fondi federali del governo brasiliano e poi banche statali e private, investitori privati e pubblici, nazionali e stranieri. Una montagna di denaro in grado di cambiare qualsiasi grande spazio del pianeta. Risultati zero. E l’Amazzonia legale, cinque milioni di chilometri quadrati, la maggiore area per risorse naturali del Brasile occupandone quasi due terzi degli 8,5 milioni di chilometri quadrati, quarto stato per estensione nel mondo, paradossalmente, l’Amazzonia ha un prodotto interno lordo più basso di due terzi della media nazionale, appena il 6,5 per cento, 3 500 reali pro capite. Ma la realtà è più avvilente di quanto non dica la media perché nei conti nazionali pesa il deficit delle regioni povere come il Nordest dal quale la gente scappa per fame.Mantenere il modello di occupazione applicato in Amazzonia da quasi mezzo secolo, significa condannare la regione a un sviluppo endemicamente disuguale, ingiusto, esplosivo, deprimente; distrugge e sacrifica le risorse di oggi. Non le troveremo nel futuro: si sta dilapidando l’enorme capitale che l’Amazzonia racchiude nelle pieghe di una natura straordinaria. Malgrado forum e documenti la regola non cambia. Si continua a saccheggiare una regione che concentra un terso delle foreste tropicali umide della terra, il 12 per cento delle acque superficiali dolci. E’ l’analisi alla quale sono arrivati i governi del passato, ma, oltre le parole, a Brasilia non si è mosso un dito. Solo timidi tentativi per correggere gli errori ma nessun cambiamento reale per invertire il paradosso del trend amazzonico degli ultimi anni: crescere, impoverendosi.
Fra un anno Lula lascia. Solo il suo carisma è riuscito in qualche modo a frenare gli appetiti degli speculatori. Chissà se il nuovo presidente ne avrà la forza.Un anno dopo aver assunto la presidenza ( aprile 2004 ), Luiz Inàcio Lula da Silva, va a Rio Branco, lontana capitale dello stato di Acre, il più derelitto dell’Amazzonia e forse il più conosciuto nel mondo per essere stato teatro della lotta contro la speculazione sostenuta da Chico Mendes, leader dei raccoglitori di caucciù, assassinato nel 1989. Nell’Acre Lula fa un’analisi corretta della situazione amazzonica e annuncia quali decisioni sta per prendere per risolverne i problemi. Nessuna novità per gli osservatori più attenti della regione. Ma lo stesso Lula era una novità nella politica brasiliana dominata da vecchie oligarchie. Ecco perché gli si è data fiducia: stava annunciando innovazioni concrete rispetto alle promesse vaghe dei predecessori, indicando – finalmente – come priorità delle politiche pubbliche la tutela della risorsa più preziosa: la foresta. Impegno che rovesciava le abitudini di stampo coloniale fino a quel momento praticate. Attribuivano ogni priorità ad elementi tutto sommato secondari nel bioma amazzonico: il suolo, il sottosuolo, e, per irrazionale che sia, il deforestamento. Ossia: la conversione della foresta in pascolo, piantagioni, strade, città, miniere e fiumi deviati e avvelenati per fabbricare energia. Politica basata sulla negatività ( l’alterazione della composizione naturale ) anziché sulla positività, il trarre profitto dalle ricchezze esistenti, utilizzandole per allargare le scoperte e favorire nuove tecnologie e invenzioni.
Per la prima volta un presidente annunciava che l’intervento pubblico mirava alla conservazione, all’uso economico, alla gestione, alla conoscenza e allo sfruttamento equilibrato dell’elemento che domina la regione ( foresta nativa ) e al suo enorme bacino idrografico, senza eguali nel pianeta. Per non fermarsi alle solite parole – abitudine dei predecessori- Lula si fa accompagnare nell’Acre dai presidenti dell’Incra ( istituto nazionale della colonizzazione e riforma agraria ) e dell’ Ibama ( istituto brasiliano ambiente e protocollo ), protagonisti che appena Lula conclude il discorso, firmano un protocollo che sostituisce l’insediamento agrario ( corsa alla speculazione ) con l’insediamento forestale. Fino a quel momento, ma anche oggi, purtroppo, per potersi installare nelle aree destinate a coltivazioni rurali, i coloni devono prima disboscare prevedendo colture dal ciclo corto, continuando quindi a restare dei precari senza futuro: non risolvono i problemi della sopravvivenza saccheggiando la natura. E la migrazione umana non si ferma alla ricerca di un posto ideale dover fermarsi. A Rio Branco Lula promette che Incra e Ibama si sarebbero impegnate ad aiutare i coloni rispettando l’armonia del paesaggio e fornendo mezzi che sviluppano i raccolti senza dilapidare il tesoro.L’Amazzonia ha visto ormai svanire il 17 per cento delle sue foreste e il degrado si allarga e minaccia in modo irreversibile più di un quarto dei 60 milioni di ettari. Sono gli effetti della politica delirante che precede la promessa di Lula. Di fronte agli scarsi mezzi finanziari sui quali Incra e Ima possono contare, e con una cultura di governo dominata dalle grande economia fino a quel momento contrarie a qualsiasi cambiamento. È facile capire che la distanza tra speranza e buoni risultati restava proibitiva. Ma in quel 2004 il governo riconosceva la rovina delle politiche precedenti e si impegnava a cambiarle. L’annuncio di Lula è sincero e non vuota retorica. Meritava un credito di fiducia. Ma quando lascerà la presidenza e farà un bilancio, sarà un bilancio lievemente positivo ma i problemi fondamentali restano. Apparato e governatori mescolati ad ogni affare dell’Amazzonia sono riusciti a frenarlo.
Eppure Lula non si era limitato ad accogliere a Brasilia legioni di tecnici e di burocrati per trascinarli, con brevi soste, nelle capitali amazzoniche, cerimonie per la presentazione del Piano Pluriennale 2004-2007; Lula non ricalca le abitudini del governo di Fernando Hentique Cardoso, presidente che lo aveva preceduto; Lula riunisce i presidenti delle province della regione ( con l’eccezione di chi governa il Parà, Simào Janete e dei rappresentanti del Psdb, destra d’opposizione ) e convince gli ospiti a firmare accordi e programmi da realizzare tutti assieme. Non si limita a controfirmare i documenti come vuole la prassi; fa sapere che il programma annunciato a Rio Branco deve essere considerato solo un punto di partenza. Una commissione ministeriale coordinata da Dirceu, < superpotente capo della Casa Civile della Presidenza della Repubblica >, principale consigliere di Lula, ha l’incarico di coordinare i rappresentanti di tutte le regioni dell’Amazzonia legale: in soli tre mesi si impegna a dare forma conclusiva al programma per lo sviluppo sostenibile. I governatori dei vari stati ( equivalente italiano ai presidenti delle regioni, ma i poteri sono più ampi ) dovevano essere i responsabili legali dell’esecuzione del programma.
C’è un ma: quel giorno Lula assumeva decisioni che contrastavano con ciò che i governatori e i parlamenti regionali stavano facendo e dicendo. Per collaborare allo schema annunciato dal loro presidente dovevano rimangiarsi anni di politica diversa. E non era facile anche perché Lula stava imponendo scelte che travalicavano i poteri che la costituzione gli attribuisce. In pubblico nessuno poteva dargli torto quando nella conferenza di Acre faceva l’elenco dei magri risultati e dei disastri che continuavano < a casa di una struttura produttiva eccessivamente concentrata con ridotta articolazione endogena; ridotta capacità scientifica e tecnologica che limita le iniziative per la conservazione, il recupero e lo sfruttamento economico sostenibile dalle risorse naturali >. Le limitava con < scarsità e inefficienza della infrastruttura economica; bassi livelli di educazione; un grave quadro di disarticolazione agraria all’origine dei conflitti per il possesso della terra; crescente e disordinato processo di urbanizzazione che determina enormi carenze di infrastrutture e servizi sociali; insufficiente sistema di gestione del territorio amazzonico e incipiente uso dei processi regolatori della gestione ambientale >. E’ il documento ufficiale presentato dal governo ad Acre del quale i governatori degli stati amazzonici non potevano che riconoscerne la fondatezza. E firmarlo.
Come negare che < lo sviluppo della regione richiede un’azione coordinata di governo, puntando su un nuovo modello di finanziamento e dando la priorità alla collocazione delle risorse per una produzione sostenibile con tecnologia avanzata, gestione ambientale in un territorio ordinato dove vengono contemplate l’inclusione sociale, diritto di cittadinanza e infrastrutture per lo sviluppo ? >. Sono i punti cardine del programma che doveva essere reso esecutivo novanta giorni dopo il discorso del Presidente.Il governo di Brasilia considerava realizzabile questa piattaforma poiché < esistevano le condizioni per un nuovo sviluppo sociale con l’aggregazione dei prodotti regionali che rendevano possibile l’inserimento nel mercato nazionale e internazionale stimolando la creazione di posti di lavoro. In quale modo ? Per pianificare una equilibrata gestione ambientale e un ordinamento territoriale e fondiario capace di cambiare il modello di occupazione, il governo proponeva di creare zone ecologiche ed economiche e di autorizzare lo sfruttamento ambientale revisionando la riforma agraria attraverso il consolidamento delle aree protette. Nuove regole per l’intera Amazzonia distinguendo con azione immediata e chiara la terra pubblica da quella privata, condizione essenziale per spegnere i conflitti. ( tra Sem Terra e milizie private ). Particolare attenzione alle aree critiche come l’asse di deforestazione lungo la strada statale Cuiaba-Santarem dove avanzano dal Mato Grosso le piantagioni di soia più estese del mondo, verso il Parà, nord Amazzonia, e nell’area conosciuta come Terra di Mezzo: 85 mila chilometri quadrati nella valle dello Xingu. Lì c’ è anche la maggiore concentrazione di mogano, l’albero più prezioso: in Europa il suo valore può raggiungere un milione e 800 mila dollari il metro cubo. Oro verde.Il grande test per la convalida del nuovo modello comprendeva il < Progetto di insediamento di produzione forestale con base familiare e comunitaria > che Incra e Ibarma si preparavano a proporre ad una grande folla di contadini senza radici. I numeri erano incoraggianti: 380 mila piccoli centri di produzione.Perché il programma avesse successo era necessaria un’attenta selezione dei coloni e il monitoraggio della loro attività con appoggi tecnici e infrastrutture. Era insomma necessario cambiare la loro cultura agraria per evitare la deforestazione. Nello stesso governo Lula c’erano forti resistenze: la trasformazione imponeva un cambio radicale di mentalità per ottenere i fondi necessari al riciclaggio della burocrazia. L’assistenza tecnica era l’altra sfida.La cooperazione impegnava Incra e Ibama per quattro anni. L’arma decisiva per favorire il progetto doveva essere il Banco d’Amazzonia, unica organizzazione federaledi credito, esiste da 60 anni, < omaggiata > al momento del varo del progetto con 230 milioni di reali e nuove prospettive istituzionali. Purtroppo non era solo un problema economico. Per gli osservatori la mancanza di segnali di cambiamento effettivo nei politici locali e nazionali, restava l’impedimento più grave. Il modello predatorio continuava, inattaccabile. Fin dalla metà degli anni Ottanta 20 mila chilometri di foresta andavano in fumo ogni anno. Il problema non era la dimostrazione di questa minacciosa realtà, ma come concretizzarne la trasformazione. A grandi linee si valuta che a tutt’oggi ci siano 45 miliardi di metri cubi di legno prezioso nella foresta nativa amazzonica: copre 285 milioni di ettari dei quali 246 produttivi. E’ una < riserva > che rappresenta un terzo del legno tropicale del pianeta: potrebbe mettere il Brasile nella condizione di dominare il mercato internazionale del legno tropicale spodestando il dominio asiatico. Negli ultimi vent’anni la produzione di legname dell’Amazzonia ha avuto un’impennata spettacolare passando dal 24 per cento dell’ 80 al 90 per cento della produzione nazionale dei nostri giorni. E’ soprattutto San Paolo il mercato che la divora. L’attività impegna 600 mila persone, ma è un’attività precaria o come ricordano anche i documenti di Lula < insostenibile >. La maggior parte della raccolta del legname viene fatta in forma illegale, senza rispettare le procedure tecniche. Illegalità che in mezzo secolo ha cancellato il 17 per cento della foresta, più di 600 mila chilometri quadrati, quasi due volte l’ Italia.
Continuando così si avvicinano i giorni in cui verrà mancare il legno d’Amazzonia; ancor più grave, verrà a mancare la foresta nucleo della biodiversità amazzonica. Finisce l’Amazzonia ma anche il futuro di una regione, di un continente, forse del pianeta costretto a cambiare vita. Il governo Lula prometteva di sostituire la cultura della deforestazione con la cultura della foresta, stimolandone l’uso razionale della ricchezza. Vale a dire: produrre legno e altri prodotti senza distruggere un bene da rinnovare col riforestamento. Delle 2500 imprese di legname registrate in Amazzonia ( da aggiungere la galassia infinita dei madereiros clandestini ) solo l’uno e cinque per cento si è finora impegnata nel riforestare, come certificano i documenti del Consiglio del Maneggio Forestale. Il maneggio forestale è un insieme di tecniche per garantire l’estrazione delle risorse, legno compreso, col minor impatto possibile. Richiede investimenti notevoli nella fase iniziale: per poter essere sfruttata, la proprietà viene divisa in zone da sfruttare e in zone da preservare in modo permanente. La Cikel, per esempio, è una delle rare imprese che obbedisce alle regole del maneggio forestale nella regione del Parà, la più saccheggiata dopo il Mato Grosso. La Cikel amministra 318 mila ettari di foresta e mantiene un indice di riforestamento di 300 mila alberi l’anno. Sia la Cikel che la Mil Madereiras, prima industria certificata del Brasile a lavorare e a guadagnare seguendo le regole del riforestamento, garantiscono che il legno < autorizzato > non è più del legno tagliato clandestinamente rovinando la natura. Ecco perché le fabbriche importanti di mobili si stanno orientando all’acquisto del legno legale trascurando il legno clandestino: per garantirsi il futuro e per evitare guai con la giustizia. Prima o poi arriverà anche in Brasile. Progetto Lula, dunque, che può contare sulla chanche della convenienza, ma non è proprio così. La maggioranza dei commercianti resta legata alla produzione clandestina perché consente manovre e apre reti di amicizie preziose. Ed anche perché il governo non sostiene con atteggiamento fermo le proposte di legalità e di riforestamento. Chi imbroglia si avvale di meccanismi sempre più sofisticati per ingannare governo e opinione pubblica. Ancora un esempio: i municipi di Novo Progresso, sud est del Parà, e Porto Moz, valle dello Xingu, hanno perso 240 mila ettari di foresta in cinque anni. E’ la constatazione dell’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali. Come funziona il trucco che dribla la legge ? Il trucco più usato è quello dei < laranjas >, teste di legno, prestanomi di comodo. Per avere il permesso di sfruttare un terreno superiore ai 2 500 ettari è necessaria l’approvazione del senato dello stato. Dieci, venti, cento teste di legno fanno richiesta di appezzamenti la cui entità non richiede l’approvazione della camera alta, e poi tutti lasciano la gestione dell’azienda agricola ad una sola persona o alla società che li ha assoldati per l’imbroglio.Uno dei piani del governo Lula era bloccare questo tipo di manovra eliminando gli agenti prestanome. Ma senza controlli rigorosi, la decisione ha l’effetto contrario: incrementare il < grilagem >, appropriazione illecita di terreno pubblico. Con meccanismi ingegnosi. Prevedono l’uso di documenti falsi e la connivenza fraudolenta di notai. Per far sembrare compilati anni prima, i falsi documenti di proprietà vengono chiusi in un cassetto assieme a dei grilli i quali divorano i bordi e sporcano le carte conferendo un aspetto se non antico almeno vissuto. E l’imbroglio si allarga. La conseguenza è che si scommette sempre meno sulla capacità del governo di mantenere la promessa.Nei primi anni di PT al potere, il deforestamento ha confermato la media degli otto anni di presidenza Cardoso, ma nel 2004 è cresciuto del 6 per cento, sfiorando i livelli record del 1995, stagione principe del saccheggio dopo la decade Ottanta. Insomma, un tasso di abbattimento piante quasi sintonizzato con la crescita del Pil brasiliano: più 5 per cento dell’uno e dell’altro fino ai nostri giorni. L’interpretazione inevitabile è amara: quando l’economia nazione si riscalda, vengono dimenticate attenzione e cautele che dovrebbero proteggere l’Amazzonia, indipendentemente dal partito che comanda a Brasilia. Per far quadrare i conti prevale la tendenza di dare briglia a chi vuole sostituire la foresta con coltivazioni agricole commerciali, estrazione minerali, strade e vecchie e nuove attività abusive, sostenendo l’espansione dell’allevamento di bestiame, pascoli che prevedono abbattimento della foresta. Soia e bestiame restano i cardini della politica economica. E’ bastato che il Brasile aumentasse le esportazioni, livelli record, perché la necessità di allargare la produzione di carne e soia- che è possibile rapidamente raccogliere, macellare ed esportare- cancellasse qualsiasi iniziativa a medio e lungo respiro.Nonostante la creazione di molte riserve ecologiche, il deforestamento illegale, l’estrazione clandestina di legname, lo sfruttamento della mano d’opera e la violenza generalizzata, continuano a crescere così come cresce la disperazione dei Sem terra e si ripetono con frequenza le truffe notarili dei < grillagem >.L’Amazzonia precipita nell’impoverimento. Non ricava profitti dalle esportazioni che aumentano perché vecchie leggi non prevedono imposte per tanti materiali, soprattutto minerali. Manaus, capitale della regione amazzonica, è al quarto posto come reddito fra i municipi brasiliani, ma la sua industria, in buona parte, ha radici in altri paesi: è un’isola di fantasia. I colossi approfittano dei favori fiscali e tributari: sono cominciati negli anni ’70, continueranno fino al 2013. Appena svaniranno il benessere teorico di Manaus evaporerà. Benessere nutrito da una zona franca dalled abitudini strane: il suo compito non è esportare prodotti brasiliani in altri paesi, come capita ad ogni zona franca del mondo, ma montare prodotti e tecnologie da vendere in Brasile. E’ uno dei risultati della cultura della deforestazione, strategia dagli effetti perversi. Il governo Lula aveva e ha buone intenzioni, ma i suoi passi sono timidi e claudicanti: risultati più sfavorevoli che positivi. La continuità con le politiche dei governi precedenti resta più forte degli annunci di rottura. Anche perché i mezzi che potrebbero favorire il cambiamento restano scarsi. I fondi nazionali destinati a educazione, scienza e tecnologia non considerano l’annunciata priorità del problema Amazzonia. La quota percentuale riservata nei budget di scienza e tecnologia è meno dell’uno per cento. Pochi soldi che frenano la tutela dei diritti umani. L’assassinio della missionaria Doroty Stang, nordamericana naturalizzata brasiliana dopo 30 anni all’interno del Parà dove lavorava in difesa dei contadini poveri; il suo assassinio, rappresenta la carta di tornasole che far capire come le speranze continuino a rimpicciolire. Per catturare gli autori del delitto, il governo federale ha mandato duemila uomini dell’esercito con l’incarico non solo di guidare le pattuglie per la ricerca dei colpevoli, ma con l’impegno di compilare un elenco accurato delle violazioni e delle illegalità. Tre mesi dopo l’esercito ha dovuto abbandonare l’impresa. I fondi speciali promessi per finanziare la missione non sono stati concessi. Il cavillo formale coinvolge l’ufficio speciale di rappresentanza del governo che doveva essere aperto dalle autorità di Belem dopo l’impegno sottoscritto un anno fa nell’Acre, ma governatori, ministri del Parà e ministri federali se ne sono dimenticati. Finiti i primi soldi, i tutori della legalità sono tornati in caserma. Polemiche, irritazione per le promesse mancate, ma svaporata l’emozione per la morte di Doroty Stang, anche gli impegni rinnovati sono stati messi da parte e vi resteranno fino ad essere completamente dimenticati.Ecco cosa succedeva in Amazzonia prima di Lula e cosa continua a succedere con Lula . Le cose non cambieranno dopo Lula. Non cambieranno fino a quando l’Amazzonia non smetterà di essere Amazzonia, acqua e foresta, per rassegnarsi come il resto del Brasile e il resto del mondo a trasformare il suo mare verde in fabbriche, città mostruose dominate dai creatori di deserti.
Vive a Belem, ed è il più informato e coraggioso cronista dei disastri dell’Amazzonia. Ha cominciato a denunciare la sparizione della foresta alla fine degli anni ’80. E’ stato licenziato dall’università dell’Amazzonia e perso il posto al giornale O Liberal e alla Tv dello stesso proprietario. Continua a scrivere da solo un quindicinale – Jornal Pessonal – nel quale segnala gli affari colossali alle spalle del governo federale di Brasilia. Minacciato di morte è stato salvato dall’internazionale della stampa, vive seminascosto e perseguitato da denunce e querele: nessun avvocato del Parà e degli stati vicini ha accettato di difenderlo. Pinto, sociologo urbano, si è allora laureato in legge e va in tribunale da solo. Alla fine del ’90, il Presidente della Repubblica Scalfaro gli ha consegnanto a Roma la Colomba d’ Oro della Pace.