Fini nella fossa dei leoni. Un’assemblea ostile fin quasi a menare le mani, popolata di squallidi arnesi di regime, gente pronta alle ingiurie e alle offese più gravi per il “ribelle” solo per farsi sentire e notare dal Caudillo ossessionato da un solo problema: ottenere le dimissioni del Presidente della Camera. Berlusconi ha chiuso la riunione con una votazione da Politburo: 159 voti contro 11. Ma questi undici voti hanno spezzato l’incanto che tiene prigioniera l’Italia da anni. Undici persone coraggiose che hanno sfidato il linciaggio di una maggioranza fanatizzata dal culto delle personalità del ricchissimo miliardario che si sente onnipotente.
Fini non si è fatto intimidire. La defezione di suoi ex “colonnelli” e l’isolamento non lo hanno scoraggiato. Ha elencato puntualmente quanto non condivide dei comportamenti e del progetto politico di Berlusconi. Una lunga serie di punti dall’immigrazione alla giustizia sui quali non si può non convenire. Ma la cosa più importante che ha detto riguarda la Lega che, dopo le elezioni regionali e la conquista di due importanti regioni del Nord, rischia di espandersi e di inghiottire nella sua visione razzista lo stesso elettorato del Pdl. La Lega che detta le riforme, che nega la mensa ai bambini e sepoltura ai musulmani, che attraverso Formigoni, vuole il reclutamento su base regionale degli insegnanti e che, ieri, ha proposto i contratti di lavoro su base territoriale, rischia di diventare l’ideologia e la politica di tutto il PdL e di guidarne una involuzione xenofoba e di rottura della coesione sociale e dell’unità nazionale.
Berlusconi sa di avere perduto l’adesione o la sottomissione di Fini al suo progetto di riforme costituzionali. Fa finta di aver perso interesse per esse ma in verità sa che se non demolisce la Costituzione cambiandone i principi non è destinato a fare ancora molta strada. La sua leadership è come una ameba insaziabile: ha bisogno di inghiottire quanto resta ancora delle regole e delle salvaguardie del diritto. Per quanto possa guastare forzando in Parlamento con leggi che, anche se ottengono il timbro del Capo dello Stato, restano scandalose e precarie, se non abbatte la legge fondamentale dello Stato non potrà mai diventare il dittatore d’Italia.
Per questo deve sfrattare Fini da Presidente della Camera. Ma, come osserva giustamente Bobo-Staino, la Camera dei Deputati non è la Rai. Non sarà facile un pronunziamento o una sorta di impeachement.
Alla ingiunzione di Berlusconi si è unito, con più di una accusa, il presidente del Senato che ha sollecitato le dimissioni di Fini. Credo che sarebbe opportuna una nota del Quirinale a difesa delle Istituzioni. Non si può consentire al capo del governo di attaccare la presidenza della Camera perché occupata da persona che non la pensa come lui.
Fini ha speso se stesso nell’ipotesi di una destra civile che torni ad isolare la Lega anche nel Nord. È evidente che per quanto Bossi voglia nascondere le sue reali intenzioni e la sua vera natura totalitaria (nel territorio controllato dalla Lega è difficile vivere se non si ostenta una cravatta verde), il suo obiettivo è una sorta di leghizzazione del Pdl, scopo che Berlusconi sembra condividere per il suo forsennato obiettivo di cambiare le regole.
Nei giorni del 25 aprile, un uomo proveniente dalla scuola di Almirante ma maturato attraverso un lungo percorso verso la libertà e la democrazia, ha dato un significativo contributo alla celebrazione della Resistenza e dei suoi valori racchiusi nella preziosa Carta Costituzionale che faremmo bene a non toccare mentre la minaccia del secessionismo e del razzismo incombono. Farebbe bene Napolitano a non sollecitare “coesione” verso “riforme” che oggi non potrebbero che essere disastrose per l’Italia. Una sinistra consapevole dovrebbe prenderne atto e valorizzarlo: è la prima porta che si apre, dopo tanti anni, verso una possibilità diversa da quella imposta da Berlusconi e da Bossi e non adeguatamente contrastata dal PD.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.