Il governo di Lima ha ritirato i decreti che permettevano l’apertura di miniere e ricerche petrolifere nel territorio indigeno dell’Amazzonia peruviana costringendo all’esodo mille e mille contadini.
Per la prima volta la rivolta e un massacro indigeno hanno costretto un presidente ‘bianco’ a una clamorosa marcia indietro. Prima vittoria dopo 500 anni di umiliazioni. Vittoria provvisoria o vittoria per sempre ? Dipende dalla rapacità dei nostri mondi lontani…
La repressione della polizia per liberare una strada occupata dagli indios è finita nel solito modo, solito massacro: 40 morti indigeni, qualche poliziotto. I popoli della foresta si sollevano e il governo decreta lo stato di emergenza. Fa un po’ ridere imporre il coprifuoco nell’oceano verde quasi fosse una piccola città. Come mettere sottochiave un continente.
Migliaia di uomini, donne e ragazzi dei popoli awajún y wampis; migliaia di contadini, hanno occupato qualche chilometro della strada Fernando Belaúnde Terry, attorno a Bagua. Lo sciopero va avanti da 60 giorni. Vogliono di ridiscutere la legge che mangia la foresta. La loro casa.
Il governo ha risposto alla grande per tranquillizzare le imprese straniere, miniere e petrolio. Tre elicotteri MI-17 della Dirección Nacional de Operaciones Especiales de la Policía Nacional, di base El Milagro, lanciano bombe lacrimogene mentre la polizia attacca via terra con fucili AKM.
Reazione programmata, tanto che a Bagua erano corsi giornalisti che già ” sapevano “. Sono i testimoni che ricostruiscono le imboscate della polizia e raccontano come e quando sparano contro gli indigeni. Indigeni che si organizzano per difendersi come non avevano immaginato fosse necessario in un paese ” civile “. Qualche pistola, soprattutto lance. Poi raccolgono le armi dei poliziotti morti ( 11 ) e contrattaccano.
Il presidente della Repubblica, Alan García, ha accusato i dirigenti indigeni, in special modo Alberto Pizango, del ” sangue sparso ” a Bagua. Descrive gli indigeni come fantocci al soldo degli interessi internazionali impegnati ” a frenare lo sviluppo dell’industria petrolifera nella foresta ” così utile all’economia del paese. Ma di quale paese ? Il paese degli appalti, labirinto che finisce nelle solite multinazionali ? “Dovevamo imporre l’ordine e la disciplina”. La Ministra dell’Interno, Mercedes Cabanillas, è categorica: “Era necessario ristabilire l’ordine”.
E’ evidente che l’attivita’ petrolífera puo’ compromettere la proprieta’ e la vita degli indios: avvelena i fiumi e contamina i suoli. Si sa che le grandi industria minerarie e le multinazionali degli idrocarburi applicano nei paesi di origine ( America del Nord ed Europa ) tecnologie rispettose dell’ambiente e della biodiversita’. Ma in Peru’ tutto è permesso. Il petrolio è l’oro che fa girare la macchina della civiltà bianca, ecco che alcune imprese che pompano e scavano cominciano a dichiarare la disponibilità a negoziare. Come, e con chi, è ancora mistero.