“Un buon posto per morire”, di Tullio Avoledo e Davide Dileo, Einaudi
L’estate si avvicina e gli editori propongono i vari titoli che dovrebbero accompagnare – e magari allietare – le nostre vacanze.
Così, un Povero Lettore va in libreria, si avvicina fiducioso al bancone su cui sono impilate le novità di Einaudi (sapete? Quella casa editrice torinese che una volta pubblicava Calvino e Primo Levi, la Yourcenar e Lalla Romano… Una volta, però) e prende in mano un volume dal dorso giallo e dall’accattivante titolo di Un buon posto per morire. E’ scritto a quattro mani: uno degli autori è Tullio Avoledo, di cui conosce un precedente e affatto male romanzo, L’elenco telefonico di Atlantide; l’altro è tal Davide Boosta Dileo e si occupa di musica.
Il Povero Lettore, attratto dalla quarta di copertina che magnifica questo “scatenato romanzo di azione e di avventura”, compra il libro sborsando i suoi bravi venti euro e se lo porta al mare.
Ed è così che si trova tra le mani le seicento e cinquanta pagine di questa a dir poco orripilante e noiosissima opera che mescola, in ordine sparso: catastrofismo, leggende, spie, killer crudelissimi, profezie, sotterranei torinesi, motel californiani, le SS, pistolotti moraleggianti, Londra, la Città del Vaticano, l’Antartide, gli Antichi, ammazzamenti a volontà, misteri nascosti per secoli, la Sfinge, il Golem, Nostradamus, il Male, isole del Venezuela, Einstein, gli Alieni, strani codici e chi più ne ha più ne metta (ci mancano solo Pippo, Pluto e Paperino, Gianni e Pinotto, Sgarbi e la Santanchè…)
Un libro noioso, scopiazzato, scritto male, zeppo di errori (uno a caso? Si parla di un auto con un “motore da 6200 litri”!, non male, vero?), citazioni a casaccio, dialoghi improbabili.
Se almeno l’editore avesse scritto che è un libro comico, il Povero Lettore l’avrebbe potuto prendere dal verso giusto.
Statene lontani: può far male a voi e a chi vi sta attorno. E non buttate via dei soldi.