Paolo FARINELLA – Precarietà: delitto contro l’umanità
07-07-2009Ho letto le testimonianze dei precari e delle precarie pubblicate dall’inchiesta di “Domani”. Pur conoscendo il fenomeno condividendolo giorno dopo giorno, è sempre impressionante leggere storie di vita che inchiodano il respiro e alimentano l’indignazione verso un sistema di mercato, del lavoro, della politica che hanno abdicato al loro mestiere: guidare le singole persone ad entrare nel mondo della vita per viverla in modo dignitoso. Alle soglie del terzo millennio, stiamo tornando al tempo delle palafitte, quando tutto era provvisorio e senza sicurezza. Dopo due mila anni e nove di Cristianesimo, esistono ancora un terzo di umanità sotto il livello della sopravvivenza, alimentato oggi dai figli della “civiltà occidentale” che molti vorrebbero anche “cristiana”, condannati a sopravvivere in mezzo all’opulenza e allo spreco come clandestini senza ritorno. No, noi non ci stiamo! Quattro storie di vita, quattro vite senza vita.
Laura è laureata in lingue e sa di computer, 850,00 euro al mese per 8 ore di lavoro, circa 5,00 euro all’ora: 5,00 in meno di una donna che aiuta in casa. Per lei non c’è libertà di scelta: la sua condizione ha deciso per lei: non può avere un figlio perché se restasse incinta sarebbe il licenziamento immediato. Anche il suo compagno è precario e ogni giorno è una spada di Dàmocle: non sanno mai quando colpirà, tagliando la testa o entrambe le teste.
Chiara vive nel nord-est a 600,00 euro al mese ad un ritmo di 6-9 ore al giorno: da 5,00 a 3,33 euro all’ora ed è clandestina nel suo paese. Non c’è differenza tra lei e i clandestini immigrati: l’aspirazione è il lavoro come fondamento di una vita decente, degna di essere umana. La differenza la fa l’umorismo: Chiara descrive la sua situazione con una leggerezza che rivela una pesantezza interiore che è attenzione al minimo stormir di foglie perché in qualsiasi momento può essere senza lavoro senza nemmeno essere licenziata. La laurea, il master e il dottorato di ricerca che erano l’orgoglio di un percorso culturale, dovuto anche ai sacrifici dei suoi genitori, sono diventati motivo di vergogna. Colpevole di avere studiato. In compenso ama Sepúlveda, anche se sa che nessun gatto le insegnerà a volare nel mitico nord-est leghista perché lei non esiste né come gabbianella né come Laura. C’è ma non si deve vedere perché precaria è sinonimo di inesistente.
Chiara è una privilegiata di fronte a Roberto che riceve il “bonus dei precari”: 200 euro al mese che gli permettono una spesa giornaliera di 8,00 (diconsi: otto!!!!) euro al giorno. Il mutuo iniziato quando lavorava a tempo indeterminato lo garantisce suo padre, altrimenti non solo perde il lavoro, ma anche la casa e con essa quel residuo di dignità di cui si vergogna anche. Per sopravvivere ha affittato un posto letto in nero: “preferisco chiudere la coscienza che tirare la fame”.
Davide è giornalista e per rubare uno scampolo di vita deve scrivere fino a 200 articoli per raggiungere la cifra lorda di 600 euro al mese. Un articolo lungo è valutato 4,00 euro, uno corto 3,20 (lordi logicamente). Giornalista non per dire qualcosa, ma per scrivere-a-come-capita: il precariato umilia non solo il giornalista, ma anche l’alfabeto e le singole lettere.
Quattro storie: due donne e due uomini rappresentativi di uno spaccato di società italiana che non esiste perché di essi nemmeno le statistiche se ne occupano; anzi, non devono esistere perché metterebbero in dubbio le bugie del governo e le fanfaronate del suo padrone che dichiara promesse e snocciola cifre che non esistono né in natura né in matematica.
Dal punto di vista etimologico, il termine “precario” deriva dal latino “prex” che significa “prece/preghiera” e si riferisce a qualcosa ottenuta per la supplica/preghiera che dura il tempo accordato dal concedente. Poiché la supplica per implorare una cosa o un bene è limitato al permesso concesso, precario significa di breve durata, temporaneo, tanto quanto dura la preghiera per ottenere un posto di lavoro. Un soffio.”Il precario è come un soffio, basta un soffio per buttarlo a terra; come l’erba di ieri che oggi è secca e non c’è più. La definizione stessa di “precario” contiene il senso della dignità perduta dell’uomo e della donna, condotti così in basso che devono supplicare di avere il necessario per vivere. La vita non è un diritto che deve essere difeso sempre dal suo sorgere fino alla morte? Per gli altri, forse, ma per il precario la vita è solo un optional o come sentenziava don Ferrante dei Promessi Sposi (cap. XXXVII) “un accidente” come la peste.
Il precariato è la nuova schiavitù e Chiara, Laura, Davide e Roberto sono finiti nell’ingranaggio di una società di mercato che stritola tutto e non lascia in vita nulla. Un governo che non perde occasione furbescamente di dichiararsi attento ai principi cristiani, è colpevole di queste quattro vite negate perché non fa nulla per creare le condizioni di tutela e di protezione. Il governo-vergogna ha varato(2 luglio 2009) una legge vergognosa come è suo solito che dichiara “reato” la clandestinità. Se ribaltassimo i termini del problema, potremmo essere d’accordo: la clandestinità degli immigrati e quella dei precari (non c’è differenza) è un reato che deve essere ascritto ad un governo e ad una maggioranza che tutela il capo che passa le notti con le escort a pagamento e che consiglia ad una ragazza precaria di sposare un uomo ricco. E’ un governo da galera quello che tollera che vi possa essere nel terzo millennio un solo cittadino del mondo clandestino per necessità o per lavoro.
La precarietà è un delitto contro l’umanità e contro Dio. Il passaggio dall’età della pietra alla civiltà è proprio questo: i gruppi si sono dati un’organizzazione per rendere la vita meno faticosa e meno conflittuale. Scopo di un governo è creare ogni giorno le condizioni perché tutti possano essere felici. La condizione primaria è la sicurezza del lavoro che è fondamento di libertà, di vita sociale, di dignità, di scelte autonome e di progettualità di vita. Più andiamo avanti e più sembra di tornare indietro. Sessant’anni vi era più tutela sul lavoro di oggi, in cui un governo eversivo ha messo nelle mani dei datori di lavoro il potere di decidere lo strangolamento di chi è alla ricerca di un lavoro, dando loro gli strumenti legali, sebbene illeciti, di ricatto: stringere il precario/a per la gola con la minaccia che se non accetta “dietro di lui/lei c’è la fila che aspetta anche per molto meno”. La nostra Repubblica non è “fondata sul lavoro” (art. 1), ma sul ricatto dei datori di lavoro e sull’umiliazione del lavoratore/lavoratrice.
Il precariato pone problemi di ordine psicologico, etico e anche religioso perché per definizione è il padre dell’instabilità affettiva e sentimentale; impedisce di programmare la vita anche nel breve periodo, costringe a soluzioni provvisorie che instaurano un “sistema di precariato” oltre il lavoro: la vita di relazione, la vita sociale, culturale, ludica diventa precaria, incerta e insicura: una chimera. Da un punto di vista etico il precario è nudo di fronte a chi potrebbe offrire un lavoro: deve accettare ogni sopruso, ogni imposizione, ogni umiliazione.
Eppure di fronte alle storie di Chiara, Laura, Davide e Roberto insieme ai milioni di loro compagni di sventura e di precariato, non si può stare inerti e non guardare al futuro con un atteggiamento speranzoso, di una speranza che non sia solo un pio desiderio che tanto poi le cose si aggiustano da sole. Gli eventi e le circostanze bisogna anche determinarle. Mi meraviglio che ancora non esista sulla rete un movimento “dei precari e delle precarie” per fare massa e cercare consenso.
Noi di “Domani on line” siamo pronti a dare il nostro contributo; io sono pronto a spendere il mio nome e a raccogliere molti amici e amiche solidali e partecipi. Il precariato non è un fatto personale, ma un evento che ci interpella tutti, perché riguarda milioni di persone e ipoteca il futuro dei nostri figli e delle generazioni che seguono. Non rassegniamoci al balordo “ognuno per sé e Dio per tutti”, ma ritroviamo lo spirito della comunità, della “polis”, della dignità, del lavoro come diritto e non come concessione benevole di qualcuno, liberiamoci dalle paure e formiamo il partito delle donne e degli uomini precari che sono ancora la speranza di un mondo migliore.
Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio. Dal 1998 al 2003 ha vissuto a Gerusalemme "per risciacquare i panni nel Giordano" e visitare in lungo e in largo la Palestina. Qui ha vissuto per intero la seconda intifada. Ha conseguito due licenze: in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia. Biblista di professione con studi specifici nelle lingue bilbiche (ebraico, aramaico, greco), collabora da anni con la rivista "Missioni Consolata" di Torino (65.000 copie mensili) su cui tiene un'apprezzata rubrica mensile di Scrittura. Con Gabrielli editori ha già pubblicato: "Crocifisso tra potere e grazia" (2006), "Ritorno all'antica messa" (2007), "Bibbia. Parole, segreti, misteri" (2008).