Non bisogna riformare l'arbitrato, ma abolirlo. In questo senso non basta la "volontarietà" chiesta dal Quirinale: non salva il principio costituzionale della tutela del lavoratore che potrebbe essere indotto "volontariamente" ad adire all'arbitrato
Privatizzare la tutela dei lavoratori, un sacrilegio. E Napolitano rimanda la legge alle Camere, ma…
01-04-2010
di
Pietro Ancona
Il Capo dello Stato non ha firmato l’indecente legge 1167 che vanifica l’art.18 e peggiora o rende impossibile l’accesso alla giustizia dei lavoratori. Dobbiamo di ciò essergli grati. Non ha voluto passare alla Storia come l’affossatore del diritto alla giusta causa mettendo il suo timbro su una legge che considera il lavoratore alla pari con il suo datore di lavoro e non minus habent bisognoso di tutele giuridiche.. Questa scelta di Napolitano è stata compiuta nonostante l’esistenza di un vasto partito di avversari e liquidatori dei diritti dei lavoratori fondato venticinque anni fa da Ezio Tarantelli con la sua campagna per abolire la scala mobile e poi sviluppata nel tempo da Massimo D’Antona che ha dato gli “instrumenti” giuridici per la privatizzazione del pubblico impiego e più avanti ancora da Marco Biagio fornitore dell’officina per la precarizzazione.
Questi personaggi sono stati uccisi dalle Brigate Rosse che hanno con ciò creato una sorta di mito sacralizzato della loro disastrosa dottrina. Non si può parlare male o criticare coloro che hanno pagato con la vita la loro convinzione ideologica e dottrinaria. Ed infatti il sacrificio del sangue versato ha imbarazzato o addirittura bloccato i critici di una linea che si è risolta in un grave imbarbarimento delle relazioni sociali ed in un costante impoverimento della maggioranza della popolazione lavoratrice. Avere truffato i lavoratori ed i pensionati con un meccanismo di copertura dall’inflazione fasullo ha generato un meccanismo di povertà. L’Italia della scala mobile e del contratto a tempo indeterminato era prospera e felice. Oggi, la crisi che investe le aziende e distrugge il commercio, è dovuta ad un drastico abbattimento dei consumi interni determinato dai bassi salari e dalla mancanza di futuro per tante generazioni. I lavoratori sono infelici in continua ansia per il posto e per le bollette da pagare. Se avessimo Sindacati non felloni e collaborazionisti, dovremmo rivendicare la scala mobile, il contratto a tempo indeterminato per tutti, l’abolizione delle leggi che hanno menomato conquiste come quelle dell’orario di lavoro, sganciato le aziende dai loro obblighi sociali, ridotto il diritto ad un giusto ed equo processo con l’introduzione dell’onere delle spese per il lavoratore soccombente.
Il rinvio alle Camere della 1167 riguarda l’art. 31 e l’art. 20. Ma tutta la legge è impregnata di una volontà di smobilitazione dei presidi legislativi esistenti a tutela dei diritti dei lavoratori. Muove nell’ottica della cosidetta sussidiarietà sostenuta da Sacconi che prevede la privatizzazione della legge, (già qualcuno nelle università italiane si improvvisa teorico dell’esercizio privato e tra privati della legge del lavoro).
Il rinvio è stato causato dalla brutalità e dall’impudenza di norme votate senza tenere in alcun conto il dettato costituzionale e la dottrina esistente. Ma ha influito la frattura nel campo di Agramante. Ichino e Treu, noti liberisti, si sono dissociati e l’ex ministro del lavoro Damiano si è lamentato di commissioni arbitrali che potrebbero avere rappresentanti dei sindacati locali (Cobas o altri) al loro interno. Vorrebbe conservare il monopolio mafioso della rappresentanza a Cgil, Cisl, e Uil.
Cisl ed Uil si erano affrettati ancora prima della promulgazione della legge a sottoscriverla assieme al Governo ed alle associazioni padronali. Volevano mettere il Quirinale e l’opinione pubblica davanti al fatto compiuto di una volontà che sfidava ed isolava la CGIL che aveva dissentito. Ma la CGIL aveva percepito la collera del mondo del lavoro e l’aveva voluto rappresentare, sia pure insufficientemente, nello sciopero del 12 marzo. Tra le forze politiche bisogna notare che il PD, pur votando contro, non era dispiaciuto della legge e D’Antoni ed altri si sono spinti fino a difenderla pubblicamente.
Le forze che operano contro la giusta causa sono proterve, arroganti e difenderanno le loro posizioni. Non è detto che le Camere si ripresenteranno al Quirinale con una legge limpida, priva di ambiguità. Non bisogna riformare l’arbitrato ma abolirlo del tutto in caso di licenziamento. In questo senso non basta la “volontarietà” chiesta dal Quirinale. La “volontarietà” non salva il principio costituzionale della tutela del lavoratore che potrebbe essere indotto “volontariamente” ad adire all’arbitrato.
Non vorrei che fosse stato concordato tra i tecnici del Quirinale e del Governo un testo di richieste alle Camere che avranno l’effetto della classica montagna che partorisce il topolino. Insomma, tutti contenti e soddisfatti della riaffermata legalità costituzionale della Repubblica ma alla fine fregati nel merito.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.