Anche Corradino Mineo ha dovuto salutare il pubblico del “Caffè”, rassegna stampa di Rainews 24 trasmessa anche su Rai Tre dalle 7 alle 9. Non si fa in tempo a prendere una buona abitudine, che te la levano. Staremo a vedere se la nuova programmazione non ci farà rimpiangere quella finestra aperta sul digitale terrestre e sui canali satellitari, dove continuerà l’appuntamento fisso con Mineo. Perché in tv la ripetizione è tutto, ma quando si interrompe, c’è il rischio del peggio. E il peggio è la ripetizione delle falsità fino a che diventano, se non vere, almeno verosimili. Per esempio, da anni è in atto una campagna per convincerci che siamo minacciati dalle intercettazioni telefoniche della magistratura, mentre siamo tutti perennemente intercettati da telecamere di banche, supermercati e privati cittadini. Senza contare che ormai i telefonini ci spiano da una parte all’altra del globo, anche se non siamo miliardari e non abbiamo mai corrotto testimoni.
Bondi e Cota, incontenibili servitori del Capo
Bondi è un dottor Jekyill che diventa Mister Hyde contro chiunque non condivida il suo deliquio nei confronti di Berlusconi. La trasformazione da ameba a tigre avviene sotto gli occhi delle telecamere senza bisogno di alcuna pozione. Basta accennare al conflitto di interessi del premier e Bondi trasmuta meglio del grande Spencer Tracy. Purtroppo, ancora non si conosce l’antidoto che lo fa tornare normale (ammesso che sia normale andare in brodo di giuggiole per un anzianotto molto ricercato dalle procure, bassotto e strapelato, benché miliardario). Di recente a Ballarò abbiamo assistito anche a un’altra mutazione: quella di Cota, che ha abbandonato per un attimo il sorriso presidenziale per digrignare i denti contro Flavia Perina. La deputata finiana aveva osato accennare a Bossi figlio e alla sua fulminea carriera politica. Mai lo avesse detto! La Trota, secondo Cota, non è un raccomandato, ma uno che si è fatto da sé. Cadreghino dopo cadreghino.
Se Dio ci liberasse dalla Tv mediocre
Ci sono secoli di argomentazioni usate come prove dell’esistenza di Dio da parte di chi ci crede, ma che non convincono noi miscredenti. La più elementare è quella per cui, di fronte alla meraviglia del creato si deve per forza riconoscere l’impronta di un Creatore. D’altra parte, è anche vero che nessuna filosofia ha potuto dimostrare la non esistenza di Dio. Almeno fino ai nostri tempi televisivi, perché, se dallo splendore dell’universo si può riconoscere la divinità, dalla mediocrità della tv si può ricavare la infinita laicità del tutto. Basta guardare alcuni esponenti del Pdl nei talk show per convincersi che la Provvidenza non c’è, o è impotente di fronte alle molestie ontologiche messe in atto da Stracquadanio (a Omnibus) o Laura Ravetto (a Otto e mezzo). I due, in quanto incitamento vivente all’ateismo, dovrebbero essere, se non esclusi dai dibattiti (la Costituzione repubblicana non lo consente), almeno scomunicati dalla Chiesa, che è una monarchia assoluta.
Povera Italia, da Garibaldi ai “sorrisini” del leghista Garavaglia
Alla Lega non piace Garibaldi e sicuramente a Garibaldi, se tornasse a vivere, la Lega non piacerebbe affatto. Abituato ad accorrere in aiuto di chiunque nel mondo, non avrebbe certo condiviso gli interessi di chi, per far pagare meno tasse ai più ricchi, vuole dividere l’Italia per fasce di reddito. Di questa e altre grettezze si è discusso all’Infedele di Gad Lerner, dove a rappresentare Bossi padre e l’ignoranza di Bossi-Trota, c’era tale Garavaglia, il quale, a tutte le obiezioni morali, politiche e storiche, rispondeva con il sorrisino alla Calderoli, che è un po’ il segno di riconoscimento dei leghisti incredibilmente al potere. Perciò, non ci ha certo sorpreso il fatto che, per dribblare le domande sui costi del federalismo fiscale, Garavaglia abbia usato lo stesso espediente retorico di Calderoli: il problema non è quanto ci costerà il federalismo, ma quanto ci farà risparmiare. Invece il problema, da che mondo è mondo, è chi ci guadagna e chi ci perde.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.