Sono pendolari, pendolari del sesso. Prima fermata Lodi, arrivo previsto a Modena, in prima serata. Ritorno? L’alba del giorno dopo, il primo treno utile per andarsene si prende. Ma se c’è da lavorare si prende quello dopo. Ogni giorno lo stesso tran tran. E, anche se una volta ti viene “consigliato” di fermarti a a Reggio Emilia e non a Modena, la tua vita è quella: il costante viaggio verso una subdola schiavitù che tiene legata al “clan” anima e corpo.
Il viaggio
Mezz’ora di treno o quaranta minuti, certamente non di più comprese tutte le fermate che da Parma portano a Reggio Emilia. Treno delle 20.00, 20.10, interregionale con partenza Milano, puntualmente in ritardo ma riscaldato. Si arriva in stazione, Reggio Emilia città, dove le cabine d’attesa sulla piazzola sono già state prese d’assalto da senzatetto, immigrati, rumeni o slavi già ubriachi dal pomeriggio, per cercare ristoro dal freddo polare di questi giorni. Vecchi “contenitori” dove più volte ho visto riposare uomini divorziati – quelli che pagano gli alimenti alle mogli e ai figli e che non hanno un posto in cui andare – oltre a quei disoccupati che il mutuo della casa lo hanno regalato direttamente alle banche, oltre a zingare che cercano elemosina e gli ultimi studenti – forse universitari – che aspettano di andare a casa con l’ultimo treno utile. Spesso ho visto anche quelle ragazze che, poi, avrebbero preso il treno con me nelle sere successive.
Belle, carnagione chiara, ucraine, rumene, dell’est sicuramente, un velo di trucco, jeans stretti, aderenti, che non lasciano nulla all’immaginazione. Giubbini caldi, imbottiti, leggermente aperti per mostrare i dolcevita a collo alto, aderentissimo, che mette in risalto quella prima o seconda di seno, certamente non rifatto. Scendono dopo un viaggio che non sai quanto sia stato lungo. Vengono a Reggio ma sono di Milano, Bologna, Modena, Parma, Piacenza, Rubiera. Nessuna è di Reggio a meno che non abbia comprato un appartamento in città o in periferia e “eserciti” la professione per conto proprio. Le cinesi, per dire, sono di Reggio e qui hanno appartamento e lavorano. Le altre? Un lungo andirivieni perché “se ti fermi in un posto e fai amicizia con qualcuno è finita”. Tutta la loro vita è basata sulla paura, progettata per evitare quelle conoscenze che potrebbero portare, presto o tardi, alla libertà. Farsi delle amicizie, in un giro di questo tipo, porta ad uscire dal gioco. E un protettore non vuole mai uscire dai giochi.
Nel tragitto parlano tra loro, sono divise tra etnie, e di conseguenza per territorio. Per dire, le nigeriane proseguono, si fermano a Modena. La loro “postazione” è la nota Bruciata (via Emilia, direzione Modena) e per portare a casa i soldi -visto che quelle dell’est adesso rovinano la piazza- devono mostrare più che possono. Piumini colorati bianchi e rossi, stivaloni laccati fino al ginocchio, loro sono la merce per eccellenza. In treno parlano tra loro, non danno confidenza a nessuno, soprattutto a quelle “bianche” come me. Così mi ci sono voluti due viaggi, andata e ritorno, per capire che tentare di ottenere qualche accenno, una parola, una risposta era fatica sprecata.
Il mio viaggio
“Che freddo che fa. Vero?”. Glielo chiedo imbarazzata, ma con un sorriso grande come una casa, così per spezzare il ghiaccio, per farle capire che si può fidare, che mi può parlare. E, invece, no. Non mi risponde. Riprovo. “Certo che adesso, andare a lavorare… con questo freddo…”. La sua attenzione adesso c’è, crede quello che non avrei voluto farle credere. Ma questo è l’unico modo per comunicare. “E tu dove ti fermi?”. “A Reggio Emilia”. “Anche io, però non ti ho mai vista. Dove lavori?”. “Per conto mio, in un albergo in centro, poco distante dalla stazione.
Non fanno storie lì. Basta che paghi e loro stanno zitti”. I suoi occhi si incupiscono nuovamente. Si chiama Marika, mi dice di avere diciotto anni, ma non ci crede nessuno. Avrà tredici anni, quattordici a dargliene tanto. Occhi azzurri, pelle di porcellana, sicuramente dell’est se l’accento non mente, minuta perché a quell’età lì ti stai formando.
“Io studio ma mi servono i soldi” ricomincio.
“Tu sei italiana” mi risponde “ne avrai tanti di clienti. Le italiane sono ben pagate, ti cercano sempre e i soldi non sono un problema per voi”.
“Perché? Tu, invece, guadagni poco?”
“Il giusto”. Apre la borsetta, ci guardo dentro: un rotolo di soldi, fazzoletti, preservativi e sigarette. Non mollo.
“Anche tu studi?”.
Sorride. “No, no. Io lavoro. Io faccio questo come lavoro”.
“Cioè, tu hai lasciato il tuo Paese per venire qui a lavorare?”
“Certo”.
A sentire loro, nessuno le ha costrette, nessuno le ha portate qui con l’inganno. Si incazzano se lo pensi, e – se lo dici- rischi. Eppure, in stazione ci sono i papponi. E se ti fermi con una “loro” ragazza -perché sono “loro” proprietà- e ci perdi tempo, soprattutto se sei giovane, loro vengono lì e ti chiedono se ci sono problemi e se hai voglia di consumare. Le opzioni sono due: o consumi e paghi (anche il tempo che hai perso a parlarle è nel conto) o te ne vai.
“E se te ne vai, perché i soldi non ce li hai, ma ci ronzi intorno, allora le prendi”. Questo me lo ha detto tale Pietro che in stazione fa sosta ogni sera e scene di panico, pre-rissa, ne vede parecchie.
“Devi fingere di dormire. Se capita qualcosa tu devi stare fermo, non hai visto niente, sentito niente. Quelli non scherzano. Le ragazzine, qui, sono tutte loro. Ma vanno sulla strada, qui ci sono altri giri. E poi, non è come le cinesi. Quelle lavorano da sole”.
Le cinesi, appunto. Quarantenni, cinquantenni, con i loro appartamenti in zona stazione. In via Turri, la strada che porta alla stazione, gli appartamenti saranno per metà loro. Ma da oggi c’è crisi e così scendono anche loro in campo, per avere un cliente. Sono le più costose. Del resto loro hanno l’appartamento. Non rischi di essere trovato in macchina o nei bagni. Paghi di più ma “il gioco vale la candela”. E così si mischiano l’Est con la Cina e la Nigeria. In un ordine che rispecchia anche una classifica di “godimento” dei clienti. E Marika nella classifica sarebbe ai primi posti: piccola, innocente, occhi teneri. Una bambina. E per questo, ricercatissima.
Marika, ma tu viaggi avanti indietro tutti i giorni?”
“Mi mancano tre giorni, poi si va da un’altra parte”.
“Ma come? Non hai i tuoi clienti affezionati?”.
“È meglio non fare amicizie. Poi quelli si affezionano, ti chiedono altre cose…”
“Ma tu dove lavori?”
“In via Emilia”
“È lunga la via Emilia…”
“C’è Maria che dice come dobbiamo metterci. Io non scelgo. Se c’è bisogno si chiede a lei”.
“È la vostra madame?”
“Non ci sono madame. Lei è solo la più anziana e ci dà una mano”.
“Ma poi la paghi per il suo aiuto?”
“Tutto si paga”.
Infatti. Ogni cosa ha il suo prezzo. C’è chi chiede dieci, quindici, venti euro a prestazione ma, se si riesce a trattare bene – come se si vendesse un tappeto al mercato di Marrakech – si riesce ad arrivare fino a 5 euro. Allo stesso prezzo di un pacchetto di sigarette si può avere un quarto d’ora di prestazioni sessuali con una donna. Con il condom però. E pensare, poi, che ci sono quelle che si fanno le budella d’oro, che se la ridono ai piedi di politici, mascalzoni e disonesti, che si prendono 3.000 euro a sera e nel prezzo si fanno aggiungere -ovviamente a parte- rose, gioielli e vestiti (solo quelli da favola). E Marika, crede che io sia come una di loro. Ma non è così.
“Bisognerebbe scappare da una vita così. Ma perché una volta non ci fermiamo a Reggio e andiamo fino a Bologna? Poi si prende un altro treno e si va dove si va”.
“Ma tu non te ne sei accorta che loro lo sanno che io parlo con te? Loro sanno tutto. E tu fai troppe domande”.
Box - Lungo la via Emilia
Il viaggio di Marika non termina qui. Quando prendo la macchina e giro la "Via Emilia" per vedere quante prostitute ci siano effettivamente e come sia la vita sulla strada, la trovo lì, sulla rotonda che inaugura l'ingresso di Pieve Modolena. È vestita sobria, com'era in treno: giubbottino imbottito marrone scuro, jeans stretti, maglioncino stretto ma a collo alto, paraorecchi. Impaurita, smarrita, guarda le macchine con sospetto e a chi si ferma non va subito incontro come fanno le altre. Non è come le altre sue "colleghe" che si mettono in mostra e si mostrano più sicure. Lei ha paura, lo si vede lontano un miglio, ma poi scambia lo sguardo con la ragazza sotto la pensilina della fermata del tram, a un centinaio di metri di distanza e si avvicina al finestrino abbassato. Non sale. Subito si avvicina la ragazza della pensilina e le urla addosso. Ci sono prostitute che fanno le madame e prostitute che controllano le loro "sorelle". Più esperte delle altre, schiave da una vita, a loro il compito di portare i ricavi ai "pimp", i protettori. È grazie ai "pimp" che si viene in Italia. La promessa di un lavoro e una vita migliore, di operazioni estetiche chirurgiche a basso costo, del passaporto. Italia come Hollywood. Italia terra di santi, di sole, di lavori ben pagati e di promesse. False. E la famiglia non lo deve sapere quello che fai: sanno che hai il ragazzo perbene, il lavoro che tanto sognavi. È la pressione psicologica che ruota tutto intorno agli affetti quello che manda avanti questa triste macchina. Così che ci siano -10° o +15° , che sia Natale, Pasqua o santo Stefano, le ritroviamo nelle rotonde, nei distributori, negli ingressi di vie secondarie, nelle cabine d'attesa dei tram, da sera fino all'alba, a far finta di avere vent'anni.
L’AUTRICE DI QUESTA INCHIESTA
Silvia Parmeggiani
Silvia Parmeggiani è l'autrice della ricerca svolta nel corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.