Alla vigilia del 30° anniversario della strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980), poeti, scrittori e cittadini hanno risposto ad un appello di Mattia Fontanella, inviando a La Repubblica numerose lettere indirizzate ad Angela e Maria Fresu: figlia e madre, morte quel giorno, alle 10.25, insieme ad altre ottantatre persone; i feriti furono 200. «Segni, suoni, parole, per l’appunto, per coprire la voragine di questi anni. La parola che è memoria». Hanno risposto in tanti, fra i quali: Alessandro Bergonzoni, Don Luigi Ciotti, Vittorio Franceschi, Gad Lerner, Claudio Lolli, Sergio Staino, Grazia Verasani, Andrea Zanzotto.
Il libro costa 1 euro. Il ricavato servirà per un progetto di solidarietà: adottare tante piccole “Angela”.
“Memoria mare”, a cura di Maria Fontanella, Pedragon
L’opera o, se si vuole, il libretto minuto e tascabile di riferimento, esemplarmente redatto e stampato, è davvero prezioso; un doveroso supporto dei nostri sentimenti e dei nostri privati pensieri, in questi tempi che tutti si affannano a riconoscere calamitosi. Infatti ogni testo, in questo tascabile davvero eccezionale, è come un mattone depositato, nel modo giusto, per alzare non solo un muro ma un fortino blindato contro l’oblio.
È vero. La memoria non si pacifica e non si esalta alle dovute scadenze ufficiali, con il suono delle trombe dorate nelle parate istituzionali, che si spengono in breve tempo. Le memorie non dovrebbero essere (e non sono) come i libri, sia pure preziosi, collocati negli scaffali della storia sociale e consultati solo nei giorni indicati sul calendario delle scadenze retoriche e delle buone intenzioni (due minuti di applausi, uno sventolare di bandiere e arrivederci il prossimo anno). Le date si accavallano, c’è troppo da celebrare, da lacrimare, da inveire. L’agenda dei buoni sentimenti e delle buone ire, a scadenza annuale, è fitta di date, così che tutto tende lentamente a sbiadire e via via ad allontanarsi sulla pianura tormentata della vita. Invece ci sono memorie durissime e concrete che l’oblio non può, non gli deve essere consentito di catalogare, ritualizzare, impolverare. In quanto esse non possono essere collocate negli scaffali della storia in attesa di un suono momentaneo di tromba, perché le loro pagine avvampano e devono alimentarci come una necessità quotidiana di sopravvivenza; e le tremende ferite che la memoria ha braccato nella precipitosa vicenda umana la memoria incrollabile le trasforma in sangue del nostro sangue, pane per la nostra fame per, ripeto, alimentare la tensione e il rispetto dei nostri atti e pensieri quotidiani.
Il cattivo genio del mondo, il suo potere occulto (ma troppo spesso immanente) tende ad accantonare o ad emarginare gli accadimenti più gravi, più sanguinosi, più misteriosi, per impigrirli e frastornarli mischiandoli, sovrapponendoli e contraddicendoli, tanto da ingrigirli nella patina del tempo; mentre invece essi vanno preservati, anzi difesi dalla memoria per essere consegnati, con generosa attenzione, alla nostra vita.
È questo che il libretto, con cento pagine, irrora come un fiume che si snoda tendendo al mare. La vera memoria è quella che sceglie e non cede al letargo del tempo.
Roberto Roversi (Bologna, 1923) è uno dei maggiori poeti italiani. Il suo nome è legato a movimenti importanti della nostra cultura. Negli anni Cinquanta è tra gli animatori della rivista “Officina”. Nel Sessanta pubblica da Einaudi “Dopo Campoformio”, versi che hanno accompagnato la generazione che si preparava al ’68. Subito dopo “Descrizione in atto”, uno dei poemi più affascinanti del Novecento, proposto in ciclostilato in polemica con l’industria culturale. Da allora ha sempre rifiutato di affidare le sue opere a grandi editori: continua a distribuirle in fogli ciclostilati dei quali si occupa personalmente. Ha scritto anche testi di canzoni, alcuni per Lucio Dalla (Il coyote, Nuvolari, Anidride solforosa), considerati capolavori della canzone d'autore contemporanea.