Vignetta di Dario Levi
La Cassazione ha restituito ai cittadini il diritto di decidere sul futuro del nucleare, smascherando i tentativi del governo di sottrarre alle urne la decisione che il disastro di Fukushima ha reso urgente. Adesso “rischia” di far raggiungere il quorum. Eventualità che finirebbe per azzoppare un governo già zoppo. Logor e da sempre irriso sul teatro internazionale, adesso malsopportato perfino da chi ha contribuito ad eleggerlo. In quest’ultima settimana forse l’esecutivo non riuscirà ad escogitare altre misure per boicottare la consultazione, anche perchè ha già giocato le carte che aveva nella manica. Altre interferenze potrebbe far crescere la voglia di correre al voto. Resta la crucialità delle scelte per votare con consapevolezza. Ne parliamo con Alberto Clò, docente di Economia industriale e Regolazione public utilities all’Università di Bologna, ex ministro dell’industria e del commercio tra il ’95 e il ’96 durante il governo Dini. Sostenitore delle potenzialità del nucleare, ha sentito il dovere di “sollevarsi” davanti alla proposta di un ritorno all’atomo ed ha scritto un libro – “Si fa presto a dire nucleare” – per dimostrare come oggi in Italia non esistano le condizioni per sviluppare questa fonte energetica.
– Professor Clò, lei parte dall’analisi degli errori del passato per comprendere la situazione presente e prefigurare scenari futuri. Da nuclearista convinto, ma non fazioso – come ama definirsi – sostiene con fermezza che attualmente in Italia non esistono le condizioni per un rientro nel nuclare. Perché?
I motivi sono molti, la prima è la lezione del passato. Alcune ragioni che hanno fatto sì che uno fra i paesi entrati per primi nel nucleare sia uscito dal progetto, a seguito del referendum dell’87 – anche se non a causa del referendum – imboccando la strada del non ritorno.
All’epoca ci fu un consenso pieno non solo della politica, ma dell’intero paese ed anche le forze industriali non si opposero in quanto molto attente agli indennizzi che avrebbero avuto dall’uscita dal nucleare e già proiettate verso i famigerati incentivi Cip6.
La decisione fu quella di una moratoria di 5 anni. Quando questi passarono, da ministro cercai di riprire la questione del nuclerare sul piano degli studi, della ricerca, ma trovai un muro da parte di tutti.
Adess, come è possibile che dopo 25 anni, proprio coloro che si battereno per la chiusura del nucleare, lo riscoòprono, lo esaltano, quasi che niente fosse accaduto in tutto questo tempo.. Oggi l’Italia non è un paese per il nucleare, il nucleare è una cosa seria, non una porta girevole da cui entrare, uscirne e rientrare: in 25 anni abbiamo distrutto tutto, suprattutto l’aspetto cruciale che è il sapere. Se ne interessavano molti istituti universitari, laureati, ingegneri, progettisti. Tutto è stato distrutto in 25 anni di silenzio assoluto. Proibto òpronunciare pronunciare la parola “nucleare” finché, d’improvviso, luglio 2008, si è riproposto il ritorno al’atomo, sebbene non fosse stato neppure menzionato nei programmi elettorali. Da nuclearista, non pentito ma non fazioso, osservando il modo maldestro, per non dire cialtronesco, con cui si parlava del supposto rientro ho ripetuto che non avrebbe portato da nessuna parte ancor prima dell’11 marzo, quando le reazioni a Fukushima hanno evidenziato le contraddizioni.
– Vuol dire che gli improvvisi proclami di nuovi programmi per il nucleare non avrebbero portato ad una effettiva riapertura degli impianti?
Dalle modalità confusionarie con cui sono avvenute le prime decisioni ho capito che non si andava da nessuna parte. La mia analisi critica moveva dal modo sprovveduto con cui avveniva questo supposto rientro: si palesavano i vecchi peccati originali del massimalismo progettuale, dello scontro di tutti contro tutti e soprattutto la mancanza dello Stato. Il nucleare è una tecnologia sistemica che vede il coinvolgimento di un gran numero di soggetti e richiede un intervento forte dello Stato.
Si è cominciato col sostenere che l’Italia sarebbe stata in grado in 5 anni di aprire il primo cantiere; in grado in pochi anni di attivare tra 8 e 12 centrali; in grado con queste centrali di abbattere drasticamente i costi del nucleare e dell’elettricità. Falsità. Come è possibile che un paese che non ha più industrie manifatturiere, che non ha più capacità gestionali riesca a realizzare un piano nucleare di queste dimensioni?
In 3 anni non si è fatto niente. Solo leggi su leggi, modificate.. Per capire il livello della cialtronaggine basta guardare all’autorità della sicurezza prodromica di qualsiasi cosa.. Sono stati nominati 5 signori che non hanno un euro e non hanno una sede, Veronesi dice che lavorano trovandosi intorno al tavolo di un bar… Di che cosa stiamo parlando? Questo l’è il nucleare al’italiana.
– Tante contraddizioni…
Troppe. Il nucleare è una scelta che si proietta su decenni e richiede un consenso bipartisan, altrimenti si finisce nella comica dello stretto di Messina. Non c’è stato neppure un minimo tentativo di discutere queste prospettive: qual’è l’impresa disposta ad investire un solo euro nella totalità dell’incertzza politica? In un’economia di mercato liberalizzato e concorrenziale, dominato da privati che fanno scelte in base a calcoli economici di breve periodo, il nucleare comporta rischi che nessun imprenditore è disposto ad accollarsi, a mano che lo Stato non intervenga dando forti garanzie. E si innesta la seconda contraddizione.
– I costi delle bollette?
Esattamente. La principale falsità era che il nucleare sarebbe stato così conveniente da abbattere i costi dell’energia: non è vero, non è dimostrato, perchè non esiste un’analisi seria.
E poi bisogna chiarire se quella del nucleare è una scelta privata o pubblica. Nel primo caso, in regime di mercato concorrenziale i privati investono solo dove vedono un profitto, ma qui c’era troppa incertezza per investire. Non si sapevano i costi, non si ha idea deii prezzi futuri. Nessuna banca sarebbe stata disposta a finanziare ad un progetto che manca di garanzie pubbliche.
Le imprese, a cominciare da Enel, chiedevano garanzie sul prezzo per non essere esposte ad eccessivi rischi: prezzi garantiti a fornire una copertura dei prezzi più una redditività. E questo porta a pagare l’elettricità più di quello che costava prima…
– Ma lo Stato non può avvantaggiare alcuni a svantaggio di tutti…
Certo, eppure nonstante alcuni documenti governativi sostenessero che il nucleare era talmente rischiso da necessitare una socializzazione dei rischi. Zsocializzazione dei rischi…. Mi ricorda lo slgon tanto in voga in Italia: “pubblicizzare le perdite e privatizzare gli utili”.
– Allora qual era l’interesse per il ritorno al nucleare?
Gli investimenti. Se le imprese avessero avuto delle garanzie a carico dei contribuenti e dei consumatori gli investimenti sarebbe arrivati, ma a titolo speculativo. Non si è fatto in tempo, perchè è intervenuto l’11 marzo.
– Lei ha detto che il nucleare richiede la collaborazione di un vasto numero di soggetti. Tra questi c’è l’opinione pubblica: ritiene che il governo stesse lavorando nella giusta direzione per creare consenso?
E’ l’altra contraddizione. Del consenso non ci si è preoccupati, eppure è un aspetto assolutamente imprescindibile, anche prima dell’11 marzo. Il non pensare da subito come costruire consenso sociale era una totale stupidaggine anche perchè coloro nell’87 hanno sparso terrorismo a piene mani a proposito della siurezza sono gli stessi che oggi proponono il ritorno all’atomo.
– Ma Fukushima ha fatto cambiare rotta…
Dopo il 12 marzo le cose si sono svolte come una fotocopia dell”87. Scoppia Chernobyl ma Craxi sostoene che indietro non si sarebbe tornati, salvo al primo storminre di sondaggi fare precipitosa marcia indietro e correre alla moratoria per salvare il voto alla amministrative. Berlusconi lo ha rifatrto oggi. Credo però che in Italia non ci sia cosa più definitiva di quella che si dice “temporanea “ e penso che questa moratoria metta una pietra tombale sul nucleare. Mi dispiace come nuclearista, ma siceramente se le cose dovevano continuare ad essere gestite così, almeno Fukushima è servita ad evitare altri errori ed altri sprechi di risorse.
– Secondo lei non esistono le condizioni per un rientro al nucleare, ma serve un nuovo piano energetico: qual è quindi la soluzione?
Abbiamo un sistema elettrico con un eccesso di capacità produttiva, ma inficiato da una diffusa dispersione di energia. E’ necessario ammodernare la rete per evitare sprechi e sfruttare al massimo l’energia già prodotta, anche per ottimizzare l’apporto delle rinnovabili: pensi che abbiamo costruito centrali eoliche che non sono mai entrate in funzione. Quindi razionalizzare l’esistente per migliorarne l’efficienza e minimizzare i consumi, sviluppando una nuova cultura di risparmio energetico. Queste le misure che possono abbassare i costi delle nostre bollette.
Giada Oliva, giornalista, si è occupata a lungo di Paesi in via di sviluppo e di cooperazione internazionale. Attualmente lavora nell'ambito della comunicazione politica e continua a seguire ciò che accade dall'altra parte del pianeta.