Repubbliche ereditarie: il figlio di Gheddafi al posto del padre
17-10-2009
di
Sveva Servadio
Londra – Prima di morire re Hussein aveva lasciato l’ospedale di Huston per volare ad Amman e cambiare la costituzione che assegnava il trono al fratello Hassan. Affida la corona al figlio Abdallah, nato da una moglie inglese conosciuta mentre giravano in Giordania Lawrence d’Arabia. Diritto contemplato dalle tradizioni monarchiche; diritto finora esteso alle dittature più volgari. Corea del Nord per esempio. Nemmeno Mubarak d’Egitto, al potere da 37 anni e col figlio preparato a prenderne il posto, nemmeno Mubarak ha palesato pubblicamente una decisione che farebbe uscire l’Egitto dal perimetro dei paesi dove le regole sono democratiche.
Da qualche giorno i giornali di Londra raccolgono sussurri sempre più consistenti: Gheddafi, 68 anni, affida il futuro della Libia al figlio Saif Islam, spada dell’Islam. E ne pianifica l’apprendistato. Mentre come presidente temporaneo dell’unione dei paesi africani il colonnello si occupa di politica estera, Saif entra al governo per “fare esperienza” cominciando a preparare le riforme che il padre suggerisce per la Libia di domani. Quali, non si sa.
La decisione è uscita dopo una riunione segreta a Sebha, oasi nel deserto a 800 chilometri da Tripoli, al termine di una settimana di riunioni dei gruppi popolari e sociali, assemblea tribale di notabili che, in teoria, rappresentante il massimo organo esecutivo. Opportunamente autorizzato, il giornale libico Quryna ey Oea ha lasciato filtrare qualche indicazione che i corrispondenti inglesi da Tripoli hanno approfondito senza troppo difficoltà. Saif, secondogenito di Gheddafi, è diventato il numero due del regime. Ha 37 anni ed è entrato in un governo che fra quattro anni formalmente scade. Quattro anni di apprendistato al potere.
I racconti dei giornali di Londra sono abbastanza precisi per sembrare frutto di confidenze. Riportano l’appello di Gheddafi ai notabili tribali: “Mio figlio è onesto ed è animato da un forte spirito patriottico”. La risposta dei congressisti è stata entusiasta. All’unanimità è stato eletto membro del governo con “la competenza di coordinare il Congresso del Popolo ( vale a dire il parlamento ) e i servizi segreti”. Nell’opaca gerarchi libica, Saif el Islam diventa un numero due che deve obbedire solo al padre. Il giornale di Tripoli pubblica in prima pagina una grande fotografia, ritratti di Gheddaffi e del figlio, emblemi della nuova realtà del paese.
Saif si è laureato a Vienna in architettura. E’ dal 2003 che si occupa attivamente di politica. Ha il merito, ricorda Haizam Amirah, ricercatore del Reale Istituto Escano di Marid, di aver contributo a normalizzare i rapporti con Inghilterra e Stati Uniti, risolvendo il caso Lockerbie (bomba d’un terrorista libico che ha provocato la morte dei passeggeri di un aereo britannico) e lo smantellamento del programma nucleare. La Libia giocava ad imitare Teheran, ma alla fine ha aperto le porte alle ispezioni e tutto è finito in niente.
Il lavorare per la patria ha occupato il tempo professionale che Saif dedicava all’architettura. Insomma, non disegnava più palazzi e ponti. Viveva nella casa del padre. E il padre, scherzando, ha confidato tempo fa ad un giornalista inglese: devo trovargli un posto per tirarlo fuori dalla disoccupazione. Ma il sentimento di un padre non può giustificare la presa di potere di Saif anche agli occhi di notabili obbedienti. Sempre nel deserto di Sebha, il colonnello ha allora spiegato che “la presenta di Saif al suo fianco è una necessità nazionale per combattere la corruzione e compensare la mancanza di impegno e patriottismo di alcuni dirigenti”. Gheddafi sta silurando i compagni di rivoluzione forse per smontare la trame dei palazzi che pensavano alla sua eredità politica e di potere.
Adesso, cosa succede? Il Gheddafi degli ultimi anni ha dato prova di praticità economica e aperture a capitali stranieri. Saif può gestire il secondo tempo di questa apertura e gli esperti stanno immaginando come. Ricalcare la nuova liberalità del padre nei rapporti internazionale, forse spogliandola del folklore al quale il giovanotto non è abituato: niente tende o divise; nessun turbante, solo giacche blu. Oppure avvicinare lentamente la Libia alle abitudini delle democrazie. Informazione più libera e una democrazia interna che non appiattisca (come adesso) i 6 milioni di abitanti sugli ordini del regime. Gli esempi non sono incoraggianti. Assad, figlio di Assad di Siria, ha ereditato il potere e la presidenza del padre, senza scostarsi troppo dall’ordine semi dittatoriale ereditato. Chissà se il figlio di Gheddafi saprà trasformare l’altra sponda del Mediterraneo in una democrazia simile a quella dei paesi che si affacciano sull’altra sponda. L’Italia, con la quale è in affari, compresa. Magari non proprio l’Italia dei nostri giorni, ma l’Italia di ieri o l’Italia di domani.