Il numero del “Diario di Bordo” (Tigulliana) dello scorso 23 luglio ospitava un mio saggio breve sulle presunte responsabilità dell’euro nella crisi europea con un forte richiamo alle teorie economiche del premio Nobel Amartya Sen palesemente critico circa gli aspetti di gestione della politica unitaria preferibilmente volti a privilegiare i processi finanziari piuttosto che quelli legati al concerto politico-sociale degli Stati membri nel loro assieme.
Ma vi è una nuova emergenza di tutt’altra natura ma tutt’altro che marginale di cui parlare, un’emergenza che da tempo ha fatto la sua apparizione sullo scenario del partenariato europeo e che attiene alle politiche nazionaliste con marcati connotati autoritari che non meno d’un paio di nazioni dell’est nostrano hanno posto in essere gabellando la loro conversione ad una destra ultraconservatrice come il risultato d’un libero e diffuso consenso democratico.
Il riferimento, va da sé, è a quanto sta accadendo in Ungheria e in Slovacchia, freschi Stati-membri dell’Unione monetaria i quali si adoperano surrettiziamente e con abili mascherature efficentiste per rinnovare in chiave “bonapartista” gli stessi indirizzi discriminatori che avevano caratterizzato la condotta dei famigerati regimi del passato, notoriamente fedeli al dettato nazista. Pare una forzatura interpretativa ma non lo è e il facile richiamo ai corsi e ricorsi vichiani è persino scontato.
In un attento reportage di Andrea Tarquini apparso su “La Repubblica” dello scorso 17 agosto, l’articolista prende in esame la censura invalsa nell’informazione ed esercitata dalla maggioranza al governo di Budapest mediante la sistematica e impietosa neutralizzazione d’ogni opposizione critica; completa il servizio una convincente e significativa intervista dell’autore ad Agnes Heller, una delle più accreditate esponenti dell’intelligentsija ungherese di sinistra e già voce critica e dissidente sotto Kadar.
La lettura del servizio è sommamente edificante ma, al di là delle numerose puntuali chiose descrittive, esso poco o nulla aggiunge al quadro che da tempo era disponibile all’attenzione di chiunque avesse interesse a sondare e a dare un volto alle pratiche politiche che si alternano, ora comparendo ora scomparendo, all’interno dell’eterogeneo consesso europeo. Sarebbe sufficiente accennare all’avvenuta esautorazione autoritaria dei Sindacati per giustificare la definizione di “fascistizzazione strisciante”. Ma c’è ben altro che giustifica la percezione d’un tristemente nostalgico balzo a ritroso da parte dei due paesi citati.
Nell’Ungheria di oggi l’immagine del neo-autoritarismo “liberamente eletto” si identifica con il Fidesz, il partito al potere del Presidente Viktor Urban che ha ottenuto in Parlamento la maggioranza di oltre i 2/3 dei candidati di lista. I neonazisti di Jobbik (Partito della Guardia Magiara capeggiato da Daniel Papp) ricordano con comprensibile disagio il Partito delle Croci Frecciate (simbolo delle tribù magiare) di Ferenc Szàlasi che dal 1944 al 1945 resse le sorti del paese macchiandosi di tutte le nefandezze possibili, ivi compresa la caccia, la deportazione e lo sterminio in proprio di decine di migliaia di ebrei. Completa il quadro la nascita recente di un movimento nazionalista autobattezzatosi “Associazione del Bene Pubblico Ungherese” (N.M.S.).
Una delle prime iniziative del Governo magiaro di Urban è stata quella di mettere il bavaglio alla libera informazione: 525 giornalisti della Radio e della TV di Stato sono stati licenziati in tronco sostituiti da pseudo-professionisti fedeli al Fidesz; altri 450 li seguiranno tra breve (o, più probabilmente, mentre scriviamo saranno già stati garbatamente “epurati”). Al posto di quell’organismo mediatico plurimo è stata istituita un’unica News-Room Centrale (Csaba Belenyesi il suo capo supremo e incontrastato) che detta l’agenda informativa, e, parallelamente, un organismo di controllo (la Nmhh, letteralmente “Autorità Grande Fratello”) con il compito di vegliare su tutto ciò che si dice e si stampa.
Il futuro si profila tutt’altro che roseo: sono state recentemente presentate alcune proposte di legge per la costituzione di “Campi d’Ospitalità” per disoccupati e per “elementi asociali”. Intanto, però, ai disoccupati reclutati quotidianamente per essere intruppati e avviati al Koezmunka (lavori socialmente utili) viene fatta indossare una maglietta arancione alla stregua di lavoratori coatti. Resta da accertare quanto pesanti oltre che utili siano tali lavori, posto che “forzati” lo sono di certo.
Persino nel campo artistico-culturale si evidenziano significative mutazioni di tendenza: la già fiorente industria cinematografica magiara è ora in mano ad un magnate di Hollywood, Andy Vajna, che ha provveduto subito a cancellare da ogni programmazione la scomoda figura del regista Miklos Janczò. Il cambio, infine, del nome della centralissima Piazza Roosevelt muoverebbe un sorriso di compatimento tanto appare ridicolo, se non fosse sintomatico dell’aberrata applicazione d’un nazionalismo fascistoide più rozzo che reazionario e controriformista.
L’intervista ad Agnes Heller costituisce in sovrappiù un valido marcatore del residuo di quel pensiero liberale che già a suo tempo s’era opposto al ventennale immobilismo e oscurantismo di Kadar pur sopravvivendo alla di lui ostilità (“un comunismo senza comunisti”, osserva). Agnes Heller accusa fermamente, ma pacatamente com’è suo costume, Viktor Urban d’essere un oligarca refrattario ad ogni tipo di controllo, che ha imposto un sistema fiscale che privilegia i super ricchi e che non si perita di dare la stura a leggi restrittive con arbitrario effetto retroattivo.
Regna in Ungheria oggi una paura esistenziale, ella afferma: l’indipendenza della giustizia è in via di liquidazione e dalla società promana un palpabile odio verso il liberalismo la cui identificazione è con gli ebrei e l’ebraismo tipici del passato; infatti l’antisemitismo è forte ed è pubblico oltre che legale, persino in Parlamento Da che se ne ha sentore il peggior nemico del liberalismo storico è sempre stato il totalitarismo (di stampo nazista o sovietico fa poca differenza). Tuttavia il totalitarismo vieta, invece la classe dirigente magiara al potere epura e marginalizza cancellando ogni opposizione in nome d’una fortissima ideologia nazionalista. D’altra parte, e con questa acuta rassegnata osservazione Agnes Heller conclude, la democrazia liberale in Europa non ha tradizioni lunghe, solo post-belliche. V’è di che meditare: il dibattito è aperto.
Diversa nei contenuti ma sostanzialmente simile a quella magiara nei suoi postulati paradigmatici la realtà che ci viene offerta da Bratislava, capitale d’un piccolo civilissimo Stato nato dalla recente divisione con l’attigua Cecoslovacchia (grazie alla lungimiranza e alla saggezza politica di Vaclav Havel) e già semplice espressione geografica ai tempi del Reich quando, stretta tra una torma di paesi famelici (Germania, Russia, Polonia, Ungheria) che ne avevano fagocitato ampie porzioni di territorio, s’era risolta a darsi un’identità conformista affidando le sorti della comunità autoctona al prete cattolico Mons. Jozef Tiso, Presidente del Partito Popolare Slovacco, entità dichiaratamente fascista ma di forte impronta clericale.
La notizia, ripresa da tutte le Agenzie di stampa è di quelle da far tremare i polsi, anche se le illazioni e i sillogismi che se ne sono tratti hanno strumentalmente dilatato il vero portato delle misure disinvoltamente proposte dal Ministro del Lavoro che, nella coalizione di centrodestra al potere a Bratislava, è nelle mani del partito arci-conservatore “Libertà e Solidarietà” (sic). Ciò non toglie che gli stessi cristiano-conservatori della giovane premier Iveta Radicava siano stati colti da comprensibile imbarazzo. Infatti non è stato difficile per nessuno leggere nella bozza di programma di sterilizzazione “consensuale” delle popolazioni socialmente ed economicamente disagiate proposta dall’intraprendente Ministro (questa la notizia) un preciso riferimento ai Rom che rappresentano l’entità etnica più indigente ed emarginata di quel paese e di quelli circostanti (8 milioni e mezzo di individui in tutta Europa, oltre 400 mila nella sola Slovacchia che conta una popolazione residente di circa 5 milioni e mezzo di individui).
Qualcuno, memore delle ombre sinistre del passato (la Guardia Hlinka Slovacca adottò nel 1941 il Codice Ebreo che riprendeva le leggi di Norimberga ulteriormente sancite nella Conferenza di Wannsee), è giunto a parlare di “estinzione programmata”, il che ci pare francamente esagerato ma non ci fa dimenticare tuttavia che i Rom in epoca post-bellica sono stati espulsi in massa dalla Francia, che sono da sempre esposti a pogrom in tutti paesi dell’ex blocco sovietico e che nella Slovacchia felix del Duemila essi sono praticamente ghettizzati, mentre il leader del Partito nazionale Slovacco Jan Slota chiede da tempo che nessuna provvidenza venga elargita a “chi non vuol lavorare”.
Qui ci fermiamo pur con molte domane in sospeso e perplessità crescenti l’ultima delle quali è legata al dubbio che il solo Trattato di Lisbona, pur con tutti i suoi laboriosi corollari e addentellati, sia in grado di arginare e correggere queste derive nazional-populiste che contribuiscono ad imbarbarire l’essenza del nostro vissuto. La chiusa vuol essere emblematica ed esilarante a un tempo: Dopo che la Francia di Nicolas Sarkozy espulse in massa i Rom, Le Monde uscì con un’intervista esclusiva al “Re degli Zingari”. Il suo nome? Rudolf Sarkozi.
Vittorio Civitella, genovese di nascita ma chiavarese da moltissimi anni, si è laureato in Scienze Politiche e Sociali all’Università di Genova con una Tesi su "Il Partito d’Azione e il Liberalsocialismo", seguitando poi a intraprendere assidui studi di ricerca nel campo dell’analisi storica e della saggistica cui era dedito da tempo. Attualmente è collaboratore dell’ILSREC (Istituto Ligure di Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) sul cui semestrale “Storia e Memoria” pubblica parte dei suoi lavori ("Un sacrificio silenzioso, Il caso Profumo"). Collabora con i Dipartimenti universitari di Studi politico-sociali e di Studi europei. È autore di un lungo saggio storico sul Movimento Azionista nel Levante Ligure e sulle formazioni "Giustizia e Libertà" in Valfontanabuona ("La collina delle lucertole", Gammarò Editori). È membro della Commissione Cultura di «Maestrale» e ha rivestito la carica di Presidente Vicario dell’ANPI di Chiavari.